Chiesa missionaria ed Ecologia Integrale

Il vangelo di oggi ci parla di un cieco che vuole insistentemente riavere la vista, nel giorno in cui si celebra la Giornata Missionaria Mondiale.

Nella nostra parrocchia, caratterizziamo questa ricorrenza, con un’attenzione alla questione ecologica, che lega le chiese nel mondo in un’attenzione che ormai è in prima linea, specialmente in zone dove questo problema è acutissimo, come l’immensa regione dell’Amazzonia, le regioni centrali dell’Africa dove le persone e il suolo sono sfruttate per l’accaparramento dei minerali più preziosi.

Papa Francesco nella Laudato si’, in realtà, non parla solo di “ecologia”, ma di “ecologia integrale”: un sistema complesso che articola la spiritualità più squisitamente evangelica della sequela di Gesù, con le questioni sociali, la consapevolezza scientifica e le conseguenze pratiche.

Infatti, a dispetto delle apparenze e fuori da una narrazione che ha pochissimo di vero, soprattutto le piccole comunità di cristiani che sono sparse nel mondo (dalle parrocchie, alle comunità di base fino alle tante famiglie religiose) sono in prima linea su una marea di fronti caldissimi, spesso a costo della loro stessa vita: potremmo citare l’opposizione alla tragedia del narcotraffico in America Latina, la lotta contro lo sfruttamento sessuale in moltissime parti del mondo, il lavoro per l’istruzione, la sanità o addirittura per il semplice approvvigionamento dell’acqua e del cibo nelle zone più povere. Se c’è qualcuno che ha un contatto con le 3 miliardi di persone che non hanno accesso alla dignità di base del vivere, sono queste piccole comunità di cristiani, spesso virtuosamente insieme a tante altre organizzazioni laiche, e tutte insieme costituiscono come una lotta di Davide contro Golia. Ricordiamoci che contro ogni pronostico ha vinto Davide.

Dobbiamo tutti, indipendentemente da ogni latitudine e longitudine, chiedere tenacemente di vedere questi problemi insieme all’aspetto bello della chiesa diffusa nel mondo. Possiamo pregare di riavere la vista, di vedere in senso “assoluto” la realtà delle cose, come nella celeberrima scena del film Matrix, quando davanti a Neo, il protagonista, cadono i veli e vede tutto, il codice della finzione e quale sia la vera realtà.

Questo desiderare di non essere più ciechi, di fronte alla consistenza complessa del mondo, al suo respiro e alle sue ferite, il fatto soprattutto di chiederlo a Gesù è un gesto altamente profetico, ci dice la prima lettura. Ci ricorda che possiamo raddrizzare le strade storte (come, ad esempio, il logoramento del nostro pianeta), trasformare i pianti in consolazione e riscoprire che Dio è il Padre davvero di tutti, di una popolazione immensa di uomini e donne che sono nostri fratelli e sorelle e di cui dobbiamo avere premura e cura.

Come iniziativa concreta, in questo giorno distribuiamo in parrocchia la Piccola guida a nuovi Stili di Vita per la Custodia del Creato, pubblicata dalla Diocesi di Bologna e proposta alle parrocchie e alle comunità, come strumento per cominciare a riflettere su questi temi. La guida sarà disponibile sul tavolo all’ingresso della chiesa, ma chiediamo 1 € di contributo, per permetterne la ristampa quando sarà esaurita.

Don Davide




Una catenina…pesante!

Prepariamo le Prime Comunioni, che celebreremo sabato 9 ottobre in due turni, e proviamo a riprendere oltre al catechismo, anche i gruppi giovanili.

Gesù parla di una macina da mulino appesa al collo a chi scandalizza i suoi piccoli che credono in lui… Una macina da mulino… non è esattamente come indossare un gioiello di Pandora o una catenina al collo!

Sento la grande responsabilità di non “disperdere” la fede dei credenti di qualunque età, e di avere una preoccupazione speciale per quella dei ragazzi e delle ragazze, che deve ancora maturare, trovare le motivazioni, fondarsi.

