Tutto diverso e piccolo

“Ci sarà un sentiero e un strada” (Is 35,8): di solito si scelgono i tracciati sulle mappe o si percorrono dei tragitti per arrivare a una meta, un luogo. Al termine ci può anche attendere un appuntamento, magari desiderato: l’incontro con un amico o una persona amata.

Oggi certamente la liturgia ci parla di questo itinerario: “ci sarà” (al singolare) un sentiero, inizialmente stretto, forse impervio, che diventerà una strada, prima una mulattiera, poi una strada battuta o addirittura pavimentata, che ci porterà all’incontro con Gesù.

Anche Giovanni Battista, che fra tutti era quello che aveva le idee più chiare, esita. All’inizio è difficile riconoscere in Gesù i segni grandiosi della salvezza di Dio, della redenzione del mondo.

“Sei proprio tu?” (Mt 11,3) chiede Giovanni.

Dopo la chiarezza straripante di domenica scorsa, viene assalito da un dubbio.

Sembra tutto così diverso, e piccolo…

Anche noi ci accingiamo a celebrare il Natale nella solennità della liturgia, con acclamazioni, formule e preghiere debordanti: “È nato il Salvatore!”, “Oggi la pace viene nel mondo!”, “Tutto è permeato di gioia!” poi guardiamo fuori e ci sembra che non sia proprio così. Oltre alla guerra, continuano altre cose brutte, e poi ci sono tanti dolori, solitudini e preoccupazioni, spesso nascoste.

Ma Gesù conferma Giovanni e noi, indicandoci proprio la direzione giusta e invitandoci a percorrere il sentiero corretto che diventerà una strada.

“Guarda”, dice, “guardate!” I segni dell’amore di Dio sono grandiosi e nascosti allo stesso tempo.

Bisogna saperli e volerli vedere. Bisogna allenare lo sguardo!

Quante volte è capitato che Gesù facesse un miracolo sotto gli occhi di tutti e solo in pochissimi lo riconoscessero, mentre gli altri ne facevano motivo di disputa, o addirittura di scandalo! Così è ancora oggi. Bisogna allenare i riflessi giusti, per cogliere la velocità con cui il regno di Dio si manifesta davanti al nostro naso, e poi scompare altrettanto velocemente se trova qualcuno non pronto o disposto a riconoscerlo.

Il Natale è una grande storia di libertà, interpellata e rispettata.

Perciò, allenati! Guarda. Per tutte le orribili guerre che sono in corso e per i regimi che uccidono i ragazzi, ci sono giovani uomini e giovani donne che hanno il coraggio di rivendicare la libertà. A proteggerci dalla violenza, quanti gesti di tenerezza ci sono? Di fronte alla malattia e alla sofferenza, che hanno un potere schiacciante e vanno rispettate con il massimo rigore, quanti gesti e risorse di cura vengono messi in campo?

Il regno di Dio, per farsi spazio, è anche una questione di decisione, di scegliere cosa guardare, come educare i nostri pensieri, dove orientare la nostra attenzione, su quali sentieri e strade percorrere i nostri passi.

Dipende cosa decidi di guardare, e i tuoi occhi saranno luminosi od oscuri.

Dipende cosa decidi di pensare e i tuoi pensieri saranno orientati al bene o malvagi.

Dipende quali percorsi intraprendi e ti troverai in una terra fertile e buona o in un deserto arido e ostile.

Il regno dei cieli è piccolissimo, ma se lo vedi, è più grande di ogni cosa.

Don Davide




Oltre (Under 20)

Ricordo perfettamente il giorno in cui per la prima volta ho letto di Mosè.

Prima era il nipote del Faraone, ma nella parte iniziale del racconto, non gli viene dato nessun risalto. A un certo punto uccide un egiziano, la sua famiglia gli si ritorce contro e lui scappa.

Torna ad essere uno qualunque. Trova moglie, fa il pastore.

Pensate: dalla famiglia del Faraone a pecoraio nel deserto.

Tutto ha inizio dal suo osare di guardare di nuovo “oltre”.

