Quando dobbiamo descrivere un momento di prova, in genere ci troviamo a raccontare una storia. “È successo questo e quello… e poiché mi sentivo così… allora è accaduto che…”.
Per questo motivo, nella prima domenica di Quaresima, la liturgia ci propone la professione di fede di Israele (I lettura) nella forma di una storia. Il racconto di ciò che Dio ha operato in mezzo alle prove della nostra vita è il modo migliore per sconfiggere le tentazioni attuali. L’anno della misericordia è un tempo in cui noi ci esercitiamo a fare proprio questo: a riguardare al nostro vissuto e non scorgervi un percorso fatto di successi, gioie e fallimenti, ma soprattutto l’intervento di Dio che ci ha protetto e guidato. Ecco perché Israele, quando professa la sua fede, racconta una storia: così fa memoria della presenza di Dio che guida la sua esistenza. Ed ecco perché fare memoria aiuta noi nel momento della prova: perché ricorda che Dio ci è accanto, anche e soprattutto nel momento della tentazione, e ci aiuta a sconfiggerla.
Quando vado a benedire, o nei colloqui con le persone, spesso mi viene rivolta la domanda riguardante la traduzione del Padre nostro: «non ci indurre in tentazione». L’italiano ha tenuto lo stesso verbo usato nella traduzione latina di San Girolamo, ma in italiano si confonde il significato, sia perché in latino il termine ha un campo semantico più vasto, sia per la struttura sintattica della frase. Il senso della frase correttamente dovrebbe essere: «Non permettere che entriamo nella tentazione» o «Fa’ che possiamo non entrare nella tentazione». La preghiera è dunque che il Signore ci tenga ben lungi dalla tentazione, perché noi siamo deboli, ma anche nel caso che dovessimo trovarci in una simile prova, che lui possa non abbandonarci.
Tutti i padri della chiesa hanno sempre visto il racconto delle tentazioni di Gesù, a questo proposito, come un episodio di grande consolazione. C’è da dire, innanzitutto, che Gesù non ha sopportato una tentazione “puntuale”, che cioè si è risolta in un momento in cui ha avuto una piccola fatica, e poi più. La tentazione di Gesù viene descritta come una prova prolungata, lancinante, progressiva e sempre più aspra nella sua intensità, e che va a toccare il punto cruciale della sua esistenza, in questo caso l’essere il figlio di Dio. È stata un’esperienza ben più intensa di quando noi andiamo completamente in crisi nella nostra vita, e sentiamo una spinta fortissima e spesso lacerante a scegliere una strada che profondamente sbagliata, ma che nondimeno ci attira in maniera irresistibile. Questo è il tipo di tentazione di Gesù. I padri della chiesa vi trovavano consolazione perché vedevano in questo racconto il fatto che Gesù ha vinto le tentazioni e ci ha dato non solo la forza e il coraggio di vincerle anche noi, ma la certezza che una volta superate, noi possiamo stare bene, essere felici, sentirci al nostro posto e in pace.
Siamo invitati, quindi, in questo itinerario quaresimale ad affilare le nostre armi di fronte alle tentazioni e alle prove: abbiamo la memoria di come Dio ci ha condotto nella nostra vita e abbiamo la sua parola, che è molto vicina a noi (cf. II lettura) per guidarci, incoraggiarci e consolarci.
Don Davide