Gratitudine, nonostante tutto

Naaman, della Siria, vuole a tutti i costi ringraziare Eliseo, il profeta di Israele, per essere guarito dalla lebbra. Allo stesso modo Gesù elogia il lebbroso samaritano che, guarito, ha scelto di tornare a ringraziare e di riconoscere il Signore.

Ormai è persino banale ricordarlo, tuttavia rimane necessario: viviamo tempi di una difficoltà imprevista, e forse impensabile fino a pochi anni fa. Le crisi che c’erano state prima del Covid sembravano grandissime, ma quelle di oggi le fanno impallidire.

C’è il linguaggio scellerato delle armi nucleari, che dovrebbe essere proibito – persino la parola – più che una offesa diretta o una bestemmia; c’è la crisi energetica; ci sono i problemi ecologici e una violenza orrenda e oscena in molte parti del mondo, che spesso non stanno sotto i riflettori… Senza andare lontano dai confini o negli scenari catastrofici c’è, infine, anche una buona dose di meschinità nel nostro vivere insieme e nella nostra vita individuale che esige urgentemente la nostra conversione.

Tuttavia, celebriamo l’Eucaristia, il Ringraziamento.

La comunità cristiana si raduna ogni domenica per celebrare nella fede la messa, come offerta ed espressione di gratitudine per il dono della vita, della fraternità, dell’amore condiviso e impegnato nei confronti del prossimo, e della speranza.

Con questa domenica riprendiamo le celebrazioni con le famiglie del catechismo alle 10 e la messa domenicale delle 11.30 che, viene curata con particolare attenzione, essendo la messa al centro del Giorno del Signore.

È una gioia vedere i bimbi e le bimbe, i ragazzi e le ragazze, le famiglie e gli anziani insieme, e sentire il sapore genuino, pur in mezzo ai nostri tantissimi limiti, della comunità, e impegnarci e avere la speranza di edificare un mondo dove le più ardite utopie impallidiscano.

Sì, noi ti ringraziamo, nostro Signore Gesù.

Ti ringraziamo per il dono della fede cristiana che custodiamo assieme; per le persone che amiamo e per le quali siamo ispirati a impegnarci; perché con la tua parola siamo incoraggiati e non ci rassegniamo alle ombre cupe che rabbuiano il mondo, ma possiamo portare la luce della saggezza, della sapienza e della pace.

Ti ringraziamo, perché quando portiamo la nostra vita concreta sull’altare della domenica, anche le cose più piccole diventano un dono e persino le nostre incapacità vengono trasfigurate. Tutto viene purificato e diventa più buono, pacifico e sereno.

Don Davide




Avrete forza dallo Spirito Santo

“Finalmente, Signore! È questo il tempo in cui rimetti a posto le cose? In cui si torna a messa senza mascherina, il catechismo riprende con migliaia di bambini, facciamo l’ER e i campi… ci abbracciamo e ci baciamo!”

“Ma, veramente… – obietta il Signore – io non ho detto questo!

Delusione dei discepoli. “Cavoli, ci avevamo sperato!” esclamano schioccando le dita.

“Quello che vi posso dire – dice il Risorto – è che vi sarà data la forza: sì avrete forza dallo Spirito Santo che vi sosterrà e vi aiuterà ad essere miei discepoli e testimoni anche in questa situazione che continua ad essere complicata.”

Ho riadattato questo dialogo tra i discepoli e Gesù, prima della sua ascensione, immaginandolo contemporaneo.

È un giorno di festa, questo, e strano, perché torniamo a celebrare insieme la Pasqua della settimana dopo quasi tre mesi. Non ci rendiamo mai abbastanza conto di cosa questo abbia significato e di cosa comporterà per il futuro. Basti pensare che dal tempo delle persecuzioni in poi, non era mai accaduto che non si potesse celebrate l’Eucaristia insieme.

È inutile fare finta di niente. Le nostre comunità ne escono e ne usciranno ferite. Al di là della retorica di una certa resilienza, questo fatto avrà conseguenze sulla vita della chiesa nei prossimi anni.

Il grande impianto della chiesa in occidente, che già scricchiolava in molti modi, è parso crollare da un giorno all’altro insieme a quello del mondo.

Tutto chiuso.

