Speranza

Al centro dell’esistenza cristiana

La festa dei Santi e il ricordo dei defunti ci portano a fissare lo sguardo su ciò che è più essenziale e distintivo della vita di discepoli di Gesù: la speranza cristiana.

La speranza non è ottimismo o autoconvincimento. La speranza cristiana è un rapporto con la realtà, fondato sulla consapevolezza che il tempo presente è sempre caratterizzato da difficoltà e affanni, che possiamo affrontare mantenendo la serenità sapendo che c’è un traguardo di pace.

Speriamo per abitare il mondo con una luce.

Nella speranza il nemico più radicale di tutti è la morte. La morte ci fa paura per due motivi: per la sofferenza che spesso la precede, per l’idea che finisca tutto.

Non ci sono risposte persuasive a queste paure, se non la maturazione interiore che può avvenire in ciascuno di noi.

La prima di queste paure si affronta con la compagnia, la vicinanza, la possibilità di non essere soli. Dobbiamo quindi, a nostra volta, fare il possibile perché nessuno soffra da solo e che tutti possano affrontare il passaggio con qualcuno che tenga loro la mano.

La seconda di queste paure si affronta fondandosi sulla speranza. Prima di noi c’è stata vita, segnata da affetti che riconosciamo come i nostri avi, dopo di noi ci sarà vita, segnata da quegli affetti con cui abbiamo costruito relazioni famigliari e di amicizia.

La vita ci precede e ci supera.

Ogni tanto penso alla mia bisnonna e al mio nonno paterno, che non ho conosciuto, ma che sento come persone di famiglia, non estranei. In altre occasioni immagino come guarderebbero le cose che accadono, quelle che faccio, le persone più care che ho dovuto già salutare e mi rassereno, certo che sono rincuorati dal vedere che la vita di coloro che hanno amato va avanti.

Infine, c’è un altro particolare. Santi e beati insieme con le persone care defunte vivono l’incontro con Gesù, nella sua forma più vera e definitiva.

Ho scommesso tutta la mia vita su questo incontro,

che vivo quotidianamente nello Spirito del Risorto, ma che attendo in tutta la sua pienezza. Non posso che rallegrarmi nel saperli in questa felice compagnia.

Don Davide




I sentieri della vita

Se potessimo osare tradurre la prima lettura (Es 22,20-26) di questa domenica in un linguaggio attuale, potremmo e dovremmo scrivere:

“Sono esseri umani, quindi non puoi trattarli male. Sono persone, non è difficile da capire. Il grido di tutti i sofferenti del mondo sale fino a me e io lo ascolto. Io me ne accorgo.”

Questo elenco che nel libro dell’Esodo segue il Decalogo (cf. Es 20,1-17) e lo specifica è davvero impressionante:

1) Non opprimerai lo straniero

2) Non maltratterai le categorie sociali più in difficoltà

3) Condividerai il tuo denaro

4) Non sfrutterai il povero

Ci sarebbe da farne un programma politico, ma i cristiani prima di puntare il dito contro gli altri, devono assumere come propria responsabilità personale una tale radicalità. Dovremmo poter dire:

“Almeno per quanto riguarda me, mi sforzo di seguire questa parola che Dio mi rivolge”.

Gesù dà un’interpretazione rabbinica perfetta della Legge di Mosé, sintetizzandola nel famoso: “Amerai Dio e amerai il prossimo” (Mt 22,37-38). Dio e gli esseri umani. Non si può amare l’uno senza l’altro. E dunque, se si “uccide” l’uno, si “uccide” anche l’altro.

“Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti.” (Mt 22,40)

Per Legge, nella cultura religiosa ebraica, si intende i sentieri per vivere. La Profezia è la costruzione di un mondo inedito di vertiginosa bontà, a partire da oggi.

Ora chiudiamo gli occhi un momento.

Facciamo tacere i tumulti della fretta e degli affanni.

Ricordiamo quello che abbiamo visto nei telegiornali o letto sui quotidiani.

Pensiamo ai nostri giovani e alle nostre giovani, a cui vogliamo bene, e chiediamoci: non abbiamo forse bisogno di ritrovare i Sentieri della Vita? Non abbiamo forse bisogno di rendere vere le visioni dei profeti, dove i missili diventano scuole, le armi nucleari ospedali, gli inquinanti boschi e foreste, a tutti i bimbi e le bimbe è concesso di giocare e di studiare, e nessuno – mai e poi mai – pronuncia il nome di Dio accanto a qualsiasi atto di violenza – anche il più piccolo – su un altro essere umano.