Dobbiamo provare ad essere una comunità che non arresta il loro percorso, ma lo favorisce, in percorsi belli, anche impegnativi, ma senza trabocchetti o inganni: questi sono gli scandali che Gesù menziona nel vangelo.

Gesù insegna, metaforicamente, a togliere quello che è di intralcio, ciò che porta a un’esperienza negativa, che è logoro. Tagliare e potare: nel Vangelo sono spesso immagini per fare spazio, presupposti a quella rinascita dall’alto che apprendiamo dal dialogo tra Gesù e Nicodemo.

Perciò, invito tutti noi a un impegno: focalizziamoci sulla fede essenziale, su quelle scelte che sono veramente evangeliche e che sono animate dallo Spirito del Signore, giudicate degne, decise insieme ed essenzializziamo i nostri comportamenti personali su ciò che rende testimonianza di Gesù.

Scopriremo tanti compagni e compagne di viaggio, che come noi testimoniano l’amore di Dio nel suo nome.

Don Davide




Come in famiglia (per gli Under 20)

Mi sono ripromesso di scrivere ogni domenica poche righe per voi. So che dovrei usare Instagram, o addirittura Tik Tok, ma non voglio essere ridicolo, e questo dello scrivere è lo strumento che so usare meglio.

In questi giorni è morta una persona cara a me e a tutta la parrocchia. In questi ultimi anni abbiamo salutato molte persone deliziose che nel corso del tempo hanno letteralmente edificato la nostra parrocchia, la nostra chiesa e la nostra comunità.

Sono un po’ triste, anche se credo nella resurrezione. Lo sono tutte le volte che saluto qualcuno a cui ho voluto bene, o un mio parrocchiano o una mia parrocchiana. È un’emozione più forte di più di quando sento parlare di morti lontane, perché le relazioni contano.

Lo condivido con voi perché in una famiglia si fa così: ci si dicono le cose e poi sta ai grandi sostenere i pesi e ai più giovani, sapere che ci sono, ma anche portare quella spensieratezza e serenità che fa bene a tutti.

È ripresa la scuola e spero che sia stato un buon inizio per ciascuno e ciascuna di voi. La prossima settimana vorrei scrivervi una cosa in proposito. Un caro saluto.

Don Davide




Il tempo con voi (per gli Under 20)

Care amici, care amiche,

in questa settimana ricorre il diciottesimo anniversario del giorno in cui sono diventato prete: era il 13/09/2003.

Ho voglia di condividere alcune convinzioni che ho maturato in questi anni stando molto con voi, anche se mai abbastanza.

1.È prezioso il tempo condiviso. Non si può chiedere o proporre quasi nulla, senza la disponibilità a trascorrere del tempo insieme.

2.Tempo è sinonimo di vita. Sostituisci “vita” a “tempo” nella frase precedente e il significato è ancora più vero.

3.Il vostro corpo è un tempio nel vero senso della parola. È una gran cosa che vi esprimiate con il corpo, e anche che lo custodiate da chiunque, in qualunque modo, voglia farvi del male.

4.Libertà, coscienza e spirito sono tre parole magiche: conviene stare vicino a chi vi aiuta a conoscerle meglio.

5.È importante avere un amico adulto o un’amica adulta. Sì, lo so… sembra una cosa da pazzi, fuori moda, da vergognarsi con i coetanei… ma chi ce l’ha diventa un uomo e una donna migliore.




Notti magiche

Si è appena conclusa una bella messa, all’aperto, nell’appennino bolognese. È un tardo pomeriggio di inizio settembre rischiarato dalla luce calda e brillante del crepuscolo, è fresco e non c’è più il frinire assordante delle cicale. L’unico suono che si sente, armonioso, è quello di trenta ragazzi che scherzano, ridono, si abbracciano. L’atmosfera è elettrizzata: si capisce che c’è qualcosa nell’aria. Quel tipo di esperienza è l’esatta descrizione del passaggio dello Spirito Santo, per chi ha avuto la grazia di sperimentarlo, almeno una volta, nella vita.