E anche adesso che qualcosa sta riaprendo… Come faremo? Le assemblee, le feste, gli incontri, gli abbracci, la vita insieme… Che ne sarà?

Spirito“Tranquilli! – siamo tentati di dire noi, come i discepoli – Ecco è passato! È questo il tempo in cui il Signore ricostituirà il suo regno!”. Il suo regno, che in realtà è il nostro regno, il nostro modo di pensare, sono le sicurezze dei discepoli.

Ma Gesù ci dice: “Tranquilli sì, non perché sarete confermati nelle vostre certezze rassicuranti, ma perché se scegliete di aprirvi allo Spirito, allora scoprirete orizzonti più ampi. Io intanto vin garantisco di esservi vicino, di stare con voi, anche di consolarvi, quando ne avrete bisogno. Per il resto, forse, bisogna accettare che appaiano altre urgenze, altri bisogni su cui riedificare la chiesa e ricostruire la nostra pastorale.”

Oggi abbiamo ripreso o riprenderemo a celebrare la Domenica insieme. Considerato questo sconquassamento, ho sentito l’esigenza di intervenire in modo vistoso sulla liturgia, soprattutto perché i testi possano esprimere il vissuto. Questo non è stato un tradimento della sublimità liturgica, ma lo sforzo di prendere sul serio la presenza concreta del popolo nella celebrazione. Come dirò anche a messa, per adesso vorrei esservi vicino e dirvi una parola affettuosa e di incoraggiamento, come fanno un papà o una mamma, semplicemente, dopo che i figli hanno passato un brutto spavento.

Il peggio magari è alle spalle, ma c’è come un’ombra lunga di quell’inquietudine, e quindi il bisogno di sentirsi garantiti in uno spazio dove si possa tornare sereni.

Don Davide




Gratitudine

Eucarestia vuole dire ringraziamento.

Sono molte le ragioni per ringraziare oggi, nel giorno in cui la tradizione della Chiesa mette al centro l’Eucarestia, il Corpus Domini.

Non so se sia usuale dire a una comunità quanto le si vuole bene, però è così: in questa giornata io voglio dire alla mia comunità quanto le voglio bene, perché l’ho vista in gran spolvero in occasione della Coppa ACR – quest’anno OlimpiACR – e nella serata di festa, dove tutti hanno collaborato e si sono aiutati, e abbiamo gestito l’organizzazione con grande disinvoltura, valorizzando il protagonismo dei bimbi, dei ragazzi e dei giovani. Una comunità che cresce è il corpo di Cristo che si edifica, quindi siamo in perfetta sintonia con la festa di oggi.

In realtà, la gratitudine si estende alla considerazione di tutto l’anno e ai tanti obiettivi raggiunti, da ultimo anche il sito internet della parrocchia www.parrocchiasamac.it che, dopo un lungo e delicato lavoro, è ufficialmente pronto. Visitatelo!

Alle persone a cui si vuole bene e che si vogliono ringraziare si fanno regali, si fanno volentieri e belli, perché si possano sentire valorizzate. Mi stava a cuore che in questa solennità del Corpus Domini la nostra comunità potesse ricevere e custodire il trittico dal titolo In memoria di me di Ettore Frani: è un regalo che ci facciamo a vicenda, per valorizzarci, per rendere lo spazio delle nostre celebrazioni ancora più ispirato e per lasciare ai giovani una promessa di futuro importante.

Davanti ai nostri occhi stanno un calice e un pane semplicissimi, materici. Illuminati da una luce gentile sono esposti, ma non fragili, vigorosi di una concretezza che li rende veri. Inizialmente sembrano essere offerti, ma la posa garbata in cui emergono dall’oscurità si rivela insistente, attrae, pretende il coinvolgimento. C’è un momento sospeso, un’attesa, in cui prendiamo contatto con la materia, con le cose più umane nei simboli del vino e del pane: l’amicizia, l’amore di qualcuno che li ha preparati, la fame, la sete, il profumo, il gusto e i desideri, portando nella mente e nel cuore parole di benedizione. Allora accade qualcosa di misterioso e indicibile. È una luce che prende tutta la nostra realtà e la trasfigura e disegna la nostra esistenza come una mensa.

Don Davide




La parola che svela Dio

Dopo la solennità di Pentecoste, l’anno liturgico propone ancora due feste, prima di riprendere effettivamente il ritmo delle domeniche del Tempo Ordinario: la SS. Trinità e il SS. Corpo e Sangue di Gesù (il Corpus Domini).