Don Davide




Esisto e vivo

Gli occhi di una neonata si spalancano e sembrano grandissimi. Ci si chiede cosa guardi, così meravigliata, mentre comincia a contemplare il mondo, fino a quando non intercetta il viso amato della mamma e del papà. Non li percepisce solo con lo sguardo, ma attraverso una simbiosi con il corpo della madre, e una sintonia con il padre che l’ha amata, prima ancora che venisse alla luce. Sono esperienze prenatali, sfumature della luce, vibrazioni del suono, profumi, movimenti, inflessioni della voce che le permettono di riconoscersi immersa in quell’amore presente fin da quando è stata generata.

È la meraviglia dell’esistere, con cui una bimba, un bimbo prende confidenza.

Può non succedere, purtroppo, ed è il motivo per cui è tanto drammatico che un essere umano non sia amato, perché questo sviluppo è il funzionamento di base della chiamata dell’Essere.

Io esisto. È la sorpresa delle sorprese. Non finirò mai di stupirmi di questa collocazione nella vita.

Cinquant’anni fa, esattamente il 4 giugno del 1973, i miei genitori si sono sposati qui in questa chiesa di S. Maria della Carità. Da quella semplice storia d’amore sono nati i miei fratelli e io. Come succede per ciascuno e ciascuna di noi.

Esistiamo, come frutto traboccante dell’amore.

La Trinità è incomprensibile, ma forse riusciamo a coglierne il mistero come una neonata che apre gli occhi al mondo e intuisce l’origine del suo essere nel volto amato della mamma e del papà.

Dio è un amore fecondo, di cui troviamo riscontro in tutte le cose create.

Genera vita al suo interno, come una madre che porta in grembo il bimbo; è il cielo che alimenta i fiumi, i fiumi che portano acqua al mare e il mare che ritorna alla terra senza mai fermarsi; è un albero frondoso o pieno di frutti e una pianta che gemma, che nutrono senza rivendicazione ogni essere vivente e che spandono i loro semi. Dio è un fiore che sboccia, che lieto accoglie le api che si arricchiscono del suo profumo per produrre la dolce sostanza del miele.

In ognuna di queste analogie scopriamo che ogni realtà che scaturisce dall’Amore è inserita nell’origine che l’ha generata, tutta appartenente a quella medesima origine, e simultaneamente qualcosa di separato.

Siamo immersi in Dio e esistiamo al di fuori di lui.

Abbiamo la vita, l’essere e l’amore come soggetti liberi, persino autonomi se lo vogliamo, con una dignità che ci è conferita totalmente e che non dobbiamo a nessuno.

Sembra strano affermarlo, quasi contrario alla nostra fede. Ma è il vero significato di un Dio che – come leggiamo nelle letture della Santissima Trinità – non rinnega nulla dell’amore con cui ci ha voluto e spontaneamente generato all’esistenza; un Dio che ha voluto e chiamato il suo popolo alla vita.

Su di esso, come su tutto il creato, Dio dichiara la sua tenera fedeltà per sempre.

Tutto quello che noi possiamo fare – e in verità siamo davvero chiamati a farlo: se c’è un dovere morale è proprio questo! – è custodire questa dignità di creature libere e chiamate ad esistere, senza volgarizzarla, senza farne uno strumento per limitare la libertà degli altri o – peggio – di violenza.

Forse questa riflessione risulta un po’ difficile. Molte delle cose che volevo comunicare sono espresse meglio nel linguaggio della poesia e della musica in una canzone degli One Republic, che mi ha fatto conoscere una ragazza della nostra parrocchia che ringrazio.

Nella festa del Dio Amore che ci ha tutti chiamati alla vita, insieme a mio fratello e a mia sorella e a voi che siete la mia famiglia, al mio papà che celebra con noi dal Regno della Vita e alla mia mamma che ricorda i cinquant’anni dal giorno in cui si è sposata con lui, voglio dedicare questa canzone: “I Lived”.

Qui c’è la musica con il testo.

Qui c’è il video ufficiale, con qualcosa in più.

Don Davide




Il cuore trafitto

Il prodigio più grande operato dallo Spirito nel giorno di Pentecoste, non è probabilmente il miracolo delle lingue, ma la conformazione degli uditori della Parola a Gesù.

“Si sentirono trafiggere il cuore.” (At 2,36).

È Gesù l’uomo dal cuore trafitto (Gv 2,34): un varco per accogliere le ferite del mondo, da cui ne viene un parto di vita.

