La profezia della prima lettura conclude con il famoso oracolo: “La mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli.” (Is 56,7). Pensiamo subito alla scena in cui Gesù scaccia i mercanti dal Tempio, citando proprio questo versetto di Isaia. La casa a cui fa riferimento la profezia è il Tempio e per capire quanto fosse estrema questa visione, dobbiamo ricordare che il culto nel Tempo era riservato agli ebrei. All’epoca di Gesù, il Tempio aveva un cortile in cui potevano accedere anche gli altri popoli, ma non era concesso loro di procedere oltre.
Tuttavia, questo raduno degli stranieri “che hanno aderito al Signore per servirlo e per amarlo” e degli ebrei “che si guardano dal profanare il Sabato e restano fermi nell’alleanza” (Is 56,6), secondo il Nuovo Testamento avviene non solo nella casa fisica del Tempio, ma anche nella casa spirituale che è la Chiesa. (Non le chiese di mattoni, che sono venute molto più tardi, ma la Chiesa fatta dei battezzati!)
Da qui vorrei trarre lo spunto di oggi, che possiamo parafrasare così: “La mia casa (cioè la Chiesa) sarà chiamata casa-di-preghiera per tutti i popoli.”.
“Casa – di – preghiera”: mi chiedo se non sia proprio quello che abbiamo perso e che, quindi, dobbiamo recuperare. Spontaneamente, infatti, pensiamo alla chiesa edificio di mattoni, come il luogo dove si va a pregare e di conseguenza alla Chiesa di persone come quelli che pregano, che fanno cose spirituali… è tipico dei ragazzi più giovani, ad esempio, pensare la chiesa (con l’iniziale minuscola o maiuscola è indifferente) come il luogo dove si prega, perciò noioso. Quante volte ho sentito studenti intorno alle scuole chiedere ai propri amici che avevano fatto i campi estivi: “Ma cosa fate durante i campi, pregate sempre?!”.
Già il fatto che questo tema della preghiera sia interpretato quasi sempre in senso negativo o riduttivo, come una cosa per pochi nostalgici, la dice lunga sulla situazione.
Ma vorrei provare a dire di più. Pensando alla preghiera come moto dello spirito, come elevazione della persona nel dialogo con il Divino, si potrebbe parafrasare la profezia di Isaia anche così: “La mia casa (cioè la Chiesa) sarà chiamata luogo di esperienza spirituale per tutti i popoli.”
Nonostante quello che si pensi, c’è molto bisogno di insegnamenti spirituali, regole o consigli per vivere meglio. Qualcuno sente il bisogno e lo cerca, qualche altro non lo cerca affatto ma non si rende conto che ne ha bisogno lo stesso.
Con rammarico, registro che questa “ricerca” è ormai affidata agli psicologi, alle religioni orientali o alle discipline olistiche, ai mental coach, ai motivatori, ai guru…
Non è una questione di competizione e lo dico con il massimo rispetto e amorevolezza: ma sembra che la Chiesa si sia ritirata da questo campo, sembra che al di là di qualche ripetizione di concetti stantii e moraleggianti, non siamo più capaci di appassionare all’esperienza spirituale come a un’arte, un tesoro prezioso e pieno di benefici che va ricercato, una scienza che va anche imparata.
I giovani meno che mai sembrano chiederla, così nella pastorale ci siamo settati su altre cose.
Mentre pensavo a queste riflessioni mi risuonava in mente lo splendido versetto di un salmo, che a proposito del ritrovarsi di Israele insieme agli stranieri nella luce del Messia a Gerusalemme, nella “Casa – di – preghiera”, dice:
Si dirà di Sion: “L’uno e l’altro è nato in essa e l’Altissimo la tiene salda.”.
E danzando canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti.” (Sal 87,5.7)
Mi piace pensare alla “saldezza” nelle nostre vite complicate, come qualcosa che ci viene dall’Altissimo. Se dovessi dare indicazioni cristiane per la vita concreta direi proprio questo: se cerchi di rimanere saldo nella vita, ascolta le indicazioni dell’Altissimo. Lì troverai tutte le “sorgenti” per la tua esistenza.
Don Davide