La Trinità col grembiule

La Trinità è una questione di intimità.

Noi tutti abbiamo un grandissimo desiderio di intimità. In fondo, l’amore stesso è questo: desiderio di intimità.

Dio che si svela vuole esaudire e soddisfare questo bisogno di intimità e di appartenenza. Ci ama, è lieto di stare con noi, si intrattiene alla nostra presenza.

Ci apre la porta della sua stanza segreta e ci rende partecipi del suo amore, della sua storia.

È vertiginoso parlare di Trinità e storia.

Eppure, invitandoci nella sua stanza, ci mostra le foto di quando ha costruito la casa in cui abitiamo, di quando ha visitato Abramo nel deserto e ha poi fermato il suo braccio su Isacco, di quando ha parlato a Mosè nel roveto, lo ha accompagnato nella colonna di fuoco e di fumo, ha inciso il cammino sulle tavole di pietra. C’è una foto stupenda di lui, grande e onnipotente, mascherato da angelo, con una piccola, ma tenace ragazza di Nazareth. Ci parla poi del battesimo del Figlio, delle sue nozze con l’umanità e dello Spirito Santo che faceva da testimone e che dopo, conquistava tutti i suoi amici. Ci racconta la sofferenza di quando suo Figlio è stato incompreso, offeso, bullizzato e ferito, e lo sgomento di quando era stato perduto nella morte, e della gioia incontenibile di quando poi è stato ritrovato nella potenza dello Spirito della vita.

In un’altra parete, vediamo le immagini dei suoi viaggi, non solo nel mondo, ma attraverso il tempo. Lo vediamo sempre con abiti diversi, alla moda, insieme a tanti amici famosi e a tante persone sconosciute. Ecco una foto con Agostino di Ippona, mentre gli sussurra “Tolle et lege!”, e quella con Francesco d’Assisi, quando gli spiega chi vale la pena servire. Eccolo che guida la penna di Caterina da Siena e mentre fa due chiacchiere con Teresa d’Avila. Mi piace quella in cui è chino su Martin Luther King mentre dorme e gli ispira un sogno, che è anche il suo. Per non parlare di quando suggerisce a Papa Giovanni XXIII in persona: “Indici un Concilio e parla di pace”. Ci sarebbe stato ancora il mondo, se non gli avesse dato questo suggerimento?

Ma quelle che mi piacciono di più, a dire il vero, sono le foto in cui è accanto al soldato semplice prima della battaglia, o alla nutrice che accudisce un bimbo non suo. E quella bellissima immagine con la ragazza che lavava i pavimenti nella sala del re, e anche quella mentre spinge il carrello della spesa di fianco a quella donna con due gemelli in braccio.

E che dire, ancora, di quella in cui è vestito da infermiere, e di quella in cui fa l’insegnante in una scuola del Pakistan? E quella in cui muove di nascosto la mano dell’artista o aggiunge un pizzico di lievito all’impasto del fornaio?!

Forse, tra tutte, scelgo proprio questa: quella di Dio col grembiule del panettiere, un po’ infarinato, mentre modella la pasta del mondo.

L’ingrediente segreto è la sua determinazione di portare avanti il mondo e la storia attraverso l’amore e tutte le sue fioriture.

Capisco che, riguardo alla Trinità, non c’è tantissimo da capire, o meglio c’è troppo, davvero “troppissimo”. Meglio abbandonare l’impresa e godersi la contemplazione.

Ogni tanto, spero, tornerò a visitare questa stanza.

Nel resto del tempo saprò che questo amico, Dio, ha anche lui – come tutti noi – un suo spazio sacro, un luogo dell’intimità, una sorgente dell’amore, in cui ogni tanto è bene ritornare e sostare.

Don Davide




Dagli scritti del beato don Giuseppe Puglisi (1991) 

(Testo di meditazione proposto dal Seminario Arcivescovile di Bologna per il mese di febbraio 2024) 

Siamo testimoni della speranza. Il testimone per eccellenza è Gesù, il testimone fedele e verace (cf. Ap 1,5). Attraverso la sua morte e resurrezione Gesù testimonia la realtà dell’amore infinito di Dio che «ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio» (Gv 3,16), e dell’amore infinito del Figlio, il quale ha un amore così grande da dare la vita per i propri amici (cf. Gv 15,13). Questo amore di Dio infinito, eterno, da sempre rivolto verso l’uomo, è presente nella storia dell’umanità intera e di ogni uomo. Il discepolo è testimone, soprattutto testimone della resurrezione di Cristo, risorto e presente, Cristo che ormai non muore più ed è all’interno della comunità cristiana, e attraverso la comunità cristiana, è presente nella storia dell’umanità. 

La testimonianza cristiana è una testimonianza che va incontro a difficoltà, una testimonianza che diventa martirio. Dalla testimonianza al martirio il passo è breve, anzi è proprio questo che dà valore alla testimonianza. 

La testimonianza fa penetrare nell’intima natura di Gesù Cristo, nel segreto del suo essere, nella realtà misteriosa della sua persona. Il testimone sa che il suo annunzio risponde alle attese più intime e vere dell’umanità intera e dell’uomo singolo. L’uomo sperimenta che vivere è sperare, il presente è mediazione tra il già e il non ancora, tra il passato e il futuro e chiaramente ognuno di noi costruisce il proprio futuro sulla base del proprio passato. La speranza è la risultante dell’amicizia nel senso più rigoroso del termine; solo gli amici sperano, solo dove c’è l’amicizia c’è speranza.