È, dunque, il suo cuore trafitto la porta delle pecore (Gv 10,7): non abbiamo altra possibilità, come dei novelli Tommaso, che entrare nel cuore di Gesù e imparare i suoi sentimenti, la sua sensibilità.

“Che voi avete crocifisso – dice Pietro – e si sentirono trafiggere il cuore.” (At 2,36).

Don Tonino Bello parlava dei «crocifissi della storia». Papa Francesco parla degli «scarti».

Chiediamo la grazia di sentirci trafiggere il cuore, perché ne venga un parto di vita.

Che il dispiacere sia così insopportabile da spingerci a fermare le guerre, da anelare alla giustizia, da farci carico del destino dei fratelli e delle sorelle in difficoltà e del pianeta avvelenato.

Chiediamo la grazia di sentirci trafiggere il cuore per la tanta sofferenza che ci circonda, l’amore ferito e tradito, l’amicizia affaticata, le vite che invece di espandersi incontrano difficoltà e i giovani angustiati o bloccati.

Chiediamo, infine, la grazia di sentirci trafiggere il cuore per i nostri peccati, perché possiamo riconoscerli e non restarne indifferenti, e perché la vita in abbondanza (Gv 10,10) entri in questo cuore trafitto, e quindi aperto, come esperienza e conferma della grande amorevolezza di Dio.

Don Davide




Misericordiate

“Sia benedetto Dio, per la sua misericordia!” (1Pt 1,3)

Questa esclamazione della seconda lettura si intona perfettamente con il senso dei giorni di grande festa che viviamo.

È grande festa perché è la Domenica in Albis, la Domenica della Misericordia – appunto – che si celebra ancora con tutta la solennità di Pasqua.

È grande festa perché abbiamo le Prime Comunioni dei bimbi – ben 48! – e il Battesimo di quattro bimbi.

In questo periodo abbiamo celebrato abbondantemente la misericordia, sia attraverso il sacramento della Riconciliazione, sia nelle traboccanti liturgie del Triduo Santo.

Ricevendo grande conforto, ho incontrato tante persone in sincera ricerca della verità sulla propria vita e autentiche nella loro richiesta di perdono ricevuto e di riconciliazione data, anche quando quest’ultima è particolarmente difficile.

Gesù risorto, in mezzo ai suoi, consegna un mandato molto preciso: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi.” (Gv 20,23)

In altre parole: se non «misericordiate» voi, chi lo farà?

Se non testimoniate voi la compassione e la tenerezza di Dio, come potrà essere conosciuto?

Tutti questi bambini che fanno la Comunione e le loro famiglie, e i pupetti e le pupette che ricevono il Battesimo ci inteneriscono.

Abbiamo un compito preciso: testimoniare a loro, come chiesa e comunità parrocchiale, la bontà di Dio, la sua guida sicura, l’amore concreto di Gesù, il calore interiore dello Spirito Santo. Da questa meraviglia verranno educati.

Siamo certi che cresceranno orgogliosi e grati di essere figli e figlie di Dio.

E che questa compassionevole benevolenza della misericordia, che ricostruisce la fiducia nella vita, raggiunga ogni persona che conosciamo e si allarghi al mondo intero.

Troppi dolori e troppe atrocità, nascondono il vero volto di Dio.

Gesù risorto, che sta in mezzo a noi augurando e affidandoci pace e misericordia, vuole che tutti lo possano incontrare.

Don Davide




Abitati da Dio

Se leggiamo nei libri di storia o negli annali, troveremo il racconto delle guerre e della modifica dei territori legati al potere di chi governava e le cronache di come le condizioni economiche hanno inciso sulla vita pubblica e sociale, il disagio dei poveri, insieme ai grandi eventi atmosferici o situazioni come le malattie o qualche altra disgrazia; in alcuni casi scopriremo chi ha vinto il premio Nobel, qualche fondamentale scoperta scientifica o, più popolarmente, chi ha vinto i Mondiali di Calcio come riscatto di un popolo o qualche altra impresa sportiva… ed è esattamente quello che è accaduto anche nel 2022 se lo guardiamo macroscopicamente, perché il tempo è così. Percepiamo una saggezza disillusa nel libro del Qoelet che descrive questa situazione: “Non c’è niente di nuovo sotto il sole, gira e rigira il vento coi suoi giri. Tutto è vano” (cf. Qo 1,1-11).

