Il cieco e noi

Quando nasciamo, abbiamo gli occhi chiusi, accecati dalla luce di un mondo nuovo. Qualche tempo dopo cominciamo a guardare, con quell’espressione buffa tipica dei neonati che spalancano gli occhi e li richiudono, e poi iniziano a osservare chissà cosa e chissà dove, fino a che rivolgiamo alla mamma un sorriso, rapiti da quell’amore primordiale.

La cecità nel vangelo di oggi, non è né una condizione fisica, né una condizione morale, ma uno spazio vuoto, dove si possano rivelare le meraviglie di Dio. È la “terra informe e deserta, e l’abisso tenebroso” del mondo prima della Creazione (Gn 1,2). È l’essere umano prima che venisse posto in lui “un alito di vita” (cf. Gn 2,7). Siamo noi, prima della Creazione nuova del nostro Battesimo.

È come se Gesù dicesse: “Sia la luce!” (Gn 1,3), ma anche: “Ricevi il Battesimo!”, perché “lo Spirito di Dio aleggia sulle acque” (cf. Gn 1,3).

Il cieco guarito testimonia un fatto. “Una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo” (Gv 9,25).

Come con la donna samaritana, quando Gesù le dice: “Sono io che ti parlo” (Gv 4,26), anche questo incontro progressivamente raggiunge un apice di consapevolezza: “Lo hai visto: è colui che parla con te!” (Gv 9,37).

Allo stesso modo di una mamma che parla alla sua bambina e l’accarezza, finché non apre gli occhi e la riconosce, così Dio, attraverso Gesù, parla alla nostra vita e ci accarezza, finché non apriamo gli occhi e lo riconosciamo.

Una prima volta è accaduto, quando i nostri genitori hanno scelto per noi il Battesimo (oppure lo abbiamo chiesto noi stessi).

Allora siamo stati immersi in un bagno di amore gratuito, che nulla chiede, ma testimonia solo l’affetto preveniente e incondizionato di Dio e di chi ci ama.

Ogni volta che ritorniamo a quella sorgente, come la piscina di Siloe, i nostri occhi si aprono e noi veniamo ricreati.

Ci sentiamo nuovi.

Possiamo testimoniare le grandi opere di Dio che si sono manifestate.

Se ci abituiamo a riconoscerle, anche in mezzo alle tempeste più nere, ne possiamo scorgere tante.

Ciechi alla nascita, vediamo nella vita.

Don Davide




Fare i conti con il peccato

La prima domenica di Quaresima, con grande schiettezza, ci invita a fare i conti con il peccato, manifestando la serietà di questo scontro e la rovina che porta alla vita degli esseri umani, quando sottovalutiamo questa battaglia.

Uno dei punti critici delle nostre società e del nostro tempo è proprio sminuire il valore morale delle nostre azioni.

Invece, è molto interessante e istruttivo cogliere dapprima la dinamica delle tentazioni e poi la posta in gioco che questo episodio della vita di Gesù mette sul piatto.

L’antagonista di Gesù si manifesta in primo luogo come “tentatore”, non ancora con le sembianze reali del male. Gesù ha digiunato tanto, ha fame, che male c’è se trasformasse una pietra in un pane? Non ruberebbe cibo a nessuno e non fa certo problema una pietra in meno nel sassoso deserto di Giuda!

Gesù svela quello che è nascosto, l’insidia più profonda, ossia quella di sapere relativizzare anche gli istinti primari.

Elie Wiesel, nel suo celebre e terribile romanzo La notte, racconta di una situazione nel campo di concentramento di Auschwitz, in cui un uomo stava morendo di fame, ma era finita la razione di cibo. L’autore descrive con memoria atroce e struggente la sua lotta interiore per cedere la sua porzione di cibo, perché anche lui stava agonizzando dalla fame, e la consapevolezza che in quella difficoltà era in gioco la sua stessa umanità. Alla fine, se ci pensiamo bene, sono molte le situazioni, magari anche meno drammatiche e gravi, dove possiamo e dobbiamo chiederci come fare a restare umani. Basti pensare alla rabbia che ci prende, quando subiamo un torto e subito ci pare che questo legittimi qualunque reazione.

