Cuori ardenti, piedi in cammino

Celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale per partecipare della missione universale della Chiesa.

Come educare le nostre comunità a questa apertura missionaria universale?

I vescovi ci ricordano che la sensibilità missionaria va educata “fin dalla più tenera età” (Decreto per l’Attività missionaria Ad Gentes del Concilio Vaticano II, n. 38) per creare tra tutti i cristiani del mondo uno spirito di fraternità universale nella preghiera e nella solidarietà, specialmente verso le Chiese più giovani e bisognose di sostegno.

Il mese missionario di ottobre trova dunque il suo apice nella celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale che ricorre in questa domenica 22 ottobre.

In questa domenica iniziamo la messa con le famiglie del catechismo in una chiesa che ci ospita, così sperimentiamo il senso di essere in cammino e in comunione con altre comunità e alleniamo anche i più piccoli alla consapevolezza che esiste una Chiesa più grande, che va ben oltre i confini della nostra parrocchia e si unisce spiritualmente a tutti i missionari inviati nel mondo ad annunciare il Vangelo. Ogni comunità che celebra l’Eucarestia contribuisce al sostegno di tutti i missionari sparsi nel mondo e di tutte le comunità più povere di mezzi, quelle che vivono in situazioni di assoluta minoranza e quelle che soffrono controversie e persecuzioni.

Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno Papa Francesco ha scelto un tema suggestivo che prende spunto dal racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35):

«Cuori ardenti, piedi in cammino».

Attraverso l’esperienza di questi due discepoli che, nell’incontro con Cristo risorto, si trasformano in attivi missionari, Papa Francesco ci esorta ad essere discepoli-missionari. Infine il Papa ci ricorda l’importanza del mantenere viva la missione con l’impegno di ciascuno e con la preghiera per le vocazioni missionarie: «L’immagine dei “piedi in cammino” ci ricorda ancora una volta la perenne validità della missio ad gentes, la missione data alla Chiesa dal Signore risorto di evangelizzare ogni persona e ogni popolo sino ai confini della terra».

A cura di Don Davide

[Dalla riflessione di don Giuseppe Pizzoli, Direttore generale Fondazione Missio]

 

Fondazione Missio Ottobre Missionario 2023 (missioitalia.it)

Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2023 | Francesco (vatican.va)




Camminare, conversare, sostare

Tre verbi che ci permettono di accostarci al mistero della resurrezione.

“Camminava con loro” (Lc 24,15)

Anche se il trekking sta tornando di moda e si capisce l’importanza fondamentale delle passeggiate all’aria aperta, possibilmente in mezzo al verde dei prati o ancora meglio di un bosco, abbiamo ancora molto bisogno di recuperare questa consapevolezza del camminare, che ci aiuta a sfuggire dalle spire del traffico quotidiano, e a ritrovare lentezza, tempo di distensione, stacco tra un’attività e l’altra. In realtà, lo faccio io stesso, camminiamo con il viso rivolto al display del cellulare: sfruttiamo il tempo di rispondere ai messaggi e alle mail, oppure di controllare i feed dei nostri social.

Camminare dovrebbe essere il modo di sedersi accanto al reale

Sembra paradossale, ma è proprio come facevano una volta gli anziani, fuori dalle latterie di paese, sulle sedie intrecciati coi fili di plastica e la struttura in ferro.

Da Gerusalemme a Emmaus è un lungo cammino, circa 11 km. In quel tragitto i discepoli hanno avuto il tempo di tirare fuori le loro delusioni e amarezze, ripercorrere i ricordi, sentire dei moti dell’animo e prendere confidenza con il pellegrino sconosciuto.

“Conversavano” (Lc 24,14)

“Conversare” è molto più di “parlare” o “scambiarsi delle informazioni”. Spesso, la fretta ci induce a queste ultime due modalità, sia nella vita professionale, che in quella famigliare. Capita, poi, che con gli amici manchino argomenti, e anche se ci sarebbe il tempo di conversare, lo sprechiamo in discussioni e comunicazioni vacue.

Conversare significa arrivare a mettere in sintonia le nostre emozioni profonde.

È un processo articolato e delicato, che richiede lentamente di abbassare le difese e superare le diffidenze, e aprirci per poterci muovere dalla posizione in cui eravamo noi alla dimensione in cui si trova l’interlocutore. Spesso, invece, la conversazione è intesa come un portare l’altro dove siamo noi, ma in questo caso perde la ricchezza della possibilità di versare il cuore l’uno nell’altro e arricchirsi reciprocamente.