Certamente però, in questo 2022, nascosti agli occhi dei grandi eventi, ci sono stati momenti straordinariamente felice e affettuosi e, per qualcuno, momenti terribilmente tristi e dolorosi; anche queste cose si ripetono con una certa ciclicità, di cui

la sapienza cristiana suggerisce di apprezzare le cose belle,

di goderne il più possibile appieno con la consapevolezza che possono presto lasciare il passo alle cose dell’altro segno.

Però, differentemente da quello che si può osservare con uno sguardo solamente umano, il nostro spirito sa che tutto questo tempo è abitato da Dio e, se lo scrutiamo spiritualmente, leggiamo la fedeltà di Dio che mi ha fatto grazia con la sua visita.

In questo giorno celebriamo Maria, Madre di Dio. Nella sua espressione paradossale questo titolo ci ricorda che

tutte le volte che ci rivolgiamo a Maria, Dio viene generato in noi,

possiamo riconoscerne appunto la sua presenza e ricordare che il nostro tempo e la nostra vita, se vogliamo, possono essere abitati da Dio.

Don Davide




Il bagliore del Paradiso

In quest’ultima domenica dell’anno liturgico, Gesù ci invita a guardare dalla sua prospettiva.

In un salone regale, il re sta di fronte al popolo e tutti lo guardano. Questa è la grande scena che viene descritta: “Dopo che ebbero crocifisso Gesù il popolo stava a guardare…”. Al centro, l’evangelista pone la spiegazione di questa scena: “Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».”

C’è dunque un re sul suo trono e i sudditi al suo cospetto. Stavolta, però, sono spettatori, per lo più. Osservano, probabilmente qualcuno con un certo senso di rivalsa, la caduta che prima o poi tocca tutti i monarchi. Gli altri capi lo deridono: questo è il destino normale tra chi si contende il potere. Anche chi conosce solo la logica del salvare se stesso lo deride: un re che non è nemmeno in grado di usare la sua autorità in proprio favore è un povero zimbello.

Nessuno sembra fare caso al fatto che il trono non è coerente.

I Romani non potevano davvero considerare che Gesù fosse una minaccia per l’Imperatore, mentre i capi di Israele sono davvero convinti che sia la giusta punizione per un re pretenzioso, laddove Erode, il vero re, riduceva il popolo a uno schiavetto dei Romani.

All’unico che si accorge di questo indizio elementare, ma decisivo, Gesù apre gli occhi su una scena completamente diversa. Il ladro penitente riconosce che la croce non è un trono, ma una pena e che il regno di quell’uomo che tutti invitano a mostrarsi “regale” deve essere affatto diverso.

È allora che Gesù, come in un sussurro gli parla.

“Io non ho mai voluto fare «il capo», perché tutti devono essere liberi. Anche quelli che mi amano di più, li ho lasciati liberi persino da me stesso.

“Non bisogna deridere nessuno, né infliggere dolore, né – tantomeno – governare o ingannare con le armi.

“Ci sono tanti, troppi che soffrono. Ho provato a sentire il loro dolore, a condividerlo e a restituire loro fiducia nella vita.

“A me non interessa di salvare me stesso, ma che il nostro ricordo sia presso il cuore del Padre.

E ora sali su questa specie di trono, qui dove sono io e guarda dalla mia prospettiva. Osserva.

Quel regno che dicono loro a me non interessa, ma il Paradiso per me è questo che ti ho descritto: lasciare liberi, non ingannare, dare fiducia, essere insieme presso il cuore di Dio.

Vedi, se guardi da qui, la luce è così grande che anche da questo buio puoi vedere il bagliore del Paradiso.”

Don Davide




Giunga la gratitudine

“Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” (Lc 9,54).

Ma Gesù li rimproverò (cf. Lc 9,55).

Quante volte abbiamo avuto la tentazione di entrare in polemica, in nome della giustizia?

Ad esempio, rispetto all’ultima uscita di Fedez, sul tema della castità: è già la seconda volta che Fedez dice una sciocchezza sui social contro la Chiesa/Vaticano, senza sapere ciò di cui parla.

Adesso mi scoccia, perché i tantissimi ragazzi e le tantissime ragazze che conosco e a cui sono affezionato, per me sono delle persone concrete, non dei follower, e io ho condiviso moltissimo delle loro storie. Non mi sono mai permesso di giudicare le loro esperienze, anche sessuali, e con chi ha voluto confidarsi, ho cercato di aiutarli a vivere bene la loro maturazione in questa dimensione della vita.