Cosa c’è ancora da scoprire? Come va avanti la storia?

Non ve lo dico, spero che la andiate a leggere (Esodo 3, per i lettori) o che veniate a messa (trucchetti da prete).

Forse l’avevo ascoltato mille volte e quel giorno l’ho solo focalizzato. Ricordo l’anno, il mese, il giorno della settimana, l’orario del mattino, i luoghi, la luce, i profumi, gli amici con cui ero.

Ma voi direte: “Ok, don Davide…” e perché, di preciso, me ne dovrebbe fregare qualcosa?

Perché è importante il fatto che possa accadere: che una cosa, all’improvviso, ti possa cambiare la vita, senza che tu te ne stia rendendo conto.

Se me ne fossi reso conto, quel giorno, ne avrei avuto una paura pazzesca; invece, adesso ne sono grato.

Spesso, quando noi adulti parliamo su di voi e non con voi, diciamo che il futuro vi fa paura.

Non so se sia vero del tutto. Secondo me, siete molto più coraggiosi di noi.

Ma la cosa che mi interessa è questa: da lì in poi, il racconto di Mosè rivela il vero nome di Dio, per ciascuno che ingaggia l’avventura della vita con lui. Lui si chiama: IO CI SONO CON TE.

 




Olimpiadi della vita (Under 20 testo+video)

Mikaela ha 26 anni e con gli sci ai piedi è la migliore.

La fuoriclasse delle fuoriclasse, quella che nella storia del suo sport sta nel gradino più alto del podio.

Se non ci credete, guardate questa manche(QUI)  in cui, a 20 anni, stabilì il record di vantaggio sulla seconda.

A 22 anni ha conquistato per la prima volta la Coppa del Mondo generale e l’ha vinta per tre anni di fila.

A inizio febbraio 2020, è morto improvvisamente il suo papà, mentre lei era in Europa per le gare. Pensate cosa significhi per una ragazza di 24 anni perdere il padre, essere in un altro continente, tornare con l’ansia che ti consuma. In un’intervista in cui le hanno chiesto cosa volesse ricordare di lui, ha risposto: “Ha insegnato a me e mio fratello di essere gentili con tutti.”.

Mika ha saltato alcune gare, poi è arrivato il Covid. Le competizioni sono state interrotte con anticipo e la Coppa del Mondo l’ha vinta per la prima volta Federica Brignone, stabilendo l’impresa di essere la prima donna italiana a farlo nella storia dello sci femminile.

Quest’anno Mikaela era tornata se stessa, guidando di nuovo la classifica di Coppa del Mondo e arrivando alle Olimpiadi di Pechino da favorita. Invece…

Invece ha sbagliato, uscendo, in tutte e tre le gare in cui è la dominatrice. Una foto l’ha immortalata ai bordi della pista di slalom speciale, rannicchiata in pianto, prima che un’amica arrivi a consolarla.

Per questo fallimento delle aspettative è stata insultata in modo ignobile sul suo profilo Instagram.

Tra tutte le offese tremende e volgari, mi ha colpito quella che le dice: “Stupida bionda”. Non c’è bisogno di commenti; dico solo che l’unica cosa stupida, in questo caso, è l’odio, che è la medesima radice di chi giudica e di chi fomenta le guerre.

Quello che merita un commento, invece, è la risposta di Mikaela a questa vicenda (QUI). Non una risposta agli haters, ma un messaggio a tutte le vittime di odio sui social, di bullismo e di ogni altra forma di cattiveria.

Sarebbe da mettere nei programmi ministeriali delle scuole, andrebbe meditato in parrocchia e in chiesa, e fatto ascoltare da ogni genitore ai propri figli. Dura meno di tre minuti e c’è la traduzione. Non perdetevi per nulla al mondo il finale!

Ritornando sull’argomento in questi giorni, la campionessa ha detto:

Ho vinto nella mia carriera, vincerò di nuovo e, ironia della sorte, vincerò anche grazie a ciò che ho imparato da queste due settimane. Si può fallire senza essere dei falliti.

Scrivetevelo sui muri.

