Il Concilio Vaticano II, concluso 50 anni fa, non aveva solo auspicato un nuovo rapporto della chiesa con il mondo, ma anche un nuovo modo di essere chiesa al proprio interno.
In modo particolare, il rinnovamento della chiesa mirava a una maggiore partecipazione dei laici all’opera pastorale. A distanza di mezzo secolo, molti studiosi e interpreti (e anche il magistero degli ultimi papi), concordano nel dire che questo aspetto è una delle riforme che avanza più faticosamente nell’esperienza ecclesiale dei nostri giorni.
I motivi di questa situazione sono tanti, in modo particolare i ritmi di vita delle persone che diventano più impegnativi, lasciando meno spazio all’impegno e al volontariato, e la difficoltà del ripensamento dei ruoli del ministero ordinato e dei laici e delle loro interazioni.
Il Consiglio Pastorale parrocchiale è uno degli organi previsto dalla Chiesa italiana dopo il Concilio, per concretizzare il sogno di una comunità partecipata e viva, con una significativa visione pastorale e una solida capacità progettuale.
Tuttavia, ad oggi, si registra una certa fatica nelle comunità a fare funzionare questo strumento prezioso. Molto, senz’altro, è colpa di noi preti. Molto dipende anche dalla formazione dei laici, che non sempre è adeguata a proporre un livello di riflessione pastorale significativo e incisivo sulla vita della comunità. Molto, infine, dipende dal fatto che il concetto della corresponsabilità, non è ancora pienamente assunto: si tende piuttosto a una forma di collaborazione, in cui si attende comunque che sia il parroco a dire cosa bisogna fare e deleghi gli incarichi. La corresponsabilità, invece, è uno sguardo e un modo di essere; è una cura per la dimensione pastorale della comunità, che vede i compiti e le urgenze come propria responsabilità, ed è capace di attivarsi e di farsene carico, mantenendo la comunione con il parroco e gli organi collegiali della parrocchia.
Il Consiglio Pastorale, nella mia idea, è prima di tutto un luogo dove cresce e matura questa corresponsabilità. Non importa che chi ne fa parte sia già formato in questa dimensione, ma è fondamentale che chi vivrà questo incarico possa assumere questo sguardo e impersonare questo modo di essere.
In secondo luogo, il Consiglio Pastorale è un organo collegiale eletto democraticamente, composto da persone che possano insieme al parroco, dare una linea all’azione pastorale della parrocchia, e determinare una sensibilità, orientando scelte, condividendo decisioni, offrendo confronti.
Ritengo sterile l’annosa questione sul fatto che il Consiglio sia un organo “consultivo” e non “decisionale”, nel senso che questa regola formale del diritto canonico esprime solamente il fatto che il parroco ha il dovere di assumersi la responsabilità ultima delle scelte fatte e, nel caso, di esprimere le proprie riserve e di rispondere alla propria coscienza, soprattutto in ordine a mantenere la comunione con il vescovo e la chiesa locale. Non si può in alcun modo interpretare questa regola come una riduzione del valore del Consiglio, quasi che fosse solo un’assemblea per fare due chiacchiere insieme. L’apporto variegato dei singoli consiglieri – tanto più in un mondo complesso come il nostro – è decisivo e necessario, ed è una cosa che io personalmente considero fondamentale per potere fare strada insieme, come mi auspicavo il giorno del mio ingresso in parrocchia.
Perciò mi auguro che le prossime elezioni del Consiglio, che si terranno Domenica 24/01/2016 (e il sabato precedente) al termine di tutte le messe, siano il più possibile partecipate e sentite come momento fondamentale e di grande coinvolgimento da parte di tutti coloro che sentono come “propria” la comunità delle parrocchie di Santa Maria e di San Valentino.
Don Davide