Abitare e ospitare

“Maestro dove abiti?” (Gv 1,38)

Riprendiamo l’anno pastorale con il tempo ordinario e tutto il cammino che faremo frequentando il vangelo di Gesù secondo Marco è un tentativo continuo di trovare dimora presso di lui, cioè di abitare stabilmente con lui. Come succede a chi abita insieme, si tratta di salutarlo al mattino, di ritrovarlo quando torniamo a casa, di sapere che abbiamo un punto di riferimento durante la giornata, di “avvisarlo” quando facciamo qualcosa e di contattarlo quando succedono cose belle.

Significa cercare questo rapporto con Gesù che ci dà una casa.

L’inizio di questo tempo liturgico è caratterizzato dall’impegno di stabilire un legame al quale possiamo sempre ritornare e nel quale trovare rifugio e riposo (cf. Mt 11,25-30).

È un’esperienza emozionante, perché sappiamo di poter riprendere a muovere i nostri passi con lui:

se siamo neofiti c’è tutta la scoperta del dell’incontro con Gesù, se siamo cristiani da tanto tempo possiamo sentire la gioia di sentirci nuovamente messi in gioco, di conoscerlo più profondamente, di sperimentare con più sorpresa la sua grazia e la sua provvidenza. E poi si tratta anche di fare sentire questa vicinanza di Gesù a tutti coloro che ancora non la conoscono e non l’hanno sperimentata.

Questa esperienza spirituale ci spinga a ricambiare l’ospitalità

e, come accadde ai discepoli di Emmaus, a fare spazio a Gesù nella nostra casa: nella nostra casa interiore, cioè il nostro spirito, e nella nostra casa esteriore, cioè nelle nostre vite.

Così possiamo rendere tutta la parrocchia una casa in cui Gesù è nostro gradito ospite,

sia per i nostri fratelli e sorelle che sono invitati nello stesso amorevole clima domestico, sia riconoscendo Gesù in loro stessi come presenza del Maestro che chiama ciascuno di noi.

Don Davide




Cosa fare dei nostri talenti?

Il Vangelo di questa Domenica potrebbe farci pensare che il Signore ci valuti per il risultato che sappiamo raggiungere usando i doni ricevuti, ma non è così, non è una valutazione sul successo e men che meno una questione quantitativa. Lui, che conosce le nostre debolezze e le nostre insicurezze, ci richiede un impegno, la spinta per usare le nostre capacità, con perseveranza, per fare qualche cosa di buono nelle realtà che ogni giorno incontriamo.
Oggi è la Giornata Mondiale dei Poveri, istituita da Papa Francesco che ci esorta a

«Non distogliere lo sguardo dal povero» (Tb 4,7)

La Giornata Mondiale dei Poveri, segno fecondo della misericordia del Padre, giunge per la settima volta a sostenere il cammino delle nostre comunità. È un appuntamento che progressivamente la Chiesa sta radicando nella sua pastorale, per scoprire ogni volta di più il contenuto centrale del Vangelo.

Ogni giorno siamo impegnati nell’accoglienza dei poveri, eppure non basta.

Un fiume di povertà attraversa le nostre città e diventa sempre più grande fino a straripare; quel fiume sembra travolgerci, tanto il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà si alza sempre più forte. Per questo, nella domenica che precede la festa di Gesù Cristo Re dell’Universo, ci ritroviamo intorno alla sua Mensa per ricevere nuovamente da Lui il dono e l’impegno di vivere la povertà e di servire i poveri.”
Quanto spesso ci verrebbe da distogliere lo sguardo, e a volte lo facciamo, specie quando chi ci chiede aiuto è insistente, a volte non ci convince e ci fa venire dubbi, …ma sarà vero che ha bisogno, ma non sarà uno stile di vita? È difficile esaminare tutto, è difficile ricordare sempre che abbiamo di fronte un fratello, una sorella che stanno chiedendo innanzitutto la nostra attenzione e ai quali non possiamo negare almeno un sorriso o una buona parola. Ricordo l’esortazione di mons. Antonio Riboldi, Parroco del Belice e poi Vescovo di Acerra:

“non dobbiamo parlare dei poveri, ma essere poveri…” .

