SS.ma Trinità
Così tante cose belle
da vivere,
così tante persone
da amare,
e così poco tempo
per farlo.
Tuttavia voglio vivere
accordato alla Tua provvida
Provvidenza,
come semicroma agganciata
al suo pentagramma.
Così tante cose belle
da vivere,
così tante persone
da amare,
e così poco tempo
per farlo.
Tuttavia voglio vivere
accordato alla Tua provvida
Provvidenza,
come semicroma agganciata
al suo pentagramma.
Prima di tutto, ti invito a guardare questo video.
Lo Spirito Santo è una persona silenziosa, che sta accanto a noi anche quando non ce ne accorgiamo. Possiamo essere pensierosi, distratti, ogni tanto avvertiamo la sua presenza, ogni tanto percepiamo la sua assenza. Lui ci osserva rispettosamente e intanto prepara una storia.
Fino al momento in cui soffia il suo vento, solo per chiederti di “uscire” con lui.
“Tu hai fatto tutto questo solo per chiedermi di uscire?” potresti dire anche tu.
Lui, lo Spirito, potrebbe fare diverso, ma gli interessa la tua libertà.
Su questo punto è delicatissimo. Può accettare un rifiuto.
Il giorno di Pentecoste si è fatto sentire eccome! Dirai…
Ma è più vero che il giorno di Pentecoste ha soffiato il vento, per fare scorrere le pagine di quel taccuino e farti intravedere una storia di vita. Il rombo di tuono è ciò che ha provato la ragazza del video, nel cuore.
È finita la scuola, sei più libero. Ti propongo una piccola magia spirituale.
Pensa alla tua vita fino a qui, e focalizza cinque passaggi o momenti che ritieni decisivi. Mi raccomando: cinque, né di più, né di meno. Puoi anche scriverveli, a mo’ di diario, oppure selezionare cinque foto che li rappresentano o li simboleggiano e incollarle su un foglio di carta o metterle in una storia del social che utilizzi.
Poi, pensando a quei passaggi/momenti, chiediti: che cosa significa, per me, oggi, che questa storia mi ha portato fin qui?
Potrebbe darsi che la domanda diventi: “Vuoi riuscire con me?” 😊
Spirito Santo,
donaci una fede piccola non nel senso di poca, ma nel senso di semplice, umile. Quella fede così piccola da sradicare le montagne. Una fede “minore” come avrebbe detto San Francesco, che non vuole essere “superiore” agli uomini, ma sotto la luce di Dio.
Una fede così aderente alla tua manifestazione, da essere franca nella sua pacatezza, tale da non avere preoccupazioni né pretese di sorta nemmeno davanti a un governatore romano o a un sommo sacerdote: “Se sia giusto, davanti a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,19-20).
Una fede che cerchi l’intelligenza nella sapienza e la ragionevolezza nella matrice della Croce.
Una fede che non voglia avere ragione, ma sentimento; e che alla rassicurazione protettiva del dogma, cerchi preferibilmente l’emozione e l’inquietudine dell’incontro vivo con Cristo. Una fede che riconosca la Verità, che è Gesù Risorto, e la rispetti nella sua autenticità sempre inaccessibile alle nostre parziali e imperfette verità, piene di egoismo.
Spirito Santo,
che ci lasci la Croce come memoria del Risorto, donaci un ancoraggio essenziale non ai fondali degli abissi, ma al cielo, perché tu non sei etereo, sei concreto come un osso, sei l’essenziale di tutte le cose, spogliate da volontà di potenza, spogliate da trionfalismi, spogliate da rivendicazioni, rivalse e competizioni.
Tu, Spirito Santo,
sei la fede pura, perfetta come l’oro, limpida come un diamante e semplice come un granello di roccia; fede che si realizza quando ci affidiamo all’amore e riconosciamo che Dio è più grande di tutto e possiamo consegnarci a voi, Santissima Trinità, e custodire l’amicizia, l’affetto e il dono della Parola che illumina il nostro cammino.
Spirito Santo,
in questo giorno di Pentecoste, ti supplichiamo il dono della pace non come la dà il mondo, che sono sempre piccole ancorché utili paci, ma come la dà il Risorto, che la crea, laddove noi non siamo capaci di farla.
Infine, Spirito Santo,
ti chiediamo una fede essenziale, non affannata, ma piena di cura e di sorrisi, di legami rispettati e di alleanze mantenute o ritrovate, anche grazie al perdono.
