Il giovane “se ne andò rattristato” dopo la proposta di Gesù.
Mi ha sempre affascinato questo enigma. Quel giovane uomo aveva cercato Gesù di sua spontanea volontà: se decide di andarsene e di non accettare l’invito di Gesù, perché allora è triste?
Perché non accoglie una cosa che lo avrebbe fatto felice?
E viceversa: perché fa una scelta che lo rende triste?
È un mistero a cui è complicato rispondere.
Provo a indagare quando sono felice o lo sono stato in passato.
Sono stato felice la prima volta che, da ragazzo, mi sono innamorato; e poi quando ho sentito una voce amorevole che mi sembrava più forte di tutte, quella di Gesù. Ricordo il luogo, i colori, il profumo e l’ora.
Sono felice quando percepisco lo scorrere della mia vita come importante nell’armonia complessiva del mondo: in una parola, quando quello che faccio ha un senso buono.
Sono felice quando voglio bene; ancora di più insieme a coloro a cui voglio bene.
Sono felice quando riesco a semplificare le cose, anche quelle che possiedo.
Sono felice sulle Dolomiti, molto meglio in compagnia degli amici.
Forse, abituandosi a frequentare la felicità come se fosse un’amica, impareremmo a distinguere i sentimenti che durano da quelli che svaniscono, le emozioni che ci rendono belli o belle da quelle che ci imbruttiscono, e a non lasciarci fregare quando i bivi sono difficili da scegliere.
Don Davide