La Trinità è il mistero di Dio che si svela nella Pasqua di Gesù: un Dio che tutto insieme soffre e che tutto insieme si riappropria della vita e la rigenera.

Il Corpus Domini ci aiuta a ricordare che il sacramento dell’Eucaristia, inteso come celebrazione della comunità cristiana, è il gesto concreto con cui viviamo quella Pasqua nel tempo, è la celebrazione della Pasqua settimanale.

Queste due feste sono intese, quindi, come un compendio della vita cristiana: viviamo nell’amore di un Dio-comunione e facciamo esperienza di questo amore, per metterlo in pratica, nell’Eucaristia.

Nell’anno dedicato dal vescovo all’attenzione per la Parola di Dio, la festa della SS. Trinità, che arriva a conclusione dell’anno pastorale, ci richiama ancora una volta al dono di questa parola che ci viene rivolta, come la parola di una mamma e di un papà, che pian piano svegliano la coscienza della propria bambina.

Dio ci parla proprio così: come due giovani genitori, che parlano alla figlia appena nata, le chiedono le cose, la rassicurano quando piange… anche se sanno che lei (ancora) non può capirli. Non importa. Pian piano, di quelle parole la bimba riconoscerà la voce, il tono… forse anche il profumo che le accompagna, quel senso di essere rassicurati nell’esistenza che i bimbi percepiscono quando sono in braccio ai genitori.

Poi diventeranno parole di amore e di tenerezza, e anche comandi a cui obbedire, non perché la bimba cresciuta si senta schiava, ma perché ha imparato che nel rispetto di quelle parole è rincuorata e protetta e può esplorare la vita con confidenza.

Dopo viene il tempo della ribellione, il processo dell’autonomia, ma poi quando c’è una cosa difficile, o un bisogno di aiuto, o una cosa che fa paura… anche i ragazzi e le ragazze più ribelli si rivolgono a mamma e papà. Tipicamente, gli adolescenti si muovono dentro a questo contrasto: il desiderio di indipendenza e il bisogno che papà e mamma siano lì sempre, a loro servizio. Dio che è padre e madre, lo Spirito Santo che in ebraico è un nome di genere femminile (tipo: “la Forza”) e Gesù, che è maschio, ma soprattutto “uomo” nel senso di modello per ogni persona del genere umano, non disdegnano nemmeno questa posizione nei confronti della propria figlia divenuta adolescente: accettano che si faccia strada da sola e, quando chiama, ci sono.

Infine, la parola che i genitori hanno a lungo rivolto e scambiato diventerà per la figlia il punto di riferimento del proprio sistema valoriale ed emotivo; sarà strumento di dialogo e confronto… e poi anche cura nei confronti dei genitori divenuti anziani, quando si arriva a quell’età in cui si invertono le parti, e mentre non cessa la premura dei genitori, in realtà sono i figli che si prendono cura di loro. Allo stesso modo, arriva anche un’età umana e spirituale in cui “ci si prende cura di Dio”, con una sapienza della vita e una maturità del rapporto che permette di trasmetterne l’esperienza anche alle nuove generazioni.

È la parola accompagnata dai gesti concreti che la realizzano, che anima tutto questo sviluppo.

Il mistero insondabile e vertiginoso della Trinità si fa conoscere così: “si è mai udita una cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio?” (1° lett.). Questa parola risveglia in noi la Forza spirituale che ci fa dire “Papà” ma anche “Mamma” (2° lett.), e agisce con essa. Infine, ci spinge a trasmettere l’amore di Dio, divenuti adulti nella fede, insegnando a conoscere questa parola, dimorare in essa, amarla e sentirsene custoditi.

Don Davide




Contemplare la meraviglia

Dopo l’intermezzo, dovuto, per commentare la presenza della grande rete in chiesa, riprendiamo l’approfondimento di alcuni aspetti della liturgia eucaristica.

Ricordo che siamo nell’anno del Congresso Eucaristico e che nel tempo di Quaresima viene chiesto alle comunità di chiedersi come si possano rendere più partecipate ed autentiche le nostre assemblee eucaristiche.