“Resta con noi” (Lc 24,29)

Sostare… Chi si ferma più? Il filosofo Pascal sarebbe seriamente preoccupato per la salute spirituale della nostra generazione, perché anche quando ci fermiamo, rischiamo di farlo non per “condividere” qualcosa, ma per “fare” qualcosa. Sostare è l’unica via per dare spazio ai ricordi, e permettere loro che si incidano, come nel marmo, nel nostro spirito e nella nostra memoria.

Sostare sostanza la nostra esistenza reale.

Mettersi su una panchina e contemplare le montagne. Sedersi sulla spiaggia e ammirare il mare. Annusare il profumo di un fiore. Stare a tavola qualche minuto dopo che si è finito il pasto. Si può sostare anche facendo qualcosa, senz’altro, l’importante è avere la consapevolezza di chi c’è con noi e di cosa stiamo facendo in quel tempo condiviso e prezioso.

Gesù conduce questi passaggi come la migliore guida spirituale possibile.

Più abile di Socrate nella maieutica (non me ne vogliano i classicisti e i filosofi!), più resistente di un maratoneta, e buontempone come un bolognese a tavola!

In questa esperienza del reale, vissuta con calma, tempo disteso, e pacatezza, accade una cosa prodigiosa. La vita vissuta si riaccende in un ricordo sensibile – quella benedizione, quel pane spezzato… – improvvisamente acquista di significato e diventa promessa di una vita futura e tanto desiderata.

L’amore espande i sensi e apre la finestra della resurrezione: il cuore ardeva e lo riconobbero.

Era vivo, e non avevano più bisogno nemmeno di vederlo.

Don Davide




Pescare gli uomini

“Pescatore di uomini”.

Io questa trovata di Gesù, tra tutte, gliel’ho sempre invidiata.

Sono stati versati fiumi di inchiostro su questo versetto: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5,10).

Tuttavia, la sensazione è che sfugga sempre qualcosa nella profondità abissale di questa sentenza, e che il suo significato sia allo stesso tempo più semplice e più inafferrabile di quanto non riusciamo a immaginare.

È una parola simultaneamente consolatrice ed esigente, incoraggiante e da fare venire i brividi, e perentoria.

Chiude il dialogo e tutta la scena. Produce immediatamente l’effetto decisivo.

Non voglio perciò azzardarmi io a proporne un’interpretazione. Preferisco lasciare aperta la domanda, scatenare la perplessità e la curiosità di tutti e stimolare la sensibilità di qualcuno.

Nella Giornata della Vita, sento che questa frase di Gesù è il modo corretto di entrare nel tema e nelle questioni.

I pesci, se li peschi, muoiono. Gli uomini, se li peschi, vivono, ma solo se lo fai con Gesù, altrimenti rimangono attaccati all’amo, prigionieri delle seduzioni umane e di altri mille uncini.

“Pescatori di uomini” mi sembra anche l’atteggiamento giusto per vivere la settimana di San Valentino.

Ci sono tante iniziative che sono state organizzate insieme a vari soggetti diocesani. Mi piacerebbe che tutti ci sentissimo partecipi gli uni degli altri.

Si tratta di testimoniare la chiamata che Gesù rivolge a ciascuno: una chiamata ad emergere verso l’Amore e aprire i polmoni, perché noi siamo uomini, non pesci; non respiriamo sott’acqua, ma nell’aria pura dello Spirito di Dio.

Don Davide




Una rete gettata dall’alto

L’immagine della rete è molto usata da Gesù nella sua predicazione: all’inizio della sua predicazione invita i pescatori futuri discepoli a gettare le reti al largo; dopo la resurrezione li invita ancora a gettare la rete in luogo preciso, per una pesca miracolosa; il regno dei cieli è paragonato a una rete che prende ogni genere di pesci…

Le reti, nel vangelo, servono per pescare.

Rientrando in chiesa, dopo i lavori di messa in sicurezza, non si può non notare questa grandissima rete che ci sovrasta offre la massima garanzia di protezione. (C’è da dire, che è proprio un modo per “stare dalla parte dei bottoni”, per dirla in modo proverbiale, perché dopo avere controllato tutte le componenti – crepe, intonaco e cornicioni – e rimosso le parti fragili, abbiamo comunque voluto mettere una rete, per attendere “comodamente” la presentazione del progetto e i grandi lavori di restauro).

Guardare questa rete bianca ci deve richiamare continuamente alla missione della chiesa, fin dalla chiamata dei primi discepoli: “Sarete pescatori di uomini!”.

