La sapienza evangelica

“Un tale corse incontro a Gesù”: aveva urgenza quell’uomo!
Vi leggo, simbolicamente, la stessa urgenza di cose buone che hanno gli uomini e le donne di oggi.
Non importa che le analisi ci dicano che nell’Occidente cristiano, semmai, si corra in direzione opposta a Gesù, e il fatto che alcuni, più in generale, non cerchino cose buone e pratichino quelle cattive non ci deve trarre in inganno; in quest’ultimo caso, spesso, si tratta di un’espressione molto disordinata del desiderio di una vita che valga la pena di essere vissuta.

Tuttavia, proprio in quell’incontro tanto desiderato (e probabilmente a lungo atteso) si consuma una crisi. L’uomo si trova disorientato. La sua motivazione inspiegabilmente crolla: rifiuta le possibilità aperte da Gesù, ma rimane tremendamente perplesso. È triste.

C’è una cosa che possiamo imparare, fondamentale e decisiva: la disponibilità di rimanere aperti a prospettive diverse dalle nostre, di imparare qualcosa che non sappiamo ancora, di essere condotti su territori nuovi. Abramo lo fece a novant’anni: non c’è vecchiaia che tenga!

Gesù ci indica la sapienza evangelica. È una via non omogenea al mondo. Si può apprendere solo se disponibili, si può apprezzare solo se la si pratica. Quello che accade nel nostro cuore è un’opera spirituale, non spiegabile con altre esperienze umane. La sapienza evangelica “è viva, efficacie, più tagliente di ogni spada a doppio taglio”: tocca la nostra esistenza, ci aiuta a fare le scelte, se non siamo anestetizzati ci fa sentire spesso un acuto bisogno di conversione.

Penetra in un luogo profondissimo “dentro” di noi, raggiunge nodi complessi che nemmeno siamo capaci di districare, e opera percorsi di guarigione e di consolazione.

Alla fine, o nel cammino, uno sperimenta un dono sovrabbondante (“cento volte tanto”, dice Gesù), non perché tutto vada alla perfezione, ma perché ci si può sentire completi e integri, anche in mezzo alle turbolenze del mondo.

Don Davide




Una catenina…pesante!

Prepariamo le Prime Comunioni, che celebreremo sabato 9 ottobre in due turni, e proviamo a riprendere oltre al catechismo, anche i gruppi giovanili.

Gesù parla di una macina da mulino appesa al collo a chi scandalizza i suoi piccoli che credono in lui… Una macina da mulino… non è esattamente come indossare un gioiello di Pandora o una catenina al collo!

Sento la grande responsabilità di non “disperdere” la fede dei credenti di qualunque età, e di avere una preoccupazione speciale per quella dei ragazzi e delle ragazze, che deve ancora maturare, trovare le motivazioni, fondarsi.

Dobbiamo provare ad essere una comunità che non arresta il loro percorso, ma lo favorisce, in percorsi belli, anche impegnativi, ma senza trabocchetti o inganni: questi sono gli scandali che Gesù menziona nel vangelo.

Gesù insegna, metaforicamente, a togliere quello che è di intralcio, ciò che porta a un’esperienza negativa, che è logoro. Tagliare e potare: nel Vangelo sono spesso immagini per fare spazio, presupposti a quella rinascita dall’alto che apprendiamo dal dialogo tra Gesù e Nicodemo.

Perciò, invito tutti noi a un impegno: focalizziamoci sulla fede essenziale, su quelle scelte che sono veramente evangeliche e che sono animate dallo Spirito del Signore, giudicate degne, decise insieme ed essenzializziamo i nostri comportamenti personali su ciò che rende testimonianza di Gesù.

Scopriremo tanti compagni e compagne di viaggio, che come noi testimoniano l’amore di Dio nel suo nome.

Don Davide




Se sapete ciò che fate… (per gli Under 20)

Sentiamo Gesù che dice: “Ascoltate e comprendete bene” e pensiamo che si voglia imporre, senza diritto, sulla nostra vita. Forse, ai più ribelli viene da pensare: “Ma cosa vuole questo? Perché dovrei dargli retta?!”.

Eppure, scopriamo che Gesù valorizza il bisogno di autenticità delle persone che lo circondano, ed è convinto che proprio la ricerca dell’autenticità porti ogni giovane alla sua unità e integrità.