C’è proprio la necessità di stare accanto alle persone con un impegno di ascolto e di vicinanza; tante volte ci sentiamo impotenti davanti ai problemi che si presentano, cerchiamo di dare un aiuto concreto, di individuare una via che porti ad una soluzione. Nelle volte in cui non si riesce a compiere il percorso di guarigione o di superamento di una grossa difficoltà si è tentati dallo scoraggiamento o dal pensare che sia stato tutto inutile, ma non è così, e allora capita che sia l’ascoltato che conforta chi sta cercando di aiutarlo perché si è instaurato un dialogo di condivisione che già di per sé ha un grande valore.
Servire i poveri vuol dire innanzitutto affiancarsi nel cammino e condividere il peso della vita; non risolvere miracolosamente i problemi, ma farli sentire non più soli ad affrontarli, consapevoli di avere a fianco qualcuno che si può sempre chiamare nei momenti bui, qualcuno che non giudica, che non si pone più in alto, che apprezza la tua umanità.
Essere amici e fratelli dei poveri è una ricchezza che tutti dovremmo provare.

Antonella e Paolo Nipoti




Nella casa di Betania

Nella casa di BetaniaIo e don Valeriano siamo certamente Marta e Maria (Lc 10,38-42), con l’unica eccezione che io non rimprovero don Valeriano affinché mi aiuti (in verità lui fa tantissimo, per tutti noi) e lui non se ne sta solo a contemplare il Signore (privilegia la preghiera, ma non solo).

Io sono lieto e rassicurato che lui si goda “la parte migliore” e che nessuno si sogni di togliergliela. Ne sono lieto, perché dopo le fatiche del ministero, dovrebbe essere lo sbocco per tutti i preti di potere rimanere nella propria “famiglia”, regalando quel tocco di sapienza che la vita ha insegnato; ne sono rassicurato, perché anche se io talvolta mi trovo a trascurare “l’unica cosa necessaria”, so che la preghiera di don Valeriano non manca mai e sostiene la crescita nella fede e nel servizio di tutta la nostra comunità.

Così, nel quarto anniversario dell’inizio del mio servizio, mi gongolo di questa somiglianza della nostra parrocchia con la casa di Betania. Un luogo dove in modi diversi si cerca di essere attenti all’accoglienza di Gesù, accettando da lui anche le correzioni su come ciò possa essere fatto meglio.

In effetti sento il bisogno di un rapporto più intimo con lui, più raccolto nella preghiera, nell’ascolto della sua parola e nella contemplazione. Mi chiedo se in mezzo a piani pastorali, sinodi e prospettive missionarie, la parte migliore e l’unica necessaria non sia ritrovare un’amicizia affettuosa e personale con Gesù, che tutti ci mettiamo con gli strumenti della nostra personalità e creatività a costruire questo legame a tu per tu.

E poi, nella casa di Betania c’è un fratello – Lazzaro – che non compare nella famosa scena del Vangelo di Luca, ma che conosciamo bene dall’episodio del suo risuscitamento da parte di Gesù (Gv cap. 11).

Lì veniamo istruiti su un affetto fortissimo che lega i tre fratelli e su un’amicizia tra loro e Gesù unica in tutto il Vangelo (come abbiamo scritto nel bigliettino di Natale). Mi piace pensare, allora, che in questa casa di Betania c’è anche un “fratello” impegnato là fuori, nella vita di ogni giorno: un fratello che è simbolo di ciascuno di voi, un fratello per il quale si prova un affetto smodato e con il quale si condivide un amore unico per Gesù.

Nella casa di Betania e nei suoi dintorni, Gesù ripetutamente ha voluto che i suoi più cari amici aprissero gli occhi sul mistero di un amore e di una vita più forti della morte e noi, insieme, non potremmo desiderare nulla che corrisponda di più e meglio alla sua volontà.

Don Davide