Non voglio nemmeno entrare nel merito della questione: se a qualcuno interessasse, potrei fare un trattato, ma una cosa la voglio dire: io non mi sognerei mai di incoraggiare qualcuno a cui voglio bene a fare una cosa bella utilizzando un’espressione volgare, che per di più significa: usare sessualmente una persona per il proprio piacere.

Ma Gesù i suoi discepoli addirittura li rimprovera. E io non voglio farmi sgridare da Gesù.

Perciò lascio subito l’agone polemico e volgo lo sguardo altrove.

Mi chiedo come uscire da tale grettezza che ci circonda e genera consenso, e raccolgo dalla liturgia di oggi tre parole:

1)La grandezza

2)La libertà

3)Gesù

C’è la grandezza di chi sa riconoscere i grandi, nel vero senso della parola, come chi fiuta i veri profeti, prima che se ne vadano, e si mette alla loro scuola.

C’è la libertà che ci consegna il Nuovo Testamento, che è la posta in gioco della vita. Noi tendiamo sempre a tornare schiavi di noi stessi, delle nostre paure, delle nostre convenzioni e delle nostre logiche solo mercantili. Mentre la libertà è il grande esercizio per aprirci allo Spirito e giocare su un altro livello.

Infine, c’è Gesù, persona amata e tanto desiderata, che più mi attira a sé, più apre sentieri, sfida la morte e mi fa assaporare il Regno di Dio.

Che cosa sia questo regno di Dio, mi mancano le parole per dirlo. Lo riconosco, però, quando mi sento libero di amare e quando vedo la grandezza dei grandi anche nelle cose piccole, di chi è fedele alla propria responsabilità, di chi è gentile, generoso, buono, altruista.

Quando vedo la grandezza di chi serve; di chi studia per il bene dell’umanità; di chi piega se stesso verso il bene; di chi riconcilia e perdona, di chi educa; di chi fa un passo in più quando potrebbe farne uno in meno.

La riflessione si potrebbe fare lunghissima.

Fiuto che ci sono tantissimi profeti, accanto a me.

Giovani e meno giovani Jedi, che magari non impugnano la spada laser, ma non di meno percorrono le vie della Forza. A tutti costoro, contro ogni grettezza, giunga il grazie della nostra comunità cristiana.

Don Davide

 




SS.ma Trinità

Così tante cose belle

da vivere,

così tante persone

da amare,

e così poco tempo

per farlo.

Tuttavia voglio vivere

accordato alla Tua provvida

Provvidenza,

come semicroma agganciata

al suo pentagramma.




Pregare i Salmi a Gerusalemme

Ho avuto in questi giorni l’occasione di pregare i salmi davanti al “Muro del Pianto” – o Muro Occidentale – a Gerusalemme. Opportunità che, tra l’altro, si intona perfettamente con la mostra di ArtCity che ospitiamo in questi giorni nella chiesa di S. Valentino.

Tra i tanti, ho pregato questo versetto: “Si dirà di Sion, l’uno e l’altro è nato in essa, e l’Altissimo la tiene salda.”

Eppure, se c’è una città divisa, è Gerusalemme.

Il vangelo di questa domenica ci dice che uno degli effetti maturi dell’esperienza spirituale della resurrezione è quello di abitare le contraddizioni, anzi di superarle. Dalla liturgia, ci viene riproposto il momento in cui Giuda abbandona il gruppo, per tradire Gesù. Nel momento in cui Giuda esce dal Cenacolo, Gesù parla dell’azione di Dio.

Ma come?!

Gesù è tradito e il Padre glorificato? Gli uomini si dividono e l’amore si fa spazio? L’uomo fallisce e Dio trionfa?

In tutti i salmi composti per avvicinarsi al Tempio si invocava e si augurava la pace su Gerusalemme. E una volta raggiunto il Tempio, si cantava l’Alleluia.

Così, pregare i salmi davanti al Muro Occidentale, dove una volta sorgeva il Tempio e ora due moschee, circondato dai luoghi cristiani, mi ha reso più consapevole che, sicuramente, noi uomini non siamo in grado di governare le nostre contraddizioni, ma il Signore sì.

Non è un’affermazione per non assumere le nostre responsabilità, ma un aprirsi alla fiducia.

Gesù sa trasformare persino un tradimento; e Dio ricompone le frammentazioni e le distonie che generano gli uomini, in una preghiera corale e armonica per la pace.

Così, la Pasqua che penetra nelle nostre vite, spinge anche noi non a guardare al passato, in nessun caso, ma a riconoscere cosa sta nascendo, cosa si sta generando di nuovo.

Don Davide