A questo punto, il tentatore che si era presentato con la parvenza di una qualche ragionevolezza, si palesa come il diavolo.

È il nemico, ed è reale, e allo stesso tempo cerca di mascherarsi.

La proposta che fa a Gesù è quella di credere che l’uomo non abbia limiti, che possa fare quello che vuole, che non dovrà mai sperimentare il male, il dolore, la sofferenza e, in definitiva, che sia immortale. Per la seconda volta dice: “Sei il Figlio di Dio, lo puoi fare”, ma Gesù smaschera l’inganno. Persino il Figlio di Dio affronterà i limiti della vita umana, le preoccupazioni, la sofferenza e la morte. Diabolico è pensare che queste cose non entreranno mai nella vita degli uomini e che, quando accadono, siano una negazione di Dio. Invece, sono l’opera dell’avversario.

Infine, lui – il diavolo – gioca il suo asso e sottopone Gesù al miraggio del potere.

Nonostante le altre due siano fortissime, il potere viene descritto come l’apice di tutte le tentazioni, e come quella che cancella l’essere figli di Dio.

Nelle prime due, infatti, il diavolo dice: “Se tu sei il Figlio di Dio”, l’ultima è proprio tutto il contrario. Avere il potere assoluto ed esercitarlo come tale, significa rinunciare ad essere il Figlio di Dio, che non è venuto per essere servito, ma per servire.

Ci fa capire quanto grande sia questa seduzione, se ci viene raccontata come una prova a cui è stato sottoposto persino Gesù, il quale ci insegna che il miglior argine contro questa rovina dell’uomo è non prestare la propria vita al dio degli idoli, ma al Signore che libera.

Un incredibile densità in un piccolo testo, per avvedersi che la Quaresima è un tempo bellissimo e di autentica grazia evangelica… ma molto serio.

Don Davide




L’allenamento abbia inizio

In questa domenica che precede l’inizio della Quaresima, ascoltiamo il mandato di Dio a Mosé:

“Parla a tutta la comunità, dicendo loro: Siate santi, come io sono santo.” (Lv 19,17).

La santità viene declinata da Gesù in un amore che va oltre i confini della logica, della giustizia compensativa e persino del buon senso, e per questo diventa un atto di suprema libertà.

Essere liberi di amare, questa è la santità.

L’itinerario quaresimale, che inizia il Mercoledì delle Ceneri, è un allenamento intensivo per raggiungere questo obiettivo. I propositi che vorremo fare, i fioretti e una maggiore attenzione alla preghiera saranno autentici, se avranno come scopo di aiutarci a raggiungere questa libertà interiore e di orientarla al bene.

Caratteristica del Mercoledì delle Ceneri è una grande convocazione.

Il profeta Gioele, nel testo molto suggestivo che viene proclamato nella liturgia, invita tutti a un’adunanza solenne, proprio tutti: ragazzi, giovani, adulti anziani e persino lattanti, e deve essere proprio così.

I bambini del catechismo e anche i gruppi dell’Azione Cattolica dei ragazzi, infatti, hanno proprio questo motto: “Ragazzi, che squadra!”, che richiama il senso di un’impresa comunitaria.

Qualcuno si stupisce quando arriva una giovane mamma con in braccio un bimbo o una bimba piccolissima, che il ministro imponga anche su di loro la cenere, perché sembra che faccia paura e che stoni con una giovane vita che ha tutta l’esistenza davanti; invece, è l’indice che tutti dobbiamo essere rinnovati dall’amore del Signore che tocchiamo concretamente, in questi giorni.

