Come il canto fermo di una sinfonia, o il ritornello nelle canzoni moderne, ogni tanto il tema della misericordia torna fuori a ricordarci che dobbiamo rimanere intonati su quella nota, se non vogliamo steccare. La liturgia di questa domenica ci richiama in maniera esplosiva a mettere al centro dei nostri vissuti la misericordia di questo Dio, che si fa conoscere principalmente come un Dio che perdona l’infedeltà del suo popolo, un re che gioisce quando un suddito si avvede del suo sbaglio, un Padre che perdona sempre e determinato a rigenerare la vita attraverso questo perdono.
Come siamo arrivati in secoli passati a rendere opaco, o quasi secondario, questo insegnamento è davvero un mistero. Tuttavia, dobbiamo davvero nuovamente radicarci nelle maestose immagini del vangelo di oggi: bisogna sapere e far sapere che il nostro Dio è disposto a fare di tutto pur di riavere ciascuno di noi! E poi ancora che è questo Padre che non si stanca di aspettare, che non dice – come faremmo noi – “questo è troppo”, ma che si compiace di aspettarci per poterci riabbracciare e, infine, di questo Dio che ci spinge continuamente ad accettare i nostri fratelli, a riconciliarci con loro e così, almeno in parte, a sperimentare la “festa della vita”.
Immagino i cavalieri durante un grande torneo medievale, pronti appena sotto la torre del castello, per poi giocare in campo aperto. Sono tutti bardati, hanno indossato le armature più belle e le armi più lucide. Suona la tromba ed essi si riconoscono in quel suono, incomincia l’avventura. Così, per noi, oggi, ciascuno al suo livello e secondo le proprie capacità, ci armiamo delle nostre armi splendenti e migliori. Dal palazzo del Re proviene il segnale: suona la tromba, è il suono inconfondibile della misericordia, è il nostro stile, il nostro vessillo. Andiamo nella nostra avventura con le insegne inconfondibili di una pecorella, di una monetina, di un figlio riabbracciato.
Don Davide