Le ragazze e i ragazzi sono di seconda e terza media, qualcuna inizia la prima superiore. Sono venuti al campo lasciando a casa il cellulare (avete capito bene: lasciando a casa il cellulare per otto giorni!), sottoponendosi al tampone prima di partire e tenendo nei giorni iniziali la mascherina in ogni momento, anche quando giocavano.

Uno degli educatori ha ancora la chitarra in mano e strimpella qualcosa mentre rientra in casa. Un paio di ragazze si uniscono a cantare. Una nota tira l’altra: “Facciamo questa!”, “Cantiamo quest’altra…”. L’educatore si appoggia a suonare sul pianerottolo a metà delle scale e le due ragazze gli siedono a fianco. In breve tempo, tutti i ragazzi si sistemano sui gradini e cantano insieme a squarciagola per quarantacinque minuti. Una scena d’altri tempi. Un momento di magia interminabile… finché le cambusiere non li attraggono con motivazioni più che convincenti.

Mentre questo prodigio stava prendendo forma, ero stato raggiunto dal programma del G20 delle Religioni, che si svolge proprio a Bologna in questi giorni (dal 12 al 14). Un evento importantissimo di dialogo tre le religioni e le istituzioni e con appuntamenti di alto livello: scorrendo il nome dei relatori, oltre a quelli di alcuni leader religiosi, si trovano quelli del Presidente Draghi e del Presidente Mattarella; pensavo: “Wow! Dev’essere interessantissimo andarci!”.

Poi sentivo i canti provenire dalla tromba delle scale e – come con la Madeleine di Proust, ma con l’emozione del suono, invece che del gusto – in un baleno ho rievocato tutti i momenti belli del campo, i sorrisi soprattutto e le condivisioni della loro vita, e ho pensato: “Io non farei cambio con questa esperienza per nulla al mondo! Non c’è G20 che tenga: io non vorrei essere, in questo momento, in nessun altro posto che qui.”.

Lunedì 13 festeggio diciotto anni dalla mia ordinazione presbiterale – divento maggiorenne – e d’ora in poi posso firmarmi le giustificazioni da solo per fare fughino dagli incontri diocesani noiosi! Scherzi a parte, ritengo che un simbolo efficace di questi anni di ministero sia proprio la possibilità di condividere con la mia parrocchia questo apice meraviglioso del campo estivo, con la stessa confidenza con cui lo farei con la mia famiglia a tavola.

Trovo un riscontro, abbastanza preciso nel racconto degli Atti degli Apostoli. Anche gli apostoli, infatti, hanno dovuto testimoniare la fede davanti ai capi del popolo, Paolo addirittura al cospetto del Re, del Governatore e dell’Imperatore stesso… ma le comunità più belle (e con esse le pagine migliori) sono nate da piccoli rapporti semplici e veri, da comunità molto curate nella genesi e nella crescita della fede.

Al termine dell’ultima serata del campo, io ho dovuto salutare, perché il giorno successivo avevo il Battesimo della mia nipotina. Sono uscito fuori insieme ai ragazzi, che andavano ad ammirare le stelle. Mentre percorrevo in auto il viottolo per uscire, una ragazza mi dice al finestrino (cito testualmente): “A proposito don, volevo dirti che è stato fantastico! Volevo che tutte le cose che facevamo, non finissero mai!”.

Quest’estate, tra gli Europei e le Olimpiadi, abbiamo cantato le notti magiche, ma – a dirla tutta – non c’è una notte più magica di così.

Lo tengo come il biglietto di auguri per la maggiore età del mio ministero.

Don Davide




Il potere delle parole (per gli Under 20)

Quanti sordi e muti ci sono nel nostro mondo! Non le persone che hanno difficoltà fisiologiche, che spesso comunicano addirittura meglio degli altri. A loro va tutto il rispetto dovuto.