Con un capolavoro di amicizia, Gesù inverte le prospettive e si avvicina a ciascuno e ciascuna di voi: mentre per alcuni, la ricerca di autenticità dei giovani appare una cosa eccentrica, Gesù afferma che è proprio quella che vi farà conquistare voi stessi.

L’importante è che siate consapevoli di ciò che state facendo. Se sapete ciò che fate… beati voi!




Dal nucleo

La scena del vangelo di questa domenica ha una triplice intensificazione. Prima Gesù risponde a una disputa pubblica sulle questioni della purità rituale, poi approfondisce il discorso in una casa, portandolo sul tema dell’interiorità, infine risponde personalmente ai suoi discepoli.

Purtroppo, nel taglio della versione liturgica, si perde il senso di sgomento dei discepoli, che – appunto – “lo interrogavano”, perché si rendevano ben conto della rivoluzione delle parole di Gesù.

Sulla scia dei profeti, in un mondo dove il sacro e il contatto con il mistero di Dio veniva definito dalle pratiche esteriori, Gesù costruisce l’interiorità. È quello il luogo dove si gioca la qualità della nostra esistenza: se riusciamo ad essere integri, interi, con ciò che proviamo.

Qui la questione diventa delicata, perché noi tendiamo a pensare che “essere integri con ciò che proviamo” significhi solo dare retta alle nostre emozioni e ai nostri sentimenti… ma non è così. Il punto è che ciò che viviamo sia un tutt’uno tra i nostri propositi, il nostro stile, le nostre scelte di vita, gli obiettivi che abbiamo, ciò che diciamo e ciò che facciamo. Un esempio perfetto, in negativo, è quando dobbiamo mentire: se mentiamo, vuol dire che queste dimensioni non sono allineate.

L’interiorità è una cosa desueta. Oggi vanno più di moda le belle foto su Instagram con le frasette carine… ma anche in questo esempio possiamo osservare un bisogno di interiorità. L’esposizione esteriore di sé in un’immagine proposta al pubblico esprime, in realtà, il bisogno di raccontare qualcosa di vero… che spesso deve addirittura essere esplicitato appunto con una frasetta, che esprime ricerca di interiorità.

Alla fin fine, per tutti l’interiorità è la cosa più preziosa che abbiamo. Solo che spesso è una gran confusione, perché ci sono troppe forze che spingono e non sappiamo come manovrarla, inoltre ci sono pochi maestri.

Gesù, tra l’altro ci mette in guardia che, paradossalmente, i nemici vengono proprio dall’interno. La nostra interiorità è come un fortino, al cui interno ci sono dei traditori; oppure come un muscolo che… sì certo, si può fare male prendendo una botta, ma è molto peggio quando si strappa per l’uso o per un movimento sbagliato. Bisogna avere cura pazientemente e di continuo di questo muscolo che è l’interiorità, in modo da impedire di farsi male e di sgominare i “traditori”.

Gesù conclude la lista di questi nemici parlando dell’insensatezza. Possiamo vigilare, quindi, cercando di non fare cose “insensate”, rimanendo padroni di noi stessi e in contatto con la nostra consapevolezza. In un manoscritto raro dei vangeli, c’è una glossa che attribuisce a Gesù questa affermazione: “O uomo, se sai ciò che fai, beato te!”.

Beato chi ha la consapevolezza di sé ed espande la sua esistenza come il Sole che irraggia calore dal suo nucleo.

Don Davide




Cose grandi e umili

Nella liturgia di oggi c’è un tema di leadership cristiana.

Il profeta Ezechiele propone una parabola al termine di una riflessione che offre un confronto serrato fra Dio e tutti gli altri re e imperatori che hanno preteso di rivaleggiare con il suo potere.

Essi, dice il profeta, sono come alti cedri, maestosi e imponenti, ma il Signore eleva tra questi cedri un ramoscello, una cosa piccola, ancora nascente, la pone sulla cima del monte… perché “sappiano tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore: che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso…” (Ez 17,24).