Una fede non competitiva, né tra noi né col mondo, ma trasformante, sia di noi che del mondo.
Una fede buona e amorevole come una nonna con i suoi nipoti.
Don Davide
Collego l’Ascensione di Gesù al tema vocazionale.
Non alla vocazione nel senso di diventare prete, religioso o religiosa, e neppure penso al sacramento del Matrimonio, ma alla vocazione che riguarda le decisioni nei passaggi importanti della vita dei giovani: tipo la scelta dell’università, o del lavoro, o dove andare a vivere e se sposarsi oppure no.
In questa settimana un’amica mi ha chiesto: “Don, ma come si fa ad essere felici? E come si fa a essere sicuri di fare la scelta giusta?”. Ecco, questo è precisamente il tema vocazionale.
Ascendere significa salire in virtù di una capacità o una forza che si possiede.
La questione è proprio salire di livello nella partita della vita.
È come un videogame: prima giocavi al livello 1, adesso devi sapere che, inevitabilmente, è più difficile, però è anche più bello, la sfida si fa più stimolante, puoi scoprire cose molto più interessanti.
Il problema è che nella vita non hai le vite infinite, o comunque possibilità illimitate di giocare ancora e questo può fare molta paura.
Anche ai discepoli è successo questo. Quando Gesù è asceso, sono anche loro saliti di livello. Cavoli, già si erano presi un bello spavento dopo la sua morte, poi erano stati consolati, ma adesso lui li aveva lasciati di nuovo soli… e, beh l’esperienza dello Spirito Santo che gli avrebbe dato la carica a Pentecoste non l’avevano ancora fatta e… insomma… non deve essere stato per niente facile neanche per loro.
Tra l’Ascensione e la Pentecoste ci sono dieci giorni. Ho molte domande: Cosa hanno fatto in quei dieci giorni? Come hanno vissuto?
Come hanno imparato ad essere felici e come hanno imparato qual era la scelta giusta da fare?
Cosa hanno provato e quali emozioni hanno vissuto?
E che cosa hanno capito dell’esistenza?
Il racconto degli Atti ci dice solo che sono stati insieme, hanno curato la dimensione interiore, e hanno guarito una ferita profonda del passato.
Questa potrebbe essere una risposta. Ma voglio dedicarvi invece una canzone: “Up&Up” dei Coldplay , in modo particolari i versi che dicono: “Sì voglio crescere, / sì voglio sentire, / sì voglio conoscere, / mostrami come guarire. […] Vedi la foresta in ogni seme, / angeli nel marmo in attesa di essere liberati. / Ho solo bisogno d’amore…”
Don Davide
Mentre Gesù ascende, c’è sempre un richiamo a rimanere coi piedi per terra e ad essere suoi testimoni.
Così, il salire “al cielo” di Gesù, il fatto che lui non sia più concretamente presente su questa terra, incarica noi suoi discepoli e discepole ad essere ben presenti a questo mondo, a questa nostra storia, come lo è stato lui, che si è spogliato della sua potenza divina per farci conoscere il Vangelo e cosa sia la vicinanza di Dio.
Per qualche motivo assai misterioso, dobbiamo essere noi i testimoni del Risorto.
Questo è meraviglioso e tremendo allo stesso tempo.
Non so cosa darei, per sapere cosa hanno provato i discepoli e le discepole di Gesù dopo la sua ascensione e prima della Pentecoste, in quel tempo intermedio in cui avevano sperimentato la pazza gioia di riscoprirlo vivo, ma ora si ritrovavano a doversi assumere la responsabilità di questo.
C’era tutta la storia della comunità del Risorto da incominciare. C’era tutta la storia della Chiesa da scrivere. Quante pagine luminose e quante che avrebbero dovuto non esserci!
Alla conclusione di questo anno pastorale e in vista di quello che si prepara, sento la medesima sensazione: quella di trovarsi nella gestazione di nuovo inizio e di avere chiara la responsabilità che comporta per tutti noi.
La Beata Vergine di S. Luca, in un certo senso, ascende insieme a Gesù, per essere sempre accanto a lui e vigilarci dall’alto. A lei, che è stata in mezzo a noi, affidiamo questa premura, mentre attendiamo, invocanti, umili e supplici, lo Spirito del Risorto.
Don Davide
“Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa” (Gv 14,26) è una delle mie frasi preferite del Vangelo.
La dice Gesù, parlando della forza vitale che pervaderà i discepoli del Risorto.
