Un prato sbruciacchiato dal sole
A guardarlo dall’alto, sembrava un prato in mezzo alla terra color ocra dell’Africa. Su quel verde acido, sbruciacchiato dal sole, c’era una corona di fiori di calendula, di quell’arancione vivo che pareva persino innaturale.
La calendula, si sa, è una pianta che fa bene… a tante cose.
Lenisce, soprattutto, le bruciature, ma è ottima per qualunque esigenza di medicazione, quando si ha bisogno di sollievo.
In un tardo pomeriggio di fine giugno questi fiori di calendula, forse anche loro investiti dal vento che aveva accompagnato i naviganti tra mille avventure, si aprirono, mostrando al cielo le cose che di solito nascondono.
“Sono felice come un bambino che scarta i regali a Natale” disse la prima.
“Io sono felice come quando mangio una pizza” gli fece eco il secondo.
“Io invece sono tranquillo come dopo una verifica”
“E io nostalgica come quando finisce l’estate”
“Ah no – disse uno, più sportivo degli altri – io sono felice come un goal al 98’!”
“Io sono felice come quando non ho avuto il debito a scuola” gli fece eco una che quell’anno era stata un po’ meno diligente alla scuola dei fiori.
C’era, però anche chi era triste, non perché la vita di quei fiori fosse brutta o andata male, ma perché quella giornata di sole era finita.
E poi c’erano i fiori stanchi: tutto quell’aprirsi alla luce e chiudersi alla sera col buio, per tutti quei giorni, avevano intorpidito le giunture dei loro petali. Una di loro disse: “Sono stanca come se non dormissi da due settimane…” Ma un fiore, viene da chiedersi, non si riposa mai?!
In modo particolare c’era qualcuno che si lamentava di avere combattuto con un moscerino pestifero per tre settimane, e chi era stanco per tutti i giochi fatti con gli altri fiori.
Tra tutti, una disse semplicemente: “Io sono esausta” e si poggiò su una foglia per dormire.
Nonostante fosse l’inizio dell’estate, alcuni si sentivano ancora fra i banchi di scuola e forse erano troppo privi di energie o timidi per parlare a lungo, e riuscirono soltanto a dare dei voti: “Io sono felice 9”, “Io ho sonno 8”, “Io sono felice 9”.
“9 è troppo, io sono felice, ma 8”.
“Io sono soddisfatta 8” dissero in due all’unisono, facendosi un sorrisino per la complicità.
“Io son proprio serena… voto 9”.
“Eh, addirittura dissero gli altri!”.
“Io sono nostalgica…” disse una poggiandosi un petalo sulla guancia.
“Io sono stressato” replicò un altro.
“Io sono felice e triste al contempo”.
La nostalgica e lo stressato, felici e tristi al contempo.
Sembrava una buona sintesi della loro avventura, ma saltarono su altri a dire:
“I’m as happy as when I get a good grade in English!”. Si alzò un boato per lo slego in lingua che aveva fatto la loro compagna.
“Io sono felice come un gatto che mangia i cioccolatini” disse una, leccandosi una foglia.
Si arrivò, quindi, a raccontare della propria soddisfazione:
“Io sono soddisfatto come quando dico agli altri fiori petulanti di stare zitti, e loro finalmente lo tacciono!”.
“E io sono soddisfatta come dopo un lungo pellegrinaggio” disse una particolarmente spirituale. “Io come al termine di una gita” si attaccò subito un’altra, parlando della sua di soddisfazione.
“Io infatti sono felice di essere arrivata fin qui” le fece eco un’amica.
“Già, anch’io – disse l’ultimo rimasto – È come avere raggiunto un rifugio di montagna… e ora ci godiamo anche la discesa!”.
Beh, forse non era un prato in mezzo alla brulla terra africana, ma un vecchio cortile tra i tetti rossi di Bologna. Si crede che i fiori di calendula non crescano tra il cemento e le strade. Ma se guardi bene, con gli occhi non della fantasia o dell’immaginazione, ma con quelli della dedizione, allora li troverai.
Di solito non si mettono in mostra, non si fanno notare, non si aprono. Ma ci sono e nascondono segreti.
E noi li ringraziamo, perché colorano di bello la nostra città.
Don Davide