La consacrazione è il momento più alto della celebrazione dell’Eucaristia insieme alla proclamazione del Vangelo. Dopo il prefazio, che indica il rendimento di grazie specifico per quella celebrazione, inizia la preghiera eucaristica vera e propria. A seconda di quale formula si usi, la consacrazione avviene quasi subito o anche dopo un lungo memoriale e le intercessioni per la vita della Chiesa e del mondo.

La riforma liturgica ha voluto conservare un’indicazione di quando inizia la consacrazione – come forma di particolare riverenza e NON perché siano parole magiche, quasi che potessero valere senza le altre – attraverso il suono delle campanelle, che richiamano – appunto – un’attenzione e una devozione speciale per le parole di Gesù nell’Ultima Cena.

Il primo momento della consacrazione è l’epiclesi, o invocazione dello Spirito Santo sul pane e il vino perché diventino il Corpo e il Sangue del Signore. Quando il ministro dell’Eucaristia stende le mani sul pane e sul vino, è quello il momento in cui l’assemblea è invitata a inginocchiarsi.

È fondamentale, lo ribadisco ancora una volta, capire che non è un momento staccato dagli altri, ma in piena continuità con le parole che vengono dette prima e dopo: tutto il memoriale dell’opera di salvezza e dell’Ultima Cena è la preghiera che ci riporta a quell’unico sacrificio di Cristo, ma questa attenzione speciale riservata alla Consacrazione è come un invito a contemplare le meraviglie di Dio, a vedere il vero miracolo che si compie quotidianamente per mezzo della celebrazione della chiesa, l’unico vero miracolo di cui abbiamo bisogno: la presenza reale del corpo glorioso di Gesù Cristo risorto in mezzo a noi.

Diversamente dall’uso che avveniva prima della riforma liturgica, invece, l’ostensione del pane e del vino consacrati non si sottolinea più con il suono delle campanelle, perché rimane per l’adorazione silenziosa e stupita del mistero che è velato dalle specie del pane e del vino.

Le campanelle si suonano di nuovo dopo che il ministro proclama il “Mistero della fede”, per sottolineare che con la risposta dell’assemblea che si rialza in piedi si conclude l’atto della consacrazione.

Queste sfumature, che potrebbero apparire rubriciste, mirano invece a cogliere il significato spirituale del vertice celebrativo dell’Eucaristia, senza però staccarlo dal resto della celebrazione, affinché possa essere vissuto non solo come atto devozionale, ma di vera partecipazione all’offerta di Gesù, e in piena unità di cuore, di intenti e di sentimenti da tutta l’assemblea celebrante.

Don Davide




Bisogno di silenzio

La scena del vangelo della solennità di Cristo Re, fa da cerniera tra l’anno appena concluso sotto il segno della misericordia e il nuovo anno liturgico, che riprende con l’invito a una maggiore attenzione alla presenza di Gesù tra noi nell’eucaristia.

Oggi contempliamo Gesù sulla croce, nell’ennesimo atto di misericordia regale, con cui si fa precedere dal suo amico ladro – nuovo amico ed ex ladro – in Paradiso. È come se il suo sguardo, dall’alto, spingesse il nostro e ci invitasse a non dimenticare questo stile di misericordia, e a portarlo ancora e sempre di più nelle nostre vite, perché l’Eucaristia è il modo di Gesù di continuare la sua incarnazione tra noi.

L’apertura del Congresso Eucaristico diocesano è un richiamo a migliorare la qualità delle nostre celebrazioni e farne una sorgente per incarnare l’amore di Gesù nelle nostre giornate.

Sono da poco stato qualche giorno in un eremo camaldolese, dove la preghiera è sobria e raccolta, e la messa estremamente essenziale. In quel contesto privilegiato, ho potuto apprezzare quanto il silenzio fecondi la celebrazione.

Con questo ricordo ancora nell’animo, fermandomi questa domenica davanti alla scena della crocifissione di Gesù, la cosa che più mi colpisce è questa situazione caotica, di grande chiasso e confusione. Le persone che gridano, i sacerdoti che lo provocano, la voce sgraziata del ladro impenitente.

Oggi guardiamo alla croce come a un trono regale, e mi sono chiesto chi mai entrerebbe nel salone del trono di un grande re, con urli e schiamazzi. Di fronte a questo contrasto sentiamo la supplica del ladro pentito elevarsi da un silenzio che, evidentemente, gli ha permesso in un ultimo istante di grazia di capire quello che stava avvenendo. Lì sorge l’atto di fede, lì sorge una preghiera di salvezza, una preghiera che guarisce.