C’è questo Maestro interiore, che si confonde con la nostra coscienza e la nostra personalità.
Come lo riconosciamo? Dalla capacità di essere padroni di noi stessi.
Dove e come possiamo allenare questa forza?
Vi suggerisco tre cose.
1-Linguaggio sicuro
Ultimamente, sia gli adulti che i più giovani, quando gli chiedi una cosa, ti rispondono: “In linea di massima potrei…” oppure “Quel giorno penso di avere un impegno…” o cose simili. Sono tutti modi di dire che tengono aperta una scappatoia e alla fine tradiscono insicurezza. Allenatevi a dire: “Sono libero, ma voglio valutare meglio se dirti di sì o di no”, oppure: “Ho già un impegno, quindi no.” Vedrete come è difficile, e allo stesso tempo come cambia la musica…
2-Padronanza di sé
Faccio fatica a studiare, ma mi sono dato questo tempo. Non riesco a rimanere concentrato, allora evito le distrazioni. Scelgo di non guardare il cellulare per il tempo che studio. Voglio leggere 20 pagine al giorno e ascoltare 2 belle canzoni. Sono tutti piccoli esercizi che servono a diventare padroni di se. Vengono tempi, nella vita, in cui ringrazierete di non essere dei pappamolli della volontà.
3-Interiorità
Partendo dall’ABC, fatevi un glossario delle emozioni. Quando chiedo a una persona come sta, mi risponde: “Bene” o “Sono arrabbiato”. Queste due risposte dovreste proibirle dal vostro linguaggio, cominciare a riconoscere esattamente qual è la vostra emozione dominante e imparare a chiamarla per nome, come se fosse la sfumatura di un colore: esiste il verde, ma può essere verde acqua, verde bosco, verde militare, verde pisello ecc. Qual è esattamente l’emozione che stai vivendo? Come si chiama?
Scoprirete che lo Spirito è capace di insegnarvi ogni cosa.
In questa domenica, in cui facciamo festa alla B.V. di S. Luca in città e onoriamo S. Rita, la liturgia comincia a prepararci ad accogliere lo Spirito Santo.
Egli è il Maestro interiore.
Ci aiuta a ricordare, custodire, meditare e comprendere le parole di Gesù, come una luce chiara sul nostro cammino.
In parrocchia c’è un quadro dedicato a S. Rita, recentemente è stata cambiata l’illuminazione, ma rimane poco visibile.
Ho pensato a quanto abbiamo scritto nella versione che abbiamo elaborato di quel quadro per la cosiddetta arte digitale, nella serie Leadership contemporanea: Clarity-A-… NFT for sale at Mintable.app
“Santa Rita è in estasi sostenuta da angeli. […]
In un mondo in cui l’estasi è associata alla sotto-cultura del disordine e della trasgressione, una vera guida sa che l’estasi è invece legata alla chiarezza mentale e si concentra su ciò che è realmente a servizio degli altri.
La leadership è un dono d’amore ed è sacrificio, carità e dedizione.
Una guida esce da se stessa, ma non si smarrisce. Mentre va verso gli altri è animata da una chiarezza assoluta: sa chi è, perché lo fa e come lo fa. E non perde mai di vista il Bene.”
Quando Gesù comincia ad ammaestrarci sul mistero dello Spirito Santo e dice: “Lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” (Gv 14,26), pensa esattamente a una persona spirituale capace di essere padrona di se stessa e riferimento sicuro per gli altri.
Don Davide
Ho avuto in questi giorni l’occasione di pregare i salmi davanti al “Muro del Pianto” – o Muro Occidentale – a Gerusalemme. Opportunità che, tra l’altro, si intona perfettamente con la mostra di ArtCity che ospitiamo in questi giorni nella chiesa di S. Valentino.
Tra i tanti, ho pregato questo versetto: “Si dirà di Sion, l’uno e l’altro è nato in essa, e l’Altissimo la tiene salda.”
Eppure, se c’è una città divisa, è Gerusalemme.
Il vangelo di questa domenica ci dice che uno degli effetti maturi dell’esperienza spirituale della resurrezione è quello di abitare le contraddizioni, anzi di superarle. Dalla liturgia, ci viene riproposto il momento in cui Giuda abbandona il gruppo, per tradire Gesù. Nel momento in cui Giuda esce dal Cenacolo, Gesù parla dell’azione di Dio.
Ma come?!