Gesù ci propone, innanzitutto, la parabola del seme che cresce da solo, per affermare che il Signore mette in gioco una forza inarrestabile che permette al seme di crescere, anche indipendentemente dall’attività del contadino. In seguito, Gesù introduce una differenza significativa con il riferimento corrispettivo del profeta Ezechiele: il granello di senape non è come il ramoscello del cedro. Il granello di senape cresce e diventa il più grande di tutte le piante dell’orto e gli uccellini possono fare il nido alla sua ombra, nel senso che senz’altro possono trovare un piccolo ristoro, ma certamente non svolazzare e rifugiarsi sotto di esso come sotto il cedro.

Siamo dunque invitati non tanto alle piccole cose, ma a quelle grandi vissute con un atteggiamento umile e prudente: non tante cose, ma una che possa crescere; non la pretesa di essere uno spazio immenso o la presunzione di coinvolgere tutti, ma la disponibilità di fare ombra a chi vuole.

Ci si potrebbe chiedere dove vada a finire lo slancio missionario, la conversione pastorale che papa Francesco ci chiede. Mi sembra che il punto sia la decisione ferma di vivere questo impegno in maniera non autoreferenziale, che vuole dire non nella cornice della nostra visione e del nostro punto di vista, ma col tentativo di cogliere la realtà, le sfumature e le connessioni.

In questo senso, la grandezza della pianta di senape non è di essere immensa, ma di esserci per le altre piante dell’orto: di portare ombra in modo che tutto possa svilupparsi in maniera salutare e giusta, e così di favorire e collaborare con l’energia che Dio mette in ogni cosa che deve crescere.

Don Davide




Guarire la solitudine

Il Vangelo di Marco ci presenta un’umanità afflitta da molti mali, alcuni più simbolici come una febbre che non ci fa essere attivi, altri più seri come delle vere e proprie malattie mortali. La parola, i gesti e la presenza stessa di Gesù vengono indicati come una liberazione da tutto ciò: appena uscito dalla sinagoga, si sprigiona da lui la potenza del Regno di Dio.

Ascoltando l’amara riflessione di Giobbe nella prima lettura, siamo spinti a riconoscere che c’è un male attuale più di ogni altro: la fatica del vivere, lo smarrimento del senso, la solitudine.

Anche chi – per fortuna o per merito – non conosce queste esperienze e le opprimenti situazioni emotive che provocano deve fare spazio nel proprio intimo e ascoltare il grido di chi ne soffre. È un’empatia necessaria. Ci sono tanti nostri fratelli e sorelle che gemono schiacciati da difficoltà troppo grandi per loro, che si chiedono come Giobbe che senso abbia esistere ed esistere così, e che sanguinano per la solitudine.

L’espressione più estrema di questa esperienza, qualcosa di analogo alle dimesse parole di Giobbe di oggi, è descritta da un grande scrittore e filosofo, che indica senza individuarlo il punto di rottura, quello che lascia molti essere umani come naufraghi solitari nel mondo:

«Ci dev’essere stato un momento di comunione in cui non avevamo alcuna obiezione da fare al mondo; com’è allora che la nostra solitudine è così profonda?

Dev’essere successo qualcosa, ma le radici della deflagrazione ci restano impenetrabili.

Noi ci guardiamo attorno, ma più nulla ci sembra concreto, più nulla ci pare stabile.» (Houellebecq, Cahier).

Oggi la Chiesa Italiana celebra la 43° Giornata per la Vita. A ben guardare, tutte le situazioni difficili o addirittura tragiche per la Vita hanno a che fare con la solitudine e con la fatica del vivere. Assumere la propria responsabilità per la Vita e per aiutare chi è in qualsiasi tipo di crisi significa soprattutto soccorrere questa solitudine, alleviare con dolcezza, amicizia e ogni premura quella sensazione che l’esistenza sia troppo grande e difficile da affrontare.

Il Vangelo risuona come una medicina alla malattia mortale di questo tempo: la solitudine. È importante ricordare che questa cura non avviene solo con l’annuncio della parola, ma anche con gesti concreti e con la presenza, proprio come faceva Gesù.

Per questo l’apostolo Paolo, nella seconda lettura, scrive che annunciare il Vangelo è una necessità che si impone: per quel desiderio di soccorrere coloro che hanno bisogno di essere aiutati a riconoscere o a riscoprire la Vita, propria o altrui, come una benedizione.

Don Davide




Dove abiti tu?

Dimorare
Abbiamo tutti bisogno di trovare un luogo dove stare, in cui sentirci a casa.

