TESTIMONIANZA DI ZEBEDEO
Quando Gesù chiamò i miei figli Giacomo e Giovanni, capii che era giunto un momento decisivo anche della mia vita.
Conoscevo quel Maestro particolare; era da qualche giorno che insegnava lungo le coste del Lago e lo faceva in modo diverso da tutti gli altri: era più autorevole e più convincente, e le cose che diceva si capivano bene, come se facessero parte della nostra vita. E poi nelle sue parole c’era una dolcezza, come se parlasse con affetto a persone a cui voleva bene, e quando lo ascoltavi provavi un senso di urgenza e di pace allo stesso tempo.
Avevo voluto molto bene ai miei figli e avevo insegnato loro tutto quello che sapevo, soprattutto il mestiere di pescatore. Ormai, erano molto più bravi di me.
Ma sapevo che quel lavoro gli stava stretto. Erano sempre stati irrequieti, con un’energia che sembrava che dovessero spaccare il mondo e certamente quei piccoli villaggi sulle sponde del Lago non erano abbastanza per loro.
Pensate che una volta si erano conquistati il soprannome di Figli del Tuono.
Il giorno che Gesù li chiamò, li avevo visti particolarmente spenti. Stavano aggiustando le reti, ma si vedeva che erano tristi, annoiati e con poca motivazione.
Così fui contento che fosse proprio Gesù a chiamarli. La sua voce risuonò come un tuono: “Ehi, voi due, venite dietro di me!” Notai che c’erano già Andrea e Simone al seguito: sembravano due pulcini spaventati dietro a Gesù, eppure erano due omoni, con le mani indurite dal tanto lavoro.
Quando Gesù li chiamò, sentii che si realizzava anche la mia vocazione di padre, come la vocazione di ogni genitore, di ogni mamma e di ogni papà.
Sì, perché quando sei genitore ai tuoi figli insegni tutto, dai loro il meglio di te… ma poi arriva il momento in cui devono seguire la loro strada, ed è giusto che lo facciano, che loro partano e che tu rimanga lì sulla tua barca, da solo.
È difficile, ma è giusto.
La vocazione dei genitori si compie proprio quando sanno lasciare spazio ai figli, perché seguano la loro vocazione.
Giacomo e Giovanni, all’udire quella voce di tuono, si risvegliarono. I loro lineamenti si distesero e si accesero, come se fossero di fuoco. Si voltarono verso di me, facendomi un sorriso, io con la testa feci cenno di sì e loro si incamminarono verso Gesù, lasciando tutto lì sulla barca.
E io sono contento che abbiano risposto con l’entusiasmo che li caratterizzava. E sono contento che lo abbiano fatto subito. Perché un padre è felice quando i figli sono felici.
Sono i miei figli e io li amo.
INTERVISTA AI DISCEPOLI
Giacomo e Giovanni, raccontateci come è stato l’inizio.
Quando Gesù comparve per la prima volta e cominciò a predicare, non ci facemmo neanche caso. Non era certo il primo e non sarebbe stato l’ultimo.
I personaggi come lui iniziavano a predicare alla mattina presto, quando noi pescatori avevamo quasi finito di lavorare, dopo una notte passata a pescare. Eravamo stanchi e non avevamo certo voglia di stare lì ad ascoltare!
E poi cosa successe?
Prima che ci chiamasse, eravamo passati accanto a Gesù un paio di volte, mentre tornavamo dal lavoro. Ricordo che la prima volta che incrociai il suo sguardo, non riuscii a sostenerlo.
Così, cominciammo a fare attenzione a quello che diceva. Quando finivamo di pescare, trovavamo sempre la scusa di intrattenerci sulla barca, per ascoltare qualche insegnamento di Gesù, senza farci notare.
Ma credo che lui si fosse accorto che eravamo interessati.
Cosa avete provato?
Cavolo, noi eravamo giovani e vivevamo in un mondo legato alle tradizioni! Sembrava che non si potesse fare niente di nuovo, non era ammesso nulla ente che non fosse stato già fatto o già vissuto dai tuoi genitori, dai tuoi nonni e dai tuoi bisnonni.
Invece noi eravamo curiosi. Volevamo vedere Gerusalemme… e Atene… e magari anche Roma! Anzi, volevamo sconfiggere l’Imperatore! Sì, pensavamo di poterlo fare!
E ci siete riusciti?
Beh, quando Gesù ci chiamò pensammo che fosse la nostra grande occasione.
Ha funzionato?
In realtà, dopo abbiamo scoperto che non avevamo capito niente.
Ci disse che saremmo stati “pescatori di uomini” e noi ci lasciammo prendere dall’entusiasmo… ma, a pensarci bene, non avevamo idea di cosa volesse dire!
L’avete imparato?
Sì. Abbiamo imparato che la cosa più grande che si può fare è migliorare se stessi, allenandosi ad amare, a voler bene e a servire.
E che essere pescatori di uomini, significa che se tu ti lasci amare, dopo gli uomini si avvicinano a Dio quasi da soli.
Grazie del vostro tempo, alla prossima intervista!
Grazie a voi, arrivederci a tutti!
LETTERA DI GESÙ
Care bimbe, cari bimbi,
rispondo volentieri per raccontarvi cosa mi ha spinto, quel giorno a chiamare i primi discepoli… i primi di una lunga lista in cui, oggi, ci siete anche voi.
Io abitavo a Nazareth, sui monti, ed ero stato a Gerusalemme e a Betlemme… ma il Lago era il mio posto preferito. Così, quando volevo annunciare l’amore di Dio… decisi di partire da lì.
Mi sembrava il luogo adatto per sentirsi amati da Dio, come quando anche voi siete nel vostro luogo preferito. Qual è il vostro luogo preferito?
Lì incontrai tanti uomini e tante donne indaffarati. Erano giovani e meno giovani… e studiandoli, capii subito una cosa.
Tutti, ma proprio tutti, avevano nel cuore un desiderio: quello di essere amati e di amare, insieme a quello di fare qualcosa di buono.
Sono sicuro che anche voi ce l’avete! È quel sentimento che ci fa sentire la gioia, quando accade qualcosa di bello.
Allora cominciai semplicemente a dire a tutti che era vero.
E loro mi domandavano: “Che cosa è vero?!”
E io: “Che siete amati! Che Dio vi ama!”
E aggiunsi che tutti potevano farlo.
E loro mi domandavano: “Che cosa possiamo fare?!”
E io: “Potete amare anche voi! E fare tante cose buone!” E li incoraggiavo.
E vedevo che era come se si risvegliassero: avevano più energia ed erano più gioiosi.
Avete presente, bimbi, quando incontri qualcuno che capisci che può essere tuo amico? Ecco, quando vidi i primi discepoli, io provai quella sensazione. Capii che saremmo stati amici per sempre e che io non li avrei lasciati mai più.
Fu come un’ispirazione e li invitai a seguirmi e a stare con me. Loro vennero subito, non indugiarono neppure un secondo, e così facendo, mi hanno insegnato loro una cosa che io non avevo ancora imparato.
Che il momento buono per fare il bene è adesso, subito!
Iniziate dal vivere bene la giornata di oggi: fate un complimento per il pranzo buono che mangerete, mettete un po’ più di impegno del solito a fare i compiti di oggi, quando giocate inventatevi qualcosa di speciale… e andando a dormire, stasera, date un abbraccio più forte ai vostri genitori.
E anche voi scoprirete, che l’amore di Dio è vicino, vicinissimo.
Con affetto,
il vostro Gesù