Il testimone della speranza è colui che testimonia questa amicizia di Dio; colui che testimonia proprio un’amicizia fedele e a tutta prova di Dio stesso. 

Certo, testimone della speranza è uno che esercita, potremmo dire, la vigilanza; la speranza è vigilante. Gesù parla veramente di attenzione alla presenza di lui, alla sua venuta; ma Gesù è venuto, è presente; testimonianza della speranza è proprio una testimonianza vigilante, attenta alla presenza di Gesù. Il testimone è testimone di questa attenzione alla presenza del Signore, attenzione a Cristo che è presente anche dentro di sé. Il testimone è testimone di una presenza del Cristo presente dentro, anzi dovrebbe diventare trasparenza di questa presenza; e testimonia la presenza di Cristo attraverso questa sua vita vissuta proprio con questo desiderio costante di vivere in una comunione sempre più perfetta con lui, sempre più profonda con lui, in una fame e sete di lui. 

A chi, nel profondo, conserva rabbia nei confronti della società che vede ostile, il testimone deve infondere speranza mostrando, insieme all’annunzio della presenza del Signore che ama, fiducia e donando fiducia. 

A chi è pieno di paure, di ansie e quindi non vuole muoversi, perché ha avuto esperienze negative, il testimone della speranza cerca di infondere certezza, risolutezza creativa, coraggiosa, indicando modi concreti e validi di servizio, facendo comprendere che la vita vale se donata. 

A chi è sfiduciato, impaziente, perché ciò che desidera tarda a realizzarsi, deve infondere senso di abbandono in lui, in Cristo. 

A chi è disorientato, il testimone della speranza indica non cos’è la speranza, ma chi è la speranza: la speranza è Cristo; e lo indica attraverso una propria vita orientata verso Cristo. 

Testimone della speranza è colui che, attraverso la propria vita, cerca di lasciar trasparire la presenza di Colui che è la sua speranza,

la speranza in assoluto in un amore che cerca l’unione definitiva con l’amato e intanto gli manifesta questo amore nel servizio a lui, visto presente nella Parola e nel Sacramento, nella comunità e in ogni singolo uomo, specialmente nel più povero, finché si compia per tutti il suo Regno e lui sia tutto in tutti; manifesta insomma quel desiderio ardente di un amore che ha fame della presenza del Signore. 

 

A cura dei seminaristi.

 




Sono qui accanto a te

La pratica dell’Amore

In questa domenica le letture rinnovano le prime declinazioni pratiche dell’amore. Nascono banalmente da una provocazione a cui ci hanno abituato i farisei in queste ultime domeniche: «Qual è il comandamento massimo?» gli chiede un dottore della legge. Gesù non si sottrae alla domanda e richiama lo Shemà’, la preghiera più ripetuta in Israele: il Signore è uno, lui solo ama con tutto te stesso. Poi integra questo comandamento dicendo anche il come, perché non rimanga solo uno slogan, cui tanto siamo ormai abituati. Similmente, ama te stesso e così gli altri. Ama Dio, allo stesso modo, ama te stesso e, così, anche gli altri.

Sono qui accanto a te

Dice Dio, parafrasando la prima lettura: io ti amo quando ti senti forestiero nel mondo e nelle tue giornate, quando ti senti orfano, quando ti senti maltrattato dagli eventi. Ti amo in modo gratuito, senza interessi e così sei ricco abbastanza. Usa la stessa misura verso chi ti è accanto: questo è il massimo per te e per chi ti è vicino. Amati senza giudizio e con generosità. Sii grato per ciò che ricevi e allo stesso modo relazionati con chi incontri. Questo è il massimo che è difficile inserirlo nella categoria dei comandi poiché trabocca di solo amore. L’esercizio è teoricamente semplice: ricevo da Dio che mi colma di grazia eccedente che straripa al mondo.

Nessuno si salva da solo

Il mondo ha bisogno di cristiani così. Ad esempio, l’ultimo rapporto Caritas del 17 ottobre u.s., ‘Gli anticorpi della solidarietà’, ci parla, tra l’altro, di “nuovi poveri” con un’incidenza che passa dal 31 al 45% tra quelli che si rivolgono alla Caritas. Ci sono anche circa 62mila volontari che cercano di amare se stessi amando queste persone, in cui amano Dio.

Non siamo poi così lontani se guardiamo alle carezze che offriamo in casa, agli sguardi sorridenti che regaliamo per strada, dietro le nostre mascherine, ai pensieri/preghiere che pronunciamo per gli altri. Se Dio è così per noi, possiamo esserlo anche noi per gli altri.

Essere coerenti ci rende certi della testimonianza

Nella seconda lettura san Paolo ci dice proprio questo: abbiamo seguito l’esempio del Signore e noi possiamo diventare modelli per la nostra comunità di questo nuovo modo; la nostra comunità stessa diventa modello di accoglienza dello straniero nei prossimi giorni. Si diffonde con l’esempio oltre le parole.

Fatti amare da Dio e ama i tuoi fratelli, come sei e come puoi.

Francesco Paolo e Anna Maria