Ci sono tanti muti di fronte alle ingiustizie, giovani che non difendono i loro amici e le loro amiche, responsabili che non parlano della crisi climatica o, peggio, ne distorcono la percezioni, presunte autorità le cui parole sono così insulse che anche il loro suono risulta vuoto oppure stonato.

E poi ci sono i sordi che non vogliono ascoltare, chi non fa lo sforzo di mettersi in relazione, i peggiori sono quelli che non si meravigliano più e che non vogliono imparare.

Ma voi no, ragazze e ragazzi! Cogliete oggi l’invito di Gesù che guarisce un sordomuto dicendo: “Apriti!”. Doveva avere risuonato con un tale carisma, quel comando, che i narratori lo riportano ancora nella lingua originale: “Effatá”, come quando una parola è talmente forte che ti rimane in mente per sempre.

Io vi dico: leggete libri, guardate film e serie tv, ascoltate la musica, non rinunciate mai a parlare dopo avere pensato con un po’ di saggezza cosa comunicare. E se la gente si stupirà, come accadeva con Gesù, meglio così! Scoprirà che siete recettivi e sarà costretta a riconoscere che avete qualcosa da dire.

Don Davide




Visioni di coraggio

Riprendono la pastorale più attiva, la scuola e l’università, il lavoro e gli impegni personali e la prima parola che risuona in questa domenica è: “Coraggio! Non temete!” (Isaia 35,4-7). I profeti hanno sempre la capacità di infondere speranza e di rigenerare la forza di guardare al futuro, e se pensiamo agli anni di pandemia da cui veniamo e alla crisi della pastorale, che sembra essersi ormai rassegnata a delle chiese semivuote e alla difficoltà di appassionare e coinvolgere i giovani, pare che ce ne sia proprio bisogno.

Accogliamo volentieri perciò lo sguardo dei profeti, che penetrano prospettive che è difficile persino intuire. Concretamente, nel contesto in cui risuona l’oracolo del profeta Isaia, il regno di Israele era sotto l’assedio delle truppe di Sennacherib, imperatore d’Assiria. Sembrava non ci fosse speranza alcuna. Invece il profeta – contro il parere di tutti e fronteggiando contrarietà e umiliazioni – non offre solo un oracolo di vittoria, ma la prospettiva di un mondo nuovo. L’esito della vicenda darà ragione al profeta.

Per vedere la realizzazione delle profezie, però, bisogna credere alla Parola di Dio. Da questa domenica, allora, cogliamo due suggerimenti a cui aderire con fede.

Per prima cosa dobbiamo riconoscere di essere sordi e muti proprio di fronte alla Parola di Dio. Sembra un’affermazione ripetuta banalmente, ma occorre prendere atto che non abbiamo una consuetudine significativa con la Parola di Dio, non l’ascoltiamo (siamo sordi) e ancora meno siamo capaci di testimoniarla in maniera affascinante (siamo muti): in verità, sembriamo sempre dei principianti nella vita spirituale, che invece è necessaria per orientare le nostre scelte di vita, per rafforzare la nostra personalità e le nostre relazioni, e per osservare un rigore morale che riguarda prima di tutto la nostra dignità.

In secondo luogo possiamo cercare di vivere una carità più limpida, non tanto nelle cose eclatanti, quanto negli atteggiamenti fraterni, nel vivere con più cordialità i rapporti in parrocchia e fuori, essere gentili, non discriminare, non dare giudizi affrettati, impegnarsi a volere bene, gioire di condividere la fede con la propria comunità.

C’è un grande desiderio, in fondo, in ciascuno dei credenti, di una fede viva e di una comunità così amorevole e propositiva, da rallegrare persino il deserto e la terra arida.