Grazie Mika.




Il meglio (Under 20)

Vi ho sentiti in questi giorni: “Io sono positiva” … “Io sono in quarantena”. So che alcuni di voi hanno passato le vacanze isolati, saltando una sciata o la festa di Capodanno, che alla vostra età è irrinunciabile.

L’anno scorso di questi tempi c’era il coprifuoco (il coprifuoco!), quest’anno vi palleggiate il Covid tra fratellini, compagni di classe, parenti, amici e fidanzati… passandovi il test antigenico come il testimone in una staffetta.

Oggi scrivo per incoraggiarvi.

Voglio dirvi che nella maggioranza dei casi avete reagito alla grande, senza rassegnazione o paura, senza inutili intemperanze, non con rassegnazione, piuttosto con la pazienza del predatore che attende l’agguato. Siete stati bravi e per molti versi ammirevoli.

Se fosse capitato a me a 16 anni, in settimana bianca, avendo la possibilità di sciare coi miei amici o con la ragazza che mi piaceva (eh già, anch’io, prima di entrare in seminario, andavo a morosa… come si dice a Bologna)… e avessi dovuto chiudermi in camera per un cavolo di virus, magari stando benissimo… beh, non so cosa avrei fatto!

È il momento di riconoscervelo.

Sono stato ispirato dal vangelo di questa domenica: c’è una festa di nozze e non serve nessun super green pass, mascherina o distanziamento. E Gesù mostra un’apertura nelle cose che accadono, una breccia che permette di gustare il vino migliore, dopo averne già bevuto di buono. Come a dire: c’è un modo di stare nella vita dove le cose crescono, migliorano e quelle che si fanno dopo sono più belle di quelle di prima.

Quindi non abbiate paura di avere perso delle occasioni. Avrete tempo per fare tutto e l’esperienza che avete fatto vi permetterà di apprezzare un vino ancora più buono.

Mi piace questa idea che le cose belle ci stiano davanti nel corso dell’esistenza, perché voi che siete giovani vi godete la vostra età come la più bella di tutte, ed è entusiasmante che pensiate così.

In ogni caso, a dare retta a Gesù, voi ci guadagnate.

Perché siete giovani e la vita che vi sta davanti è lunga, quindi potrete vivere molte cose belle. Spesso si dice che “il meglio deve ancora venire”, ma sembra che il meglio lo possiate aspettare con le mani in mano, come imbambolati. Mi piace di più questa idea: “il meglio ve lo potete ancora costruire”. Sicuramente, Gesù ha in serbo per voi il vino migliore.

Don Davide




“Running in the rain” (per gli Under 20)

Ovvero: credere nell’impossibile

Oggi Gesù ci parla di una di quelle cose che sembrano impossibili: l’amore autentico e fedele, l’amore eterno.

L’amore ci piace tanto, perché è l’emozione più forte che proviamo.

Lo sogniamo tutti e tutte, poi diventa difficile, la cultura circostante lo svilisce, il pensiero dominante ci convince che sia impraticabile e, alla fine, ci si persuade che sia un’utopia, che fosse un’illusione. Una cosa troppo grande e troppo bella per essere vera.

Come la scorsa domenica, vi propongo un video sportivo: https://youtu.be/ffggPf8Impk

Ambra Sabatini aveva 17 anni quando, a causa di un incidente di cui è stata solo vittima, nel giugno del 2019 le è stata amputata la gamba sinistra sopra il ginocchio. Due anni dopo esatti è in pista per la finale olimpica; la pioggia battente ci fa ricordare cosa abbia significato: quanto tempo ci voglia a riprendersi dall’amputazione di un arto, ad abituarsi all’uso delle protesi anche più semplici, figurarsi quelle da gara, e a imparare a correrci sopra come un leopardo.

Anche la corsa di Ambra sembrava impossibile. E invece eccola qui: sotto i nostri occhi e sotto la pioggia che la rende ancora più meravigliosa. Guardatela e credete all’amore fedele, rispettoso, pieno di dolcezza e che dura.

Guardatela e credete alle cose… possibili.