Gli innamorati quando si innamorano, gli sposi quando edificano la loro casa, i ragazzi che cercano un gruppo di appartenenza, chi segue le mode, chi condivide o mette “mi piace” a una playlist su Spotify, chi si iscrive a un canale YouTube… tutti cercano un “posto” non solo fisico e non immateriale da cui attingere un tratto di vita.

È la ricerca di una dimensione “spirituale”, che faccia sintesi delle esperienze del corpo, dell’anima, dei sentimenti e delle emozioni, per farci trovare senso e bellezza nelle cose, e riconoscere che questa esistenza merita di essere vissuta.

«Dove abiti?» 
Chiunque cerca una guida, un mentore, un compagno di viaggio e una persona da amare, o anche semplicemente un gruppo di lavoro o una comunità dove stare, porta questa domanda nel cuore.

La domanda che i discepoli di Giovanni Battista rivolgono a Gesù, dunque, esprime almeno due sfumature:

1) Dove abiti perché ti possiamo seguire, perché possiamo abitare lì anche noi?! Sei affascinante per me? Sei in grado di farmi sentire vivo?
2) Dove abiti TU. Che cos’è che fa vivere te, Gesù? Cos’è decisivo per te, Maestro?

Entrambe le domande sono importanti, ma la prima è più inflazionata. Per me la seconda è molto più interessante: cos’è, Gesù, che ti ispira? Qual è il segreto tuo?

Colui che dirada le tenebre
Avete presente quando si incontra un “guru” in qualche ambito (uso la parola “guru” nel suo significato originale di “colui che dirada le tenebre”)? Ecco, quando si incontra uno che ti chiarifica o ti illumina a partire dalla sua chiarezza, ci si chiede sempre quali siano le sue sorgenti, chi siano stati i suoi maestri, come abbia percorso quel cammino che l’ha portato ad essere così.

Ecco, i discepoli di Giovanni Battista dovevano avere pensato questo del loro (primo) maestro. Giovanni era un uomo “pazzesco”, straordinario. Secondo le fonti ha lasciato il segno nella comunità di Gesù ancora per più di un secolo. Gesù stesso lo avrebbe definito «il più grande tra i nati di donna». Loro, i suoi seguaci più stretti, dovevano avere pensato che la loro ricerca più profonda era compiuta, come lo sportivo che fosse certo di avere trovato il miglior allenatore possibile.

Invece lui, il Battista, indica Gesù.

Da qui quella domanda lapidaria, piena di aspettative, di curiosità e di ricerca: «Maestro, dove dimori?».

Gesù
Quello che aveva da dire Gesù era sproporzionato per una sola risposta. A quel punto, egli non può che ribattere: “Venite e vedrete.” Ti introduco in qualcosa di talmente sorprendente, che non vorrai più rinunciarci.

I discepoli lo avrebbero capito ben presto… e anche noi lo capiamo nella nostra esperienza cristiana. Al seguito di Gesù siamo istruiti in uno stile e una vita delle relazioni, con gli uomini e con Dio, che non finiamo mai di imparare. La sua vicinanza, il suo affetto, la sua autenticità superano sempre quello che pensiamo di avere potuto ammirare. La sua onestà di fronte alla “serietà” e bellezza della vita, e allo stesso tempo la sua capacità di vivere cose vere e di farci capire come la vita andrebbe vissuta, non cessano di affascinarci e di attrarci.

Un giorno nuovo
Giovanni, l’evangelista, ricorderà quel giorno per tutta la vita. Quando scriverà il Vangelo, da uomo molto anziano lui, che era stato il discepolo più giovane, non mancherà di appuntare: «Erano circa le quattro del pomeriggio». La nota non è solo la testimonianza commovente della bellezza di quell’incontro, ma molto di più. Nel conteggio ebraico del tempo che conta i giorni non a partire dal mattino come noi, ma dal crepuscolo, quel ricordo indica l’inizio di un giorno nuovo.