Don Davide




La salvezza di Dio comprende tutto

Due figure femminili accomunate da un particolare
La pagina del Vangelo di questa settimana (Marco 5, 21-43) non lascia spazio a dubbi sull’Amore che Dio nutre per noi, perché qui esso è espresso da suo figlio Gesù di Nazaret, attraverso due guarigioni di due donne molto diverse, ma accomunate da qualcosa di interessante.

Il numero 12 (1+2= 3)
Nel racconto, entrambe hanno a che fare col numero 12: la donna è malata da tempo e questo dato ci viene fornito chiaramente: “una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici”;
La figlia di Giairo, il quale implora l’aiuto di Gesù perché lei sta morendo ha un’età precisa la fanciulla (…) aveva infatti dodici anni 

Il dodici indica la pienezza dell’anno, composto di dodici mesi, ma anche e soprattutto perché rappresenta il numero dell’elezione, quello del popolo di Dio. “

Dodici i figli d’Israele-Giacobbe; Dodici quindi le tribù d’Israele; Dodici gli apostoli: esso è un numero simbolico che rappresenta la totalità della vita, la ricomposizione di qualcosa che in origine era perfetto e armonico e finalmente, dopo aver superato mille difficoltà, ritorna Uno, Sano, Integro.

Il sangue e la tenacia
Una volta mi capitò di avere un’emorragia dal naso, improvvisa e violenta: ero nel chiostro della mia università ospitata da un ex convento, dove noi studenti ci fermavamo a chiacchierare, a mangiare un panino. C’era gente, ma nessuno si avvicinò per aiutarmi, mentre tiravo fuori fazzoletti dalla borsa tentando di bloccare il sangue.
Lo capii: erano gli anni dei primi sieropositivi all’HIV e il sangue faceva paura così come calpestare una delle innumerevoli siringhe lasciate a terra nei parchi dai tossicodipendenti.
Me la cavai, ma pensai che se fossi svenuta avrei avuto tutti attorno, mentre la sola vista del sangue, aveva scoraggiato anche i più solerti “samaritani”.

La donna di questo brano ha attraversato difficoltà infinitamente più gravi delle mie: ha subito molte sofferenze e delusioni e la sua vita si è completamente identificata con una condizione di malattia e rifiuto sociale: ma per guarire, è disposta a rischiare.
Questa donna si sente impura, ma si getta nella folla per raggiungere un contatto diretto con Gesù: non basterà vederlo, chiamarlo, ma dovrà toccarlo. Quando noi usiamo l’espressione “toccare con mano”, vogliamo dire che abbiamo fatto un’esperienza reale di quella condizione: ebbene questa donna ci riesce: “e sentì nel suo corpo che era guarita dal male”. E Gesù infatti “essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?”. Vuole guardare negli occhi chi è riuscito a ricevere per sé, parte di quel principio che ridona vita laddove sembra regnare solo morte e sofferenza. Non c’è salvezza senza incontro reale: solo quando può dirle, direttamente guardandola negli occhi: “Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”, la donna può davvero riprendere in mano la sua vita.
Gesù le dà atto di non essersi arresa, di aver avuto fiducia pur vivendo una condizione in cui l’istinto ti porterebbe a metterti in un angolo e bloccarti. Anche solo camminare perdendo continuamente sangue, ti dà la netta sensazione di essere in difetto: ti senti svenire, ti senti sporca, senti che tutti potrebbero accorgersi dei tuoi vestiti macchiati. E allora osare di voler guarire è un atto di fede che Gesù apprezza talmente tanto da dire alla donna che è salva: e mi viene da pensare che la salvi non solo dalla malattia del corpo, ma anche da tutte quelle dell’anima, in modo che finalmente possa dedicarsi a costruire il Regno di Dio su questa terra a volte polverosa ed arida, all’interno di una comunità ritrovata.