Per questo, il Mercoledì delle Ceneri, facciamo ben tre celebrazioni, la messa alle 8 e alle 19 e la celebrazione per i bimbi alle 17.30, perché tutti abbiano la possibilità di partecipare, nessuno escluso.

Porte aperte, dunque, alla gara dell’amore. L’allenamento abbia inizio.

Don Davide




Cadere nell’amore

C’è una sapienza misteriosa e divina, che viene rivelata a coloro che amano Dio (cf. 1Cor 2).

Non dobbiamo pensare a qualcosa che sia in competizione con gli altri. Magari ci vengono in mente i nostri amici o addirittura le persone più care che non hanno fede o non credono in Dio; non vogliamo affermare che costoro manchino di saggezza o che la loro vita non sia buona o, peggio, non possa essere felice.

Quando l’apostolo Paolo enuncia questa sapienza ai greci ne parla per esperienza personale, è entrato in un rapporto d’amore che – come tale – è sempre singolare, unico e irripetibile.

Quando nel libro del Deuteronomio si ricorda che Dio ha mostrato al suo popolo la vita e la morte, perché lui possa scegliere e decidere liberamente per la vita, è perché tutta la tradizione di Israele si fonda sul fatto che il popolo ha toccato con mano la potenza creatrice e benevola della relazione originale con quel Dio.

È come la vita di una persona quando è realizzata, felice, con dei buoni amici, e a un certo punto si innamora. Quel rapporto, vissuto personalmente, dà un colore, una gioia frizzante e una chiarezza assolutamente imparagonabile a quella di prima.

In questo senso la Sapienza è divina, misteriosa e nascosta: perché la si scova solo, semplicemente, se ci si innamora di Dio.

Come ci si innamora di Dio?

È impossibile avere una ricetta valida per tutti, ma sicuramente ci sono due elementi: corteggiarlo e lasciarsi corteggiare. Nel tempo… questo può condurre a “cadere nell’amore”, come nella perfetta espressione inglese che dice: “He/She is fallen in love”.

Dai e dai, è caduto nell’amore: si è innamorato.

“Amor che a nullo amato amar perdona” ha scritto più aulicamente il Sommo Poeta.

Precisamente questa è la storia che celebriamo questa domenica nella nostra comunità.

Anzi, dovremmo dire “le storie” che celebriamo.

Innanzitutto una vocazione diaconale

che sgorga prima da una vocazione matrimoniale, poi da una vocazione al servizio nell’insieme. Dai e dai, Francesco Paolo e sua moglie Anna Maria ci sono caduti di nuovo: corteggiati da e corteggiando un Dio che ci sia fare, ancora una volta hanno sentito che questi molteplici rapporti, che si intrecciano e si bilanciano come vasi comunicanti, li hanno condotti a rispondere ancora a una chiamata specifica all’amore e al servizio. Abbiamo imparato, negli incontri di formazione, che questa cosa non si spiega in maniera solo oggettiva, ma dentro una relazione personalissima con il Signore, come quando una coppia preferisce fare lunghi viaggi all’estero, e un’altra va sempre nella stessa piccola baita di montagna.

E poi celebriamo tutte le storie legate a San Valentino.

Vicende di fede e di guarigione nel corpo e nell’anima, e racconti di amore ciascuno nella sua forma: chi celebra un cammino fatto insieme e qualche traguardo, chi lenisce un dolore e una delusione, chi chiede il dono di incontrare non l’anima gemella, ma – come dice la Genesi – una persona che gli/le corrisponda.

Oppure, semplicemente, chi vive una sua personalissima vocazione con Gesù, una storia d’amore che nessuno deve permettersi di giudicare e che lo/la conduce a forme di vita varie, originali, profetiche e di consacrazione al servizio e all’amore secondo la fantasia di Dio, spesso assai misteriose e nascoste – come la Sapienza divina – e altrettanto spesso piene di luce e di sapore – come ci ricordava il Vangelo di domenica scorsa.

