“Rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro.” (Sir 27,33)
Questa massima sapienziale – che apre la liturgia della parola di questa domenica – non è solo frutto di una rivelazione religiosa; ogni persona desiderosa di bene, infatti, potrebbe condividerla. Tuttavia ha un gusto buono, il sapore di cose desiderabili.
È stato immergendomi in questi desideri che, molto più di vent’anni fa, cioè molto prima della mia Ordinazione Presbiterale, sono stato attratto dalla Parola di Dio, dall’Antico Testamento, poi dal Vangelo e infine ho incontrato le lettere di San Paolo.
È stato il Signore che si è fatto incontrare e in quest’esperienza, che solo dopo ho imparato a definire “spirituale”; ho riconosciuto una bontà che valeva la pena ricercare, un bellezza positiva e appagante, proprio come testimonia il profeta Geremia: “Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità. La tua parola era la gioia e la letizia del mio cuore.” (Ger 15,16)
Da allora rimango stupito tutte le volte che trovo nella Sacra Scrittura parole incoraggianti e che mi motivano al bene, spesso semplici, ma che vanno dritte al punto, come ad esempio: “Ricordati della fine e smetti di odiare.” (Sir 28,8).
Non sentite che un mondo di bene si spalanca non appena il suono di questa frase giunge ai nostri orecchi?
Oggi, celebrando e festeggiando con voi il ventesimo anniversario della mia Ordinazione, condivido meravigliato lo stupore e la gratitudine per questa dimensione spirituale che si schiude ogni volta, che dilata lo spirito, mi fa amare la vita e mi educa ad amare le persone che incontro.
“Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso” (Rm 14,7) scrive San Paolo nella seconda lettura. Ascolto questa affermazione, carica di teologia, e in realtà sono rincuorato dalla sua dimensione più elementare e dal suo significato più immediato: non siamo soli, vale la pena custodire la compagnia che il Signore ci dona ed essere compagni a nostra volta.
In altre parole: è bello vivere con qualcuno e per qualcuno.
Infine, il perdono: “Fino a settanta volte sette” (Mt 18,21). Grazie, Signore, perché ci apri orizzonti di cielo, vasti e pieni di ispirazione, come il Lago di Galilea che abbiamo contemplato da poco.
È per parole come queste che io credo.
È per la missione di riconciliare e fare sentire amati che vivo il ministero.
Cos’altro potrebbe conquistarmi? Le parole di guerra o di potere?! Nel tuo ardire di perdonare, invece, ammiro possibilità inedite, sentieri di pace per il cuore e per le nazioni, percorsi difficili – nei quali anch’io sono solo un principiante – che possono rinnovare il mondo e, finalmente, notizie buone.
Sono prete perché ho intuito che era il mio modo specifico di accogliere e condividere questa scoperta che mi dilatava il cuore. Lo sono da vent’anni per grazia di Dio e con l’aiuto e la pazienza di moltissime persone care.
Ringrazio te, Signore, e ognuna di queste persone con cui ho condiviso e concretizzato almeno una sillaba delle tue parole.
Don Davide