La giovinezza e la fragilità
La seconda figura femminile è giovanissima e viene descritta come senza vita, esanime, esangue. Potrebbe rappresentare l’esplosione della vita (a dodici anni, spesso si diventa donne) che viene bloccata da un qualsiasi evento improvviso e grave: qualcosa sta rubando ad una ragazza che invece dovrebbe avere tutta la vita davanti, ogni possibile futuro.
Qui Gesù su comporta come un marziano: non si scompone, dice al padre «Non temere, soltanto abbi fede!» e quando arriva a casa di Giairo e gli dicono che la bambina è morta risponde: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». Ovviamente viene deriso, ma questa volta invece di agire nella folla, sceglie pochissime persone da portare con sé nella stanza della figlioletta di Giairo e la guarisce con una frase chiara e decisa: «Talità kum». E il linguaggio cambia: scopriamo che non è più una bambina, ma una fanciulla che, come dicevamo all’inizio, ha dodici anni. Anche qui c’è un passaggio avvenuto: la bambina potrebbe aver avuto paura di crescere, oppure potrebbe essersi arresa al primo pericolo che l’ha sorpresa e non ha lottato: si è abbandonata, molto presto all’altra sorella della vita, la morte. Gesù però fa sentire forte la sua voce, per risvegliare quelle parti di noi che hanno paura di crescere, di cambiare, di lanciarsi nell’imprevedibilità della vita e donare loro nuovo vigore. Quando accogliamo la voce di Dio, diventiamo più grandi, più completi proprio perché abbiamo superato uno snodo critico della nostra crescita.

È quando superiamo le prove (e la pandemia lo è sicuramente) che produciamo finalmente una trasformazione. Le prove difficili sono le uniche che portano ad una vera crescita. In molte culture i riti iniziatici si compiono all’età di 12 anni, dopo di che si entra in un’età adulta. Quindi quando le prove si presentano, non fuggiamo, non anestetizziamoci: superiamole per diventare grandi e completi. Ricordando che all’orizzonte, come leggiamo nell’Apocalisse c’è una Donna vestita di sole ha in capo una corona di dodici stelle, vale a dire un’umanità scelta da Dio per realizzare un mondo in cui pace ed armonia regnino per tutti e per sempre.

Anna Maria




Grandi e gentili

Nelle letture di oggi ammiriamo il Signore della Creazione, che mette un argine ai flutti del mare e che intima al vento di cessare e alla tempesta di calmarsi.

Queste prime due settimane di Estate Ragazzi – la prima solo con gli animatori, la seconda anche con i bambini – sono state esattamente come dice la liturgia di questa domenica. È stato proprio come vedere il Signore della Creazione che, attraverso i ragazzi, diceva all’epidemia: “Taci, calmati!” (Mc 4,39).

Non nel senso che siano passati tutti i pericoli o che non bisogna più tenere alta la guardia contro la possibilità di contagio… ma nel senso che è stato come vedere un forte argine alle forze negative dell’epidemia, mentre si riaffermava la vitalità dei bimbi e dei giovani animatori.

C’è stato, forse, nei mesi passati un momento in cui si pensava: “Maestro, non ti importa che siamo perduti?” (Mc 4,38), sia per la paura di ammalarsi, sia perché sembrava paralizzata la pastorale e appesantita ogni possibilità di incontro e di edificazione fiduciosa.

Invece, grazie alla tenacia iniziale di Alice e Francesca, che hanno scelto con caparbietà di radunare un gruppetto di coordinatori, unitamente alla disponibilità di tempo e all’esperienza di Michele e Suor Aurora e alla collaborazione di Laura e Silvia, sono stati attivati i responsabili degli animatori e tutti loro insieme hanno dato vita a un’esperienza che – nel vero senso della parola – è stata come una boccata di ossigeno dopo il soffocamento di questa epidemia.

Inoltre, è stata ancora più sorprendente di una normale Estate Ragazzi, perché le limitazioni imposte ci hanno permesso di ritrovare il vero senso pastorale di questa iniziativa.