Se c’è una cosa veramente “giusta” da fare (cf. Mt 5) è ricercare questo amore personale con Dio e rispettare quello dei nostri fratelli e sorelle nella fede.

“Se hai fiducia in lui, anche tu vivrai.” (Sir 15,15).

Don Davide




Chef della pastorale

“Com’è quella persona?”

“Non sa di niente.”

Possiamo comprendere le parole di Gesù nel vangelo, aggiornandole con questa espressione comune.

Quando viene pronunciato, è un giudizio severissimo e brutto: “Non sa di niente.”

Non ha nessun sapore, non è interessante per nulla.

Abbiamo tutti in mente l’atroce severità tra il serio e lo scherzoso di un Barbieri, di un Canavacciuolo o di un Cracco nella celebre trasmissione Masterchef.

Gesù usa la forza di un paradosso: il sale è un cristallo, non perde il sapore.

L’immagine, probabilmente, è legata alla polvere di sale che rimaneva sul selciato quando la gente andava a prendere il sale da grossi blocchi che venivano lasciati nelle piazze. Quello che si sbriciolava rimaneva inutilizzato e veniva calpestato.

Mentre i concorrenti di Masterchef ce la mettono tutta per non fare brutta figura e per non ricevere una tremenda ramanzina dagli chef, mi sembra che non ci sia altrettanto la preoccupazione di essere persone che hanno una ricchezza interiore, non certo costruendosela in modo artificiale – come degli pseudo intellettuali opinionisti tuttologi – e non certo per ostentarla, ma per dare tutte le dimensioni necessarie alla propria vita: la profondità e la leggerezza, le emozioni, i sentimenti, la saldezza psicologica, l’intelligenza, la conoscenza almeno indispensabile per orientarsi nel mondo, una cura ragionevole del proprio corpo, per non trascurare il dono di questo tempio che ci è stato dato.

Quando i grandi protagonisti delle opere letterarie, teatrali o cinematografiche sono riusciti, si dice che sono personaggi a tutto tondo, che hanno uno spessore.

Gesù ci offre un invito per essere persone così, che hanno sapore,

che hanno acquisito una sapienza del vivere e che per questo possono portare un po’ di luce al mondo laddove si trovano e – proprio facendo così, proprio agendo sul e in questo nostro mondo – essere efficaci testimoni del Padre.

Ci addentriamo in un periodo particolarmente importante per la nostra parrocchia e avremo almeno cinque occasioni, cinque contrassegni di stile, per provare a mettere in pratica l’invito di Gesù.

In ordine, la “Giornata per la Vita” della Chiesa italiana, il rapporto con l’arte, attraverso la mostra presente in S. Valentino (fino al 5 febbraio), la “Giornata mondiale del Malato” della Chiesa universale, l’ordinazione di Francesco Paolo Monaco, che ci ha permesso di riflettere a lungo sul servizio come parola chiave di una comunità cristiana, infine, le celebrazioni di S. Valentino, per dare spessore e bellezza anche a una delle esperienza più belle – e per questo più svilite – dell’esistenza: l’amore.

In tutte queste cose, chiediamo la grazia di Gesù e dei santi nostri patroni, affinché chi si accosterà alla nostra comunità cristiana possa trovare del cibo buono, gustoso, saporito e preparato con cura.

Don Davide




Immaginare le Beatitudini

Che cosa ci ispirano le Beatitudini, oggi?

Spesso pensiamo al paradosso, stabilito da Gesù, tra una condizione di difficoltà, o addirittura di opposizione, e la letizia spirituale che si cela dietro e nonostante quella esperienza.

Ma le Beatitudini risplendono anche per la loro varietà.

In questo popolo confidente – di cui parla la prima lettura – Gesù descrive otto situazioni, il numero dell’infinito, più una che sa di resurrezione. Verso l’infinito, e oltre!

Nella Chiesa che vuole stare al seguito del Maestro, nella Chiesa che ambisce al Regno dei Cieli, non c’è un solo modo di essere beati, non c’è un solo modo di annunciare il Vangelo e non c’è una sola vocazione.