Gesù è tradito e il Padre glorificato? Gli uomini si dividono e l’amore si fa spazio? L’uomo fallisce e Dio trionfa?
In tutti i salmi composti per avvicinarsi al Tempio si invocava e si augurava la pace su Gerusalemme. E una volta raggiunto il Tempio, si cantava l’Alleluia.
Così, pregare i salmi davanti al Muro Occidentale, dove una volta sorgeva il Tempio e ora due moschee, circondato dai luoghi cristiani, mi ha reso più consapevole che, sicuramente, noi uomini non siamo in grado di governare le nostre contraddizioni, ma il Signore sì.
Non è un’affermazione per non assumere le nostre responsabilità, ma un aprirsi alla fiducia.
Gesù sa trasformare persino un tradimento; e Dio ricompone le frammentazioni e le distonie che generano gli uomini, in una preghiera corale e armonica per la pace.
Così, la Pasqua che penetra nelle nostre vite, spinge anche noi non a guardare al passato, in nessun caso, ma a riconoscere cosa sta nascendo, cosa si sta generando di nuovo.
Don Davide
Vi scrivo dal Santo Sepolcro, a Gerusalemme, anche per dirvi che vi ho pensato e ho pregato per voi.
Sapete, questo posto è una confusione inimmaginabile. Si pensa che debba essere il luogo più mistico della Terra, ma apparentemente è tutto il contrario.
Nelle pietre si mischiano due millenni di costruzioni, distruzioni e ricostruzioni, ci sono le comunità cristiane divise ed è impossibile mantenere il raccoglimento.
Le prime volte che venivo mi dava fastidio e mi ribellavo.
Poi ho riflettuto che nelle nostre vite, come nella nostra storia, non c’è nulla di stabile, unito, raccolto e ordinato.
Così, il Santo Sepolcro è uno specchio perfetto dell’esistenza e del nostro mondo.
Da qui si è sprigionata un’energia che è la vibrazione della vita, nascosta, spesso offesa, ma presente in mezzo al caos.
Gesù non è più in un luogo fisico, ma la sua resurrezione è la forza che tiene coeso il tutto, nonostante tutto.
Il segreto sta nel riuscire a percepirlo e sentire questa energia di vita che, silenziosa e tanto discreta, tiene acceso il mondo.
L’articolo è un po’ lungo, se preferisci ascolta il podcast.
Sabato scorso ho visto il serale di Amici e sono rimasto colpito dalla sfida tra Albe e Luigi (LINK).
Mi ha impressionato, in negativo, l’atteggiamento degli adulti, che si sono presi la scena quando la scena non era loro: su 6’46” di video, 5’ sono la parte in cui gli insegnanti parlano parlano parlano, mentre 1’46” è il tempo della prova di Albe.
Mi ha fatto riflettere la consegna della canzone: “Io vagabondo” dei Nomadi, anno 1972. Ma davvero?! Da allora è cambiato tutto, persino il linguaggio. Penso all’insidia di una generazione che chiede a quella successiva di confrontarsi con i propri vecchi riferimenti, scaduti.
Per fortuna, almeno, è stato detto che Albe ha fatto una riscrittura magistrale.
L’ha interpretata come un giovane che prende parola, e che ha il coraggio di dare voce a una grande preoccupazione della sua generazione: “senza provare a volare, perché se cadi fa male, quindi vuoi stare al sicuro”.
C’è questa paura, spesso non detta e nascosta, di cadere, perché l’ombra di farsi male è grande e minacciosa.
Eppure, si può cadere imparando a proteggersi dagli urti e dal male.
Come i judoki o i karateki. Come una pallavolista quando fa la rullata, o il portiere in un tuffo spettacolare.
Diversamente dalle cadute fisiche, imparare a cadere, nella vita, significa in realtà imparare a rialzarsi.
Come si fa?
Sapendo che non sei da solo, ma fai parte di uno stormo, come canta Albe.
E ascoltando la parola di Gesù che in questa domenica ci dice:
“Io ti conosco e tu non temere.
Tutti possono avere paura di cadere, non c’è nessun male in questo.
Ma si può vivere senza essere bloccati dalla paura.
Anche se cadessi, ti potresti rialzare.
Io ti custodisco nella mia mano. Nessuno ti strapperà dalla mia mano.
Nessuno ti strapperà dalla mano del Padre mio.”
(cf. Gv 10,27-29).
Cosa fa una persona spirituale? Cade e si rialza