Don Davide

tramonto




L’olio non finirà

“Il regno dei cieli è simile a dieci vergini…” è l’apertura del Vangelo di domenica (Mt 25 1-13). Cinque di esse sono stolte e cinque sapienti. Sembra la rappresentazione del mondo di oggi sotto gli occhi di tutti: abbiamo persone di tutti i tipi, pregi e difetti scorrono tra le righe quotidiane e sono esperienza di tutti. Queste vergini hanno tutte delle lampade ossia, partono tutte con la stessa dotazione per andare incontro allo sposo della parabola. Però, non tutte prendono l’olio, che è sempre a disposizione di tutte loro. Appare dunque evidente che la differenza tra le stolte e le sapienti non è su ciò che sono o ciò che hanno, ma su ciò che scelgono di fare, sulla propria volitività, sulla determinazioni delle azioni possibili. Possono essere del regno nuovo se agiscono e se lo fanno con sapienza. Non manca nulla a nessuno. La buona notizia è per tutti: recepire l’invito alle nozze significa essere pronti ad agire. Il vangelo non è un salotto, buono o cattivo che sia, è invece prendersi cura di sé per vivere pienamente le nozze con il Risorto.

L’evangelista Matteo in questo brano, ci dice non è sufficiente essere invitati e rispondere positivamente all’invito. A tutti è concesso sempre di essere vergini, riscrivere sempre la propria vita e in ogni momento, a tutti è concessa la lampada per le vie buie e sappiamo bene come la vita presenta sempre strade difficili. Ma ciò che rende il credente diverso, è l’essere recipiente della sapienza che agisce, che non si trascura, che non rimanda, che ama l’incontro con lo sposo.
La sapienza si fa trovare se la cerchi. Ti anticipa, se la desideri. Se ti svegli presto, la trovi alla porta. Essa stessa vuole inondarti con ogni benevolenza (Cfr Sap 6, 12-16), ma devi scomodarti, rompere gli schemi di convinzioni e credenze, renderti nuovo. In altre parole, lanciarti con fiducia verso le tue capacità nelle braccia amanti di Cristo.
Il regno dei cieli può essere qui, ora, in questo momento, puoi essere la sposa più felice e non autoescluderti senza rimanere fuori dalla porta, se provvedi tu a ciò che ti serve davvero per questo incontro. A che serve lamentarsi delle cose che non vanno bene se non mettiamo olio in abbondanza nelle nostre lampade.
La luce della Parola, dall’olio di un fare sapiente, illumina e riscalda il tuo cammino, anche in questo tempo di pandemia.

Anna Maria e Francesco Paolo




Fare, credere, convertirsi

Gesù propone un insegnamento sul “fare la volontà di Dio”, perfettamente coerente con la tradizione di Israele. Come ormai sappiamo bene, infatti, per Israele le Parole del Signore – che sono le indicazioni divine per la Vita – prima si “fanno” e poi si “ascoltano e comprendono”. È una sapienza molto pratica, che non prevede che il rapporto con Dio si possa apprendere solo intellettualmente. È il contrario: la pratica della vita, l’esperienza, permette di aprire il cuore e la mente a quei misteri che, altrimenti, sarebbero inaccessibili e incomprensibili.

Anche la catechesi di oggi e il tentativo di comunicare la fede dovrebbe sempre tenere presente questo criterio.

Il tema dell’insegnamento di Gesù, nel vangelo di questa domenica che ci propone l’esempio dei due figli, è dunque questo: che uno dice, ma non fa e l’altro fa, senza dire.

Sorprendentemente, però, Gesù associa il significato di questa storia al “fare” dei pubblicani e delle prostitute, che non è un fare, ma il credere.

Anzi, a ben guardare – leggendo tra le pieghe della narrazione evangelica – spesso queste persone considerate peccatrici, impure ed escluse dal culto, si trovavano nella posizione di essere affascinate dalle parole di Gesù, senza riuscire effettivamente ad uscire dalla loro miserevole e contraddittoria condizione.

Ma la predicazione di Gesù apriva comunque uno squarcio, lavorava sotterranea, come un torrente carsico o una goccia che scava la roccia. E così, infine, era proprio il loro credere, credere che quell’annuncio di vita, di bene, di nuove possibilità che si radicava nella vicinanza di Dio attraverso Gesù potesse riguardare anche loro, che pian piano, ma inesorabilmente, li cambiava.

E si convertivano.

Il racconto delle figure come Levi, come Zaccheo, come la donna che lava i piedi di Gesù con le sue lacrime sono simbolici di quello che poteva accadere a tutti loro.

