Come in una foto di montagna

Nell’atto supremo di Dio di superare l’indifferenziazione e di mettere l’essere umano in relazione, lui – il Creatore – stabilisce un movimento. La relazione viene creata dal lato (la famosa “costola”), ma è pensata e voluta da Dio per essere frontale (quello che viene tradotto correttamente “un aiuto che gli corrispondesse” ho una dimensione di frontalità: “un aiuto che gli stia di fronte”).

Quando le cose vanno bene, insieme, si inizia che ci si sente accanto ed è una bella sensazione. Ci si sente vicini nel cammino, si va nella stessa direzione. Sembra tutto perfetto: cosa volere di più?

La sapienza biblica suggerisce che, da quella posizione, dobbiamo raggiungere una postura frontale.

Guardarsi negli occhi, infatti, è più difficile: può essere più intimo, ma anche più imbarazzante. Può farci sentire ancora più vicini, ma anche smascherare tutte le nostre vulnerabilità.

Poi l’immagine di camminare uno di fronte all’altro è contro-intuitiva. Ci vorrebbe un atto di fiducia, di uno che si lascia guidare senza vedere dove mette i piedi, e sarebbe necessario darsi il cambio, ogni tanto, o alla guida o nella direzione.

Infine, una persona che mi sta di fronte io la posso vedere meglio. Posso accorgermi se piange, anche quando cerca di trattenere le lacrime; leggo le sue emozioni sul volto e sperimento che è un essere altro da me, a cui non posso passare sopra, che non posso assimilare.

Tutte queste cose, stando solo di fianco, non le sperimento, anche se inizialmente sembra una posizione bellissima.

Così mi sento di invitare le coppie di tutte le età ad esercitarsi a stare di fronte e a capire cosa significa creare quello spazio tra noi che ci separa e allo stesso tempo ci unisce, permettendoci di vivere come soggetti e di stare in una dimensione di vera comunione.

Allo stesso modo, esorto tutti noi (me compreso) a camminare a fianco delle persone, come Gesù con i discepoli di Emmaus, ma poi anche di fare il movimento di giungere in posizione frontale, di guardarci negli occhi, di riconoscerci, ringraziarci, accettarci, fidarci e valorizzarci, magari anche di sedere a tavola in uno di quei piccoli tavoli da osteria, in cui si sta di fronte e si parla fitti fitti, come immagino abbia fatto Gesù, ad Emmaus, entrato in casa con i suoi amici.

Mi auguro che nella nostra comunità sappiamo camminare di fianco per arrivare di fronte,

riconoscere i nostri volti e capire che è bello guardare l’orizzonte aperto, ma in questo caso, è più bello se in quest’orizzonte ci sei anche tu, come in una foto ricordo in montagna.

Don Davide