Se dovessi esprimere qual è il senso delle nostre liturgie direi proprio questo: che da un silenzio (prima ancora intimo, che esteriore) posto di fronte a Gesù, sorga un atto di fede schietto, e si possa elevare una preghiera di salvezza che ci cura e conforta in tutti i nostri bisogni.

La gioia della vita cristiana, il senso di comunione e fraternità, l’incoraggiamento a vivere la carità risultano da quel primo e più fondamentale passaggio.

Ho notato con piacere che anche il sussidio liturgico proposto dalla CEI per vivere l’Avvento nelle nostre comunità, fa leva su questa attenzione al silenzio.

Mi propongo, allora, che le celebrazioni dell’Avvento siano uno spazio privilegiato per il silenzio, con alcuni piccoli accorgimenti liturgici che vanno nell’ordine di togliere, e di sottolineare alcune attenzioni, per poi godere della pienezza nella celebrazione del tempo di Natale. In un foglietto a parte da queste brevissime riflessioni, indico quali sono le attenzioni che vorrei provare ad avere, per ora solo per il tempo di Avvento, con il proposito di verificare su quale stile migliore possono istruirci.

Se mi si passa l’esempio, è la differenza tra entrare in vecchio negozietto stile bazar e in un moderno Apple Store. Nel negozio moderno non troverai niente di superfluo, perché possa risaltare ciò che è prezioso. Ecco, nella liturgia noi abbiamo qualcosa di molto più importante che un iPhone o qualche altro strumento. Noi abbiamo qualcosa che non è da usare, ma da godere. E dobbiamo testimoniarlo come il nostro più grande tesoro.

Don Davide




Tra l’Eucaristia e il mondo

Il Congresso Eucaristico Diocesano, che inizia oggi, si apre in mezzo a sconvolgimenti e false promesse messianiche. Abbiamo sempre la tentazione di rifugiarci in qualche sicurezza a basso costo, purché nessuno ci obblighi a interrogarci seriamente sulla storia che, come cristiani, siamo chiamati a vivere e a interpretare.

Invece, tante volte abbiamo l’impressione che il nostro cristianesimo sia inefficace, collocato marginalmente rispetto alle grandi sfide del mondo, incapace a raccoglierne fino in fondo le provocazioni.

La seconda lettura, però, ci propone l’atteggiamento degli apostoli come modello: segnatamente Paolo. Un uomo che, dopo l’esperienza dell’incontro con il Risorto, non è rimasto ozioso. Ha lavorato seriamente per annunciare il vangelo, ma anche custodendo la pace e la tranquillità. Mi sembra che noi abbiamo oggi un esempio di questo stile in papa Francesco, che entra continuamente e con coraggio nei nodi dell’esistenza di oggi, e a farlo con sollecitudine e segnalando l’urgenza, ma allo stesso tempo lavorando con grande serenità e pace. La terribile diseguaglianza delle povertà mondiali; il problema delle migrazioni che – su scala mondiale – è ben più ampio e più drammatico di quello che noi percepiamo nel Mediterraneo; il bisogno di creare ponti e vie di incontro, in un vivere che è sempre più connesso tra tutti i popoli, le razze e le culture, e che si vorrebbe sempre più definire con muri e confini; la questione ecologica seria, per la salvaguardia del pianeta e il diritto di vivere delle generazioni future; l’esperienza di ferite micidiali nel mondo degli affetti personali, che hanno bisogno di essere curate; infine, la percezione netta della misericordia, come unica strada per sanare la rovina dell’esistenza, e collaborare alla redenzione del mondo e all’instaurarsi della nuova creazione di Dio.

Di fronte a tutto questo, Gesù ci dice di non farci spaventare, che non è la fine del mondo – perché “la fine” non sarà quando il mondo sfuggirà dalle mani amorevoli di Dio, ma quando lui deciderà di raccoglierne i destini – e che possiamo invece cogliere tutte queste sfide per dare testimonianza, anche con una certa semplicità e immediatezza.