Dunque, raccogliamo due insegnamenti.

Il primo è che possiamo puntare a mettere in pratica qualcosa del Vangelo fin da oggi. Questo fare e mettere in pratica ci aiuterà a scoprire che le visioni che la fede ci offre sono vere, autentiche e penetrano il senso profondo dell’esistenza. La sorpresa e la profonda consonanza con i nostri bisogni più veri aprirà il nostro cuore alla fede e, di conseguenza, a convertirci in tutti quegli aspetti che hanno bisogno di essere illuminati dall’amore di Dio.

Il secondo è che credere nelle possibilità di bene instillate dalla vicinanza di Gesù ha il potere reale di cambiare in meglio la nostra vita. Di migliorare le nostre relazioni, di amicizia e di amore; di fare scattare qualitativamente la nostra crescita e la nostra maturazione; di ottimizzare il nostro studio, la nostra professionalità; di vivere con più lucidità sui nostri buoni propositi, con meno, ansia, più pace e consapevoli della pienezza verso cui tendiamo.

La porta è aperta e il cammino della vita è davanti a noi.

Don Davide




Ogni cosa è illuminata

“Hai tenuto nascoste” afferma laconicamente Gesù, indicando un tratto misterioso di Dio Padre.

Queste cose nascoste sono impedite ai dotti e ai sapienti, ma sono rivelate ai piccoli. Non è una requisitoria contro lo studio o contro il desiderio di saggezza; né tantomeno la volontà di denigrare chi si impegna nella formazione: qui l’elemento chiave è il tema della piccolezza, dell’umiltà e della semplicità.

In questo ambito di un’adesione alla realtà senza sovrastrutture, con umile accoglienza e immediatezza, si rivelano le cose che altrimenti Dio tiene nascoste.

Domenica scorsa Gesù ci consegnava l’insegnamento di un bicchiere d’acqua offerto, che può cambiare le sorti di una vita e fare sperimentare la salvezza a chi offre e a chi riceve: una cosa piccolissima, che forse senza l’adesione alla realtà, sfuggirebbe alla nostra attenzione. Invece Dio rivela ai semplici la potenza di questo gesto.

In questo sguardo della semplicità posata sull’esistenza, ogni cosa è illuminata: la gratitudine, un sorriso, il gesto paziente e quotidiano che fra molti anni produrrà un grande risultato, come studiare qualche pagina di un libro difficile, che un giorno si trasformerà in una laurea e, molto di più, in una competenza; o il solfeggio degli studenti di musica, pratica noiosa che prelude alla composizione di una sinfonia.

Ogni cosa è illuminata, come un genitore che cambia il pannolino a un bimbo piccolo e – alla fine – avrà donato la vita a una persona; o l’impegno di un* giovan* a modificare in meglio il proprio temperamento, che un giorno produrrà una cultura di pace.

In una foto artistica, quando la luce è quella giusta, anche le cose che rimangono nell’ombra appaiono rilevanti. Parlandoci di Dio Padre come fa nel vangelo, Gesù sembra tratteggiarlo come un maestro fotografo, che usa l’esposizione perfetta, perché ogni cosa sia illuminata, e anche quelle nascoste siano nella giusta luce.

Così facendo, innanzitutto, Dio ci fa apprezzare la profondità del reale, come appunto in una splendida fotografia, e ci fa ammirare le sfumature senza stancarci.

Ma soprattutto, stimola la nostra curiosità, perché rimaniamo con le domande che ci fanno cercare e vivere:

-Che cosa è essenziale?

-Qual è il segreto nascosto che posso scoprire?

-Come posso guardare la mia vita, per vedere che ogni cosa è illuminata?

Nella prima lettura, il profeta preannuncia come l’incontro con il Messia sarà anche frutto di questo sguardo.

Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo ci spiega che così la vita spirituale assume una forma concreta e viene sottratta a quell’interpretazione “spiritualistica” che spesso la squalifica.

Può accadere, quindi, che educarci continuamente ad aderire alla realtà con cuore semplice e umile ci aiuti a fare esperienza di Gesù e a seguire un sentiero spirituale che si dipana man mano che si rivela.

In una giornata di pieno sole in estate, saremo sicuramente aiutati a vedere che ogni cosa è illuminata.

Don Davide