L’importanza di una chiesa grande, possibilmente bella, è quello di poter essere “pescatori di uomini”: non per mania di grandezza o perché confidiamo nei numeri, ma perché lo spazio sia adeguato all’assemblea liturgica presente in un luogo; perché si possa celebrare insieme e non frammentati in tante celebrazioni; perché ci possano stare tutti quelli che desiderano esserci; perché la messa sia animata, cantata e partecipata nel migliore dei modi.

Allo stesso tempo, in realtà, guardando a questa rete dal centro della chiesa, dove c’è la stella disegnata sul pavimento, mi è venuta in mente un’altra immagine, forse ancora più suggestiva. Noi siamo abituati alla metafora di Dio come Pastore… ma forse possiamo guardarlo, attraverso la rete sopra le nostre teste, come Pescatore.

Un Dio pescatore, che getta lui la rete per pescare gli uomini, perché ci siano tutti, nessuno escluso. Un Dio pescatore, non per imprigionarci in una rete, ma per “pescarci” per il Regno di Dio. Così noi possiamo guardare in alto e pensare a questa rete come una rete gettata da Dio, dall’alto, nel mare del mondo, per “prenderci” per il suo regno, per rapirci nel suo amore e non lasciarci più.

Don Davide




L’amicizia nel nome di Dio

La parabola del fariseo e del pubblicano tocca uno degli aspetti più importanti in assoluto per i discepoli di Gesù e per chi voglia costruire la Chiesa così come lui l’ha voluta.

Gesù si confrontava spesso con i farisei, proprio perché il suo stile era quello di proporre un’autentica interpretazione della Legge; lui stesso, mentre prendeva radicalmente le distanze dai sadducei (i capi del popolo, la classe sacerdotale legata al culto del Tempio), si inseriva piuttosto nello stile dei grandi maestri e interpreti della Torà. Per questo prende un tema fondamentale come quello della santità di vita, che era fortemente legato al bisogno di non “mischiarsi” a chi aveva una condotta lontana dalla Legge, per riorientarlo al suo significato originale, più vero e più giusto.

Il pubblicano sta di fronte a Dio con l’intima presunzione di essere giusto, e disprezzando l’altro. Innanzitutto Gesù vuole correggere questa comprensione della fedeltà ai precetti della Legge come possibilità di autogiustificazione. La fedeltà e la condotta morale, infatti, neanche nelle Scritture di Israele sono un modo per rivendicare dei diritti di fronte a Dio, o per mettersi al pari di lui. Al contrario, se pensiamo al Decalogo e alla promulgazione della Legge a Mosè, sono una via concreta per cercare di custodire l’amore che Dio ha rivelato per il suo popolo e la libertà che gli ha donato. Questa tipica sensibilità risuona, aggiornata, nelle parole di San Paolo ai Galati: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi! State dunque saldi e non lasciatevi dunque imporre il giogo della schiavitù!» (Gal 5,1). Si cerca di fare il bene, dunque, perché siamo consapevoli che questa è una via per custodire quanto di meglio la vita ci può offrire.

In secondo luogo, Gesù ci dice che non si può stare di fronte a Dio da antagonisti con il nostro fratello. È il peccato originale di Caino, che il Signore vuole redimere. La storia di Israele, che attraverso l’Elezione è certamente anche una vicenda di separazione e di scelta, è finalizzata alla comunione di tutti i popoli. Questo esito è precisamente l’evento scatenato dal Messia. Non c’è alcuna possibilità quindi, di schierarci orgogliosamente tra le fila di Dio, quando questo atteggiamento è accompagnato dal disprezzo per chi è “fuori”. Non possiamo presumere che Dio stia dalla nostra parte, se in noi non c’è quell’acuta sensibilità che ci fa sentire partecipi della storia e del destino dei nostri fratelli e sorelle, e voler bene a ciascuno senza limiti né giudizio.

La cosa è tanto più forte in quanto il pubblicano era veramente un peccatore. Commetteva un’azione spregevole conosciuta da tutti, sbagliava pubblicamente. Proprio per questo Gesù dice che bisogna essergli ancora più vicino.

Ma chi è il vero pubblicano? È colui che sta in fondo al tempio battendosi il petto. Non c’è tracotanza, in lui. Solo la conoscenza dei propri limiti, la consapevolezza della contraddizione, l’amara esperienza di sbagliare. Ecco: a tutti costoro, che bevono ogni giorno il calice amaro della propria ingiustizia, Gesù è inequivocabilmente vicino. Ma chiunque non si pente, chi opera il male con superbia, chi pensa di ingannare Dio così come inganna gli uomini, costoro sono come il fariseo. Hanno la presunzione di potere stare davanti a Dio pensando di legittimarsi, invece se ne torneranno umiliati.

Don Davide