“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce” (Is 9,1). Per essere illuminati, bisogna innanzitutto riconoscere che il nostro mondo fa quotidiana esperienza delle tenebre. È di questi giorni la triste conferma che pochissime persone del mondo detengono una incredibile maggioranza delle ricchezze del mondo; le notizie dei fronti della guerra continuano a raggiungerci; condividiamo le sofferenze di tanti nostri fratelli e sorelle in Italia piagati dalle calamità naturali, o da tante altre drammatiche piaghe sociali.
Non dobbiamo però pensare che siano cose di cui sono responsabili solo “gli altri”: si tratta di modelli e di strutture dei quali anche noi facciamo parte: un modello di organizzazione dell’economia con cui noi corriamo il rischio di avvallare delle situazioni di disuguaglianza; gli assetti della politica e della cultura per cui non ci sentiamo coinvolti nelle cose che accadono lontano; un modo di comprendere (o di non comprendere) i vincoli e le responsabilità della convivenza comune, che non ci fa vivere come Paese solidale sempre, non solo quando succedono le catastrofi.
L’irruzione della luce il Vangelo ce la racconta nell’inizio della storia dei primi discepoli con Gesù. Lui li chiama e loro si trovano coinvolti in questa vicenda con lui. Il Vangelo, fra le righe, ci fa sentire una certa nostalgia per l’entusiasmo di quel momento, che certamente nelle prime fasi non era nemmeno consapevole, ma a cui molti anni dopo gli apostoli devono avere ripensato con un’emozione particolare: lì stava iniziando qualcosa di nuovo e così sorprendente che non avrebbero mai potuto immaginare. La loro storia con Gesù stava iniziando.
Quella storia è raccontata come quando ci si innamora e come uno squarcio di libertà.
Abbiamo sempre pensato che “lasciare il padre”, in questo racconto, fosse un riferimento alla radicalità della sequela. Senz’altro quest’elemento c’è. Ma lasciare il padre evoca innanzitutto l’esperienza nuziale: “lascerà suo padre e suo madre e si unirà alla sua donna”. Qui, sicuramente, il Vangelo non vuole fare una riflessione sul celibato, ma vuole dire che l’incontro con Gesù è segnato da quel tipo di amore che si prova quando ti innamori pensando che hai trovato la persona della tua vita.
In secondo luogo, la psicologia contemporanea ci insegna che “lasciare il padre” evoca la grande libertà che è data dall’amore. L’esperienza, cioè, della vita adulta, plasmata nella libertà di potere camminare in una storia nuova, anche lasciando i propri retaggi, le proprie sicurezze, i propri condizionamenti, per potere camminare verso la costruzione di qualcosa che il Signore ci chiede di generare anche in maniera nuova.
In che modo si può esprimere questa libertà, senza che sia soltanto l’ultima trovata arbitraria e illusoria? San Paolo, nella seconda lettura, ci istruisce su questo, con quella che è chiamata la logica della croce, ossia il criterio dello Spirito: una logica che rifiuta i criteri del mondo e che sceglie la via disarmata, dove si manifesta davvero la forza dello Spirito, il suo fascino e la sua potenza: una via di pace.
In questa domenica noi accompagniamo con grande simpatia i ragazzi che parteciperanno alla Giornata diocesana della Pace e ci auguriamo che crescano come costruttori di pace e di un mondo nuovo e che davvero possano essere migliori di noi.
Don Davide
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