Rinascere dell’alto
“Ripartire” o “essere rigenerati”?
Si parla ovunque di “ripartenza” dopo i mesi di chiusura totale a causa della fase acuta della pandemia. All’inizio dell’emergenza sanitaria, nel silenzio surreale delle città e con ritmi improvvisamente lentissimi (eccetto che per il personale sanitario e tutti coloro che tenevano aperte le attività emergenziali), si vagheggiava un “ritorno” diverso, più umano, più rispettoso degli affetti, di uno stile di vita sano e della natura. Si facevano propositi e proclami e si esprimeva il desiderio che questa esperienza, nonostante il dramma e attraverso esso, ci cambiasse.
Ora, vicino al traguardo, prevale solo la frenesia della ripartenza. Comprensibilmente, per la grave situazione lavorativa ed economica che il fermo ha comportato. Nonostante siano apparsi lunghissimi, tre mesi sono troppo pochi per permettere un reale ripensamento e una riorganizzazione dei nostri stili di vita. Pare che il mondo “economico” difficilmente possa fare diverso.
Questo linguaggio della “ripartenza” circola anche a livello ecclesiale: si riparte con le messe e ci si organizza per ripartire come si può con qualche attività pastorale. Una tale assunzione acritica manifesta il rischio dell’appiattimento della Chiesa sulla dimensione secolarizzata dell’esistenza. Sembra che il nostro problema sia quello di un certo attivismo, la preoccupazione di fare, spesso ammantata dalle migliori intenzioni, ma come un soggetto tra gli altri nel palcoscenico del mondo.
Ma come è possibile immaginare di “ripartire” dopo tre mesi che non celebriamo la messa con il popolo, e che abbiamo saltato le celebrazioni di Pasqua, come se potessimo riprendere semplicemente dal punto in cui eravamo rimasti?
La liturgia del tempo di Pasqua insiste su un altro tipo di linguaggio: quello di “rinascere dall’alto” nel famoso dialogo di Nicodemo, autorevole membro del sinedrio, e Gesù (Gv 3,1-21). Il colloquio avviene “di notte” (Gv 3,2), che è un simbolo eloquente della pandemia. Durante questa notte, Gesù dice senza mezzi termini che bisogna “rinascere dall’alto” (Gv 3,3), essere rigenerati dalla riscoperta di un’esistenza cristiana autentica. Quest’esperienza spirituale è l’unica che può dare una chiave di lettura non secolarizzata, non appiattita sulle dinamiche mondane e non preoccupata di scimmiottare la frenesia del fare.
Gesù afferma che chi vive nella disponibilità a farsi rigenerare spiritualmente viene verso la luce, come se ritornasse in superficie dopo essere sprofondato nelle acque della notte, e in questo modo le sue opere saranno luminose, piene di senso ed efficaci.
Certo, dobbiamo ripartire, ma soprattutto con la docilità di farci rigenerare dallo Spirito. Perché l’esperienza che tutti abbiamo vissuto è stata troppo assurda e dolorosa per non capire che non basta la buona volontà umana, ma che abbiamo bisogno di rinascere dall’alto. Senza questo, la nostra ripartenza sarebbe troppo ferita e claudicante. Se invece accogliamo il dono di Dio, allora potremo vivere da risorti, trasfigurati come Gesù le cui ferite restano, ma non fanno più male.
Don Davide