Set 06

Il tempo della misericordia

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Ci prepariamo a riprendere un anno pastorale, pieno di attività, di incontri e di propositi di bene. Lo facciamo in questo tempo in cui il sogno dell’Europa sembra dissolversi con l’innalzarsi di nuovi muri – pensavamo di esserceli lasciati alle spalle definitivamente, i muri – e in cui veniamo scossi dalla morte di tanti uomini, donne e bambini che migrano per le più svariate ragioni, e che sono – prima di tutto – nostri fratelli e nostre sorelle in umanità, figli di Dio.

Papa Francesco ci richiama continuamente a non dimenticarci di questa compassione per l’essere umano, imitando il Figlio di Dio che ha fatto come il Buon Samaritano, e si è chinato – e si china continuamente – sull’umanità ferita. Fedele al suo proposito, papa Francesco, apre sempre di più le porte della misericordia, con gesti e indicazioni concrete. Mi sembra che non sia solo un invito ad azioni particolari, ma la volontà di traghettare la Chiesa in un “tempo della misericordia”, simbolicamente avviato dall’indizione di uno speciale Anno Santo.

Il “tempo della misericordia” non è un singolo gesto, un’iniziativa o un’azione particolarmente benevola, è un clima e una mentalità, è uno stile con cui il cristiano abita e vede il mondo.

Possiamo comprendere le letture di questa domenica solo in questa cornice, e tenendo sempre davanti agli occhi ciò che accade nella storia del mondo.

Il profeta Isaia ci ammonisce: «Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Giunge la vendetta del vostro Dio”. È un linguaggio duro, che sfugge alla gabbia del politicamente corretto. C’è una vendetta di cui Dio è il protagonista, per fare giustizia agli smarriti di cuore, alle vittime. Ci sarà una vendetta contro chi rimarrà insensibile alla morte di un bambino sulle spiagge dei nostri mari. Ci sarà una vendetta che farà fiorire e irrigherà le terre deserte e martoriate dell’Africa e del Medio Oriente: «La terra riarsa diventerà una palude e il suolo riarso sorgenti d’acqua», (I lett.) mentre altri saranno condannati per i propri «giudizi perversi» (II lett.).

La Lettera di San Giacomo, infatti, è inequivocabile: ai ricchi si dice: “Siediti qui”, mentre per i poveri “non c’è posto”. «Non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?».

Nel vangelo, invece, Gesù guarisce un sordomuto. Ora quel sordomuto siamo noi, noi tutti, chiese e civiltà dell’Europa, che dobbiamo imparare di nuovo a tendere l’orecchio e ascoltare il grido di chi ha bisogno, come fa Gesù, e a parlare non più di muri, razzismo, confini e frasi fatte, ma un linguaggio profetico che immagini e costruisca un mondo che, realmente, sia più conforme al Regno di giustizia e di pace che Dio ha voluto iniziare nella storia degli uomini.

Don Davide

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