Il Congresso Eucaristico Diocesano ci offre la sorgente per questo atteggiamento, nella celebrazione dell’eucaristia, che passa dal culto alla vita ordinaria. La tradizione dei Congressi Eucaristici non mette tanto al centro l’adorazione dell’ostia consacrata, come spesso erroneamente si pensa, ma il valore complessivo della celebrazione dell’eucaristia, di cui la Chiesa di Bologna è stata per molti decenni maestra ineguagliata riconosciuta a livello mondiale. I congressi eucaristici, si propongono, infatti, di recuperare il significato dell’atto del celebrare il culto in spirito e verità e in santità di vita, migliorando certamente lo stile della celebrazione, ma anche permettendo di raccoglierne la ricchezza da portare nella propria vita personale e nella pastorale della comunità.

Vorrei perciò, tra le altre cose, provare cogliere questa opportunità, radicandoci nell’essenziale della celebrazione, soprattutto nella celebrazione feriale. Sono appena stato un paio di giorni in un eremo camaldolese, dove l’eucaristia ruota attorno nella maniera più sobria possibile alle due mense: l’ascolto della parola e l’offerta del pane e del vino, in modo che ci sia più spazio per il silenzio (dopo l’ascolto della Parola e un breve commento radicato nella forza dei testi) e per unire la propria preghiera all’efficacia delle parole e dei gesti dell’offerta eucaristica. Non nascondo che alcuni accorgimenti in questa direzione mi sembrano interessanti, e che il tempo del Congresso Eucaristico Diocesano potrebbe essere l’occasione per tentare di caratterizzare ancora meglio lo stile della nostra messa feriale, in modo che anche la celebrazione festiva – che raduna tutta la comunità – possa guadagnarci e offrire la gioia di una preghiera e di una festa vissute intensamente.

 Don Davide




Corpus Domini. Pane e vino

La liturgia in cui tradizionalmente si celebra in modo particolare la grazia dell’Eucaristia, ricorda l’episodio di Melchisedek, che compare fugacemente nel racconto biblico, come simbolo di Cristo. La caratteristica di questa figura è che la sua offerta è semplice: pane e vino, come segni di ciò che è essenziale per vivere (pane) e per rendere gioiosa la vita (vino).

La solennità del Corpus Domini, che una volta esprimeva la fede della chiesa con una certa sfarzosità, oggi ci richiama piuttosto a questo essenziale-per-vivere. Di che cosa abbiamo bisogno realmente? Di nutrirci, perché il nostro organismo cresca; di curarci quando si ammala e di tenerlo un po’ allenato perché il corpo si irrobustisca. Poi abbiamo bisogno di amore, di sentirci protetti e di poter essere istruiti, per dare ricchezza anche al nostro animo. Infine abbiamo bisogno di sentirci utili, di sapere che la nostra vita ha un senso e che la nostra presenza è preziosa.

Lo stesso vale certamente anche per la vita dello Spirito in noi. Se non ci nutriamo degli insegnamenti di Gesù non possiamo crescere e affrontare con sapienza le responsabilità della vita. Se non ci curiamo con la misericordia, le malattie rischiano di infettare il nostro organismo. Se non ci alleniamo con la preghiera, il nostro spirito rimane flaccido, come un corpo senza muscoli. La comunità cristiana è il luogo dove concretamente sperimentiamo l’amore di Dio che ci protegge, e dove possiamo essere istruiti per conoscere meglio Gesù. Infine abbiamo il compito di capire qual è la nostra vocazione, quale sia il nostro compito nel mondo, perché non manchi alla costruzione del regno di Dio il nostro prezioso contributo.

Gesù invita i suoi discepoli, di fronte al bisogno di nutrimento delle folle, di essere loro stessi a provvedere da mangiare. Suona come un grande incoraggiamento, a ciascuno di noi, affinché celebrando la solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, noi possiamo essere richiamati a ciò che conta veramente, e allo stesso tempo fare di tutto perché a nessuno manchi ciò che è essenziale, non solo materialmente, ma anche spiritualmente.

Devo dire che in questo giorni ho visto questo impegno, sia in occasione dei sacramenti dei nostri ragazzi, sia in occasione dell’organizzazione della festa della parrocchia: ho visto tante persone, catechisti, ragazzi e volontari dare il proprio servizio e il proprio tempo, perché questo Corpo di Cristo che è la Chiesa possa essere un luogo pieno di vita per tutti, e noi dobbiamo esserne riconsocenti.

Don Davide