La Maddalena nel film di G. Davis
Intuisce lo scoramento di Gesù, vede le cose prima degli altri, le sente più profondamente, è l’unica a discernere l’originalità amorevole del Maestro e ad accogliere la verità delle sue parole. È la Maria Maddalena del film di Garth Davis, girato per la maggior parte in Italia (piccola nota d’orgoglio), ed è difficile pensare, nonostante le poche, pochissime testimonianze del Vangelo, che non fosse così.
Lo si deduce dalla conferma univoca in tutti i quattro vangeli di lei come prima testimone della rIsurrezione; e come potrebbe essere altrimenti – che una donna sia scelta, in una società patriarcale, quale prima testimone dell’unico vero Evento della Storia – se non per quel “sentire col cuore”, eccelsa qualità femminile; se non per quell’intuizione che ha la capacità di andare sempre al di là dell’immediato, del dato oggettivo, di ciò che accade e della parola detta per coglierne l’essenza più profonda e misteriosa? Chi altri potrebbe dire: «Ho visto il Signore!» (Gv 20,18) se non una donna così?
In questo senso il ritratto che ne fa il regista, pur non avendo la preoccupazione di una ricostruzione storico-critica e, anzi, facendo il lodevole sforzo di rileggere e rielaborare il dettato evangelico, è un’interpretazione ben più che coerente ed efficace di Maria Maddalena.
Dal punto di vista esegetico e della ricerca storica, infatti, l’identificazione di Maria Maddalena non è facile come sembra. I passi che parlano di lei in maniera inequivocabile sono esigui, ma la figura di Maria Maddalena ha come assimilato i racconti di altre donne presenti nel Vangelo, alcune volte in base al nome Maria, in altri casi per la forza della scena, tale da indurre molti commentatori a credere che la protagonista dovesse essere lei.
È il caso di una delle sequenze più belle del film, quella della rIsurrezione di Lazzaro. Nulla ci permette, in base ai testi evangelici, di identificare con certezza Maria di Betania, sorella di Lazzaro, con Maria Maddalena e quindi di affermare senza ombra di dubbio che Maria Maddalena fosse presente a quel miracolo. Invece, nel film, è proprio lo sguardo di Maria Maddalena a mostrare il prodigio allo spettatore.
Ne deriva una scena magistrale e sontuosa, dove il regista, fedele al suo compito e alla sua arte, si svincola dalla rigidità performativa del testo evangelico, che è di per sé talmente forte da schiacciare o rendere ridicolo qualunque tentativo di rappresentazione fedele.
Qui la sequenza è composta di occhi che si aprono vacui, sguardi che vengono attratti – come richiamati – e diventano pieni tornando ad incrociarsi, narici che si dilatano, fiato nei polmoni che viene restituito come con un bacio per permeare la vita dell’altro, vita – infatti – che viene condivisa per essere data e quindi anche morte che raggiunge chi ha dato la vita.
Mi sembra un’interpretazione suggestiva e penetrante dell’esito del racconto di Lazzaro che, nella trama evangelica, conclude con la decisione irrevocabile di uccidere Gesù (Gv 11,53).
Maria Maddalena, nel film, pare essere l’unica a rendersi conto che quel donare la vita costa il morire a Gesù. Ne nasce un dialogo struggente dove Maria pone la caparra per essere profetessa della risurrezione.
Da quel momento, il regista costruisce una sorta di corrispondenza tra Gesù e Maria: prima tra lo sguardo supplice di Gesù con il patibolo sulle spalle e lo sgomento di Maria tra la folla; poi indugiando sul respiro di Gesù crocifisso, mentre Maria desidera spegnersi; infine, seguendo il ritorno di Maria, riflessa nell’ombra sotto la croce, per permettere all’amico e Maestro di morire in pace e non triste.
Ho ascoltato migliaia di volte il racconto della Passione ricordare la presenza delle donne sotto la croce e non avevo mai inteso, per un uomo che muore, quale conforto sia la presenza della madre e di un’amica.
A questo punto non seguiamo Maria approssimarsi al sepolcro al mattino del terzo giorno, secondo la narrazione dei vangeli: la vediamo non allontanarsene mai, come in preda a un appuntamento. Il regista ci risparmia vesti luminescenti e scene strappalacrime, e proprio l’incontro con il Risorto, il tratto più identificante dell’esistenza di questa donna, è appena accennato perché già descritto compiutamente in tutto ciò che ne è la premessa.
L’ultimo regalo di questa lettura non convenzionale di Maria Maddalena ci viene offerto nel dialogo tra Maria e Pietro che chiude la storia. Con una sceneggiatura implacabile, che meriterebbe un’analisi approfondita, si evoca in pochi scambi la difficoltà della Chiesa di fare i conti con questo dato: il Risorto ha voluto mostrarsi per primo a Maria. L’unica assoluta novità che raggiunge la storia è consegnata per prima a una donna.[1]
La posizione del regista appare netta e severa, indicando nell’esclusione dal ruolo apostolico di Maria Maddalena una riduzione della qualità della Chiesa nascente nella sua funzione di comunità inedita e alternativa.
Nello scambio di battute con Pietro, dopo la risurrezione, si concentrano i nodi irrisolti dell’interpretazione della vicenda di Maria Maddalena nell’oggi: donna che riconosce il ruolo degli apostoli con lei e, perciò, non può e non vuole cedere di un passo al ruolo di apostola che le ha affidato il Risorto. Donna che indica come questa situazione non sarebbe un problema, se non lo creassero i maschi, in nome della presunta fedeltà al Maestro. Donna che, con la sua sola esistenza, mostra l’ovvietà di questo fatto nella testimonianza uniforme della Rivelazione scritta. Donna, infine, che proprio in virtù di tale permanenza nella Parola della Rivelazione, assumerà finalmente la posizione che le spetta fin del primo giorno della nuova storia del mondo (e della Chiesa).
E così la vediamo – mentre all’inizio del film era una donna orientata e determinata dagli uomini – camminare nella sequenza finale a testa alta, con la sua magnifica soggettività finalmente acquisita, come testimone – grazie anche all’interpretazione di Rooney Mara – eccelsa.
Davide Baraldi
[1] A ben guardare, anche l’altra novità che ha raggiunto la storia era stata consegnata a una donna. Donna Madre per partenogenesi e donna amica Testimone della vita risorta: ce ne sarebbe abbastanza per fare impallidire tutta la teologia al femminile (e tutta la teologia in toto) prodotta fin qui.
Testo scritto per Settimana News il 27 marzo 2018