Guardatevela e riguardatevela: dura solo 14”11, il tempo di fare il record del mondo.




Il potere delle parole (per gli Under 20)

Quanti sordi e muti ci sono nel nostro mondo! Non le persone che hanno difficoltà fisiologiche, che spesso comunicano addirittura meglio degli altri. A loro va tutto il rispetto dovuto.

Ci sono tanti muti di fronte alle ingiustizie, giovani che non difendono i loro amici e le loro amiche, responsabili che non parlano della crisi climatica o, peggio, ne distorcono la percezioni, presunte autorità le cui parole sono così insulse che anche il loro suono risulta vuoto oppure stonato.

E poi ci sono i sordi che non vogliono ascoltare, chi non fa lo sforzo di mettersi in relazione, i peggiori sono quelli che non si meravigliano più e che non vogliono imparare.

Ma voi no, ragazze e ragazzi! Cogliete oggi l’invito di Gesù che guarisce un sordomuto dicendo: “Apriti!”. Doveva avere risuonato con un tale carisma, quel comando, che i narratori lo riportano ancora nella lingua originale: “Effatá”, come quando una parola è talmente forte che ti rimane in mente per sempre.

Io vi dico: leggete libri, guardate film e serie tv, ascoltate la musica, non rinunciate mai a parlare dopo avere pensato con un po’ di saggezza cosa comunicare. E se la gente si stupirà, come accadeva con Gesù, meglio così! Scoprirà che siete recettivi e sarà costretta a riconoscere che avete qualcosa da dire.

Don Davide




Visioni di coraggio

Riprendono la pastorale più attiva, la scuola e l’università, il lavoro e gli impegni personali e la prima parola che risuona in questa domenica è: “Coraggio! Non temete!” (Isaia 35,4-7). I profeti hanno sempre la capacità di infondere speranza e di rigenerare la forza di guardare al futuro, e se pensiamo agli anni di pandemia da cui veniamo e alla crisi della pastorale, che sembra essersi ormai rassegnata a delle chiese semivuote e alla difficoltà di appassionare e coinvolgere i giovani, pare che ce ne sia proprio bisogno.

Accogliamo volentieri perciò lo sguardo dei profeti, che penetrano prospettive che è difficile persino intuire. Concretamente, nel contesto in cui risuona l’oracolo del profeta Isaia, il regno di Israele era sotto l’assedio delle truppe di Sennacherib, imperatore d’Assiria. Sembrava non ci fosse speranza alcuna. Invece il profeta – contro il parere di tutti e fronteggiando contrarietà e umiliazioni – non offre solo un oracolo di vittoria, ma la prospettiva di un mondo nuovo. L’esito della vicenda darà ragione al profeta.

Per vedere la realizzazione delle profezie, però, bisogna credere alla Parola di Dio. Da questa domenica, allora, cogliamo due suggerimenti a cui aderire con fede.

Per prima cosa dobbiamo riconoscere di essere sordi e muti proprio di fronte alla Parola di Dio. Sembra un’affermazione ripetuta banalmente, ma occorre prendere atto che non abbiamo una consuetudine significativa con la Parola di Dio, non l’ascoltiamo (siamo sordi) e ancora meno siamo capaci di testimoniarla in maniera affascinante (siamo muti): in verità, sembriamo sempre dei principianti nella vita spirituale, che invece è necessaria per orientare le nostre scelte di vita, per rafforzare la nostra personalità e le nostre relazioni, e per osservare un rigore morale che riguarda prima di tutto la nostra dignità.

In secondo luogo possiamo cercare di vivere una carità più limpida, non tanto nelle cose eclatanti, quanto negli atteggiamenti fraterni, nel vivere con più cordialità i rapporti in parrocchia e fuori, essere gentili, non discriminare, non dare giudizi affrettati, impegnarsi a volere bene, gioire di condividere la fede con la propria comunità.

C’è un grande desiderio, in fondo, in ciascuno dei credenti, di una fede viva e di una comunità così amorevole e propositiva, da rallegrare persino il deserto e la terra arida.

Don Davide