Il numero non tanto elevato di bambini, il momento del pranzo riservato agli animatori e le iniziative per loro nel pomeriggio e, soprattutto, la prima settimana di preparazione fatta con calma e serietà dopo la scuola per preparare al meglio le attività dei piccoli, ci hanno fatto capire meglio che il nostro obiettivo non deve essere di avere il numero più grande possibile, a costo di non riuscire a fare una proposta di valore, e col rischio di esaurire le energie dei ragazzi. L’obiettivo pastorale dell’Estate Ragazzi, invece, deve essere offrire un’esperienza di comunità piena di cura ai bimbi e del tempo di qualità per coltivare la relazione con gli adolescenti animatori.

Da questa impostazione non torneremo più indietro e spero che tutta la parrocchia diventi consapevole che queste sono le scelte che devono guidare l’edificazione della nostra comunità, non dei presunti atti di servizio al limite dell’eroismo, che però non favoriscono la qualità della proposta formativa e la cura (anche in termini di tempo dedicato) che dobbiamo ai più giovani, non solo ai bambini.

Siamo soltanto al giro di boa. Ci aspetta un’altra settimana, in cui speriamo che tutto continui a procedere al meglio, ma anche se dovesse esserci qualche inconveniente, non negherebbe la bellezza di quanto fatto finora e la fiducia che grazie ai ragazzi abbiamo ritrovato e che possiamo continuare ad avere.

Queste righe, cari coordinatori e coordinatrici, responsabili, animatori e animatrici sono esplicitamente un omaggio per voi. Probabilmente, il Grande Gigante Gentile ha soffiato nelle vostre vite un sogno che nemmeno osavate sperare. Tutta la comunità vi ringrazia per il vostro impegno e perché, anche senza pensarci e forse senza saperlo, siete stati grandi e gentili e avete messo un argine all’epidemia, molto più potente di qualunque vaccino.

Don Davide




Cose grandi e umili

Nella liturgia di oggi c’è un tema di leadership cristiana.

Il profeta Ezechiele propone una parabola al termine di una riflessione che offre un confronto serrato fra Dio e tutti gli altri re e imperatori che hanno preteso di rivaleggiare con il suo potere.

Essi, dice il profeta, sono come alti cedri, maestosi e imponenti, ma il Signore eleva tra questi cedri un ramoscello, una cosa piccola, ancora nascente, la pone sulla cima del monte… perché “sappiano tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore: che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso…” (Ez 17,24).

Gesù ci propone, innanzitutto, la parabola del seme che cresce da solo, per affermare che il Signore mette in gioco una forza inarrestabile che permette al seme di crescere, anche indipendentemente dall’attività del contadino. In seguito, Gesù introduce una differenza significativa con il riferimento corrispettivo del profeta Ezechiele: il granello di senape non è come il ramoscello del cedro. Il granello di senape cresce e diventa il più grande di tutte le piante dell’orto e gli uccellini possono fare il nido alla sua ombra, nel senso che senz’altro possono trovare un piccolo ristoro, ma certamente non svolazzare e rifugiarsi sotto di esso come sotto il cedro.

Siamo dunque invitati non tanto alle piccole cose, ma a quelle grandi vissute con un atteggiamento umile e prudente: non tante cose, ma una che possa crescere; non la pretesa di essere uno spazio immenso o la presunzione di coinvolgere tutti, ma la disponibilità di fare ombra a chi vuole.

Ci si potrebbe chiedere dove vada a finire lo slancio missionario, la conversione pastorale che papa Francesco ci chiede. Mi sembra che il punto sia la decisione ferma di vivere questo impegno in maniera non autoreferenziale, che vuole dire non nella cornice della nostra visione e del nostro punto di vista, ma col tentativo di cogliere la realtà, le sfumature e le connessioni.

In questo senso, la grandezza della pianta di senape non è di essere immensa, ma di esserci per le altre piante dell’orto: di portare ombra in modo che tutto possa svilupparsi in maniera salutare e giusta, e così di favorire e collaborare con l’energia che Dio mette in ogni cosa che deve crescere.

Don Davide