È un’abitudine che non siamo ancora riusciti a sradicare, tra noi cristiani, quella di ritenerci in fondo superiori agli altri, o migliori, non tanto per le nostre qualità morali personali, ma per il fatto di credere, di seguire Gesù, di conoscere Dio e di cercare di seguire la strada che lui ci indica.
Ci sembra che questa cosa sia oggettiva, e che unita alla nostra personale umiltà faccia una buona sintesi: noi non siamo migliori di tutti gli altri, però per il fatto di credere, in realtà un po’ sì.
Nelle letture di questa domenica la parola di Dio ci aiuta a smascherare questo pensiero nocivo.
Nella prima lettura, la rivelazione di Dio a Mosè nel roveto ardente ci ricorda che tutte le volte che ci accostiamo al mistero di Dio, noi entriamo in un luogo santo, qualcosa che non possiamo né afferrare né carpire fino in fondo, e tanto meno padroneggiare, perciò bisogna toglierci i sandali, cioè sapere che non possiamo in alcun modo piegare Dio a nostro favore, ritenere che sia per forza dalla nostra parte.
Nella seconda lettura, il monito di San Paolo è esplicito: «Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (1Cor 10,12). Credo che non ci sia da aggiungere altro.
Nel vangelo, Gesù stesso richiama due fatti tragici per dirci che non dobbiamo risolvere l’enigma del male pensando semplicemente che “erano più cattivi di tutti gli altri e se lo sono meritati”. L’invito di Gesù è anzi all’opposto: ci ricorda che non dobbiamo mai pensare che altri siano più cattivi di noi, e sentire sempre questo profondo richiamo ed esigenza di conversione.
Mi pare che questo si traduca, per noi, in due attenzioni specifiche. La prima e più ovvia è quella di non “disgustarci” degli altri, come fa il fariseo con il pubblicano al tempio. Spesso noi ci sentiamo quasi in diritto di farlo, per difendere la verità, ma in realtà difendiamo noi stessi, ci dimentichiamo di distinguere il peccato dal peccatore, e spesso ci dimentichiamo anche che quel peccato caratterizza anche noi stessi.
La seconda è di non presumere di avere in tasca la verità, di sapere tutto di Dio e di ricavare una sorta di costituzione di leggi cristiane direttamente dal vangelo. Forse le vicende degli uomini e delle donne, come ci insegna la parabola del fico, ci spingono piuttosto a riconoscere la pazienza e la misericordia di Dio, che continua ad “adattarsi” alle nostre debolezze, finché non riuscirà a raccogliere qualche buon frutto.
Don Davide