Il grande prodigio sarebbe quello di custodire e valorizzare questa varietà di carismi, con la sapienza di apprezzare ciascuno e di accompagnarlo, perché il suo dono e la sua attenzione siano sempre più umili e orientati al servizio della comunità.

Così nascerebbe la parrocchia di S. Maria e di S. Valentino delle Beatitudini.

Propongo, quindi, a ciascuno che legge di provare a fare questo esercizio: accendere una candela in chiesa per dire un’Ave Maria e un Angelo Custode per il servizio che fanno gli altri della propria comunità, pensando che ci sono tanti modi di arricchire la chiesa, e anche tanti stili diversi di svolgere lo stesso compito o di avere cura del medesimo ambito.

Si tratta – lo ribadisco – non di uniformare, ma di valorizzare e di custodire, di creare una rete di solidarietà e di stima che possa permettere di fare crescere e riconoscere i frutti per il bene di tutti, dentro una realtà più bella e variopinta dei colori dell’arcobaleno.

Otto più uno: tutte le sfumature possibili e la fantasia di immaginare anche di più.

Don Davide




Sulle rive

Gli uni gettano le reti, gli altri le stanno riassettando.

I primi stanno pescando, gli altri hanno finito.

Gesù parla, ti chiama.

Che tu sia nel pieno della tua attività, oppure abbia staccato e ti prepari a riposare, lui vuole avere a che fare con te. Se sei giovane, ha bisogno di te. Se sei adulto, ha bisogno di te. Se sei anziano, ha bisogno di te.

Non importa quello che stai facendo, se sei occupato: ci sono amici da prendere, uomini e donne che devono sentire l’amore, persone che hanno bisogno di molte salvezze.

Non c’è una parte migliore di questa: ascoltare la parola del Maestro, che ti chiama.

Senza, le cose diventano affanni.

Solo che tu ascolti la sua parola come una chiamata per te, ed è un profumo che viene diffuso e conquista tutti.

Per due volte la liturgia di oggi ci propone l’immagine di questo cambiamento radicale: tenebra e luce. L’una non può esistere con l’altra. Quando si accende la luce della presenza di Gesù nella nostra vita, al risuonare della sua parola, come la voce dell’amato che chiama la sua amata nel Cantico dei Cantici, allora le tenebre si diradano. È il Sole da oriente, una lampada nella notte.

Per questo Paolo se la prende tanto con le divisioni nella comunità cristiana. Perché non siamo né di Paolo, né di Apollo, né di Pietro… ma siamo conquistati da Gesù.

Non desideriamo essere sopra gli altri, o essere di qualcuno, ma vivere il Vangelo, realizzare quella parola di bene che ci ha conquistato, per la prima volta, sulle rive del Lago di Galilea.

E servire, come regnare.

Servire gli amati, servire i poveri, avvicinare gli esclusi, consolare gli afflitti, custodire la creazione, guarire le ferite del mondo.

Questo ci affascina.

Meglio se fatto con qualche fratello e sorella, e altri che il Signore vorrà chiamare: una comunità di cui avere cura, e che voglio tenere il più possibile unita e affettuosa.

Don Davide




Immersi nello spirito

“Se la tazzina è piena – dice il famoso proverbio cinese – non puoi versare altro tè, devi prima svuotare la tazzina.”

Giovanni Battista, nel suo rigore morale, non appena vede comparire Gesù al suo battesimo, intuisce che tutta l’umanità, e in essa ciascun uomo e ciascuna donna, ha sempre davanti due opzioni, ossia di essere immersi nel peccato o di essere immersi nello Spirito Santo.

È un’interpretazione drastica e terribile, persino esagerata,

ma anche solo a pensare alle brutture e alle atrocità che conosciamo e che ancora si consumano nel mondo, ci rendiamo ben conto di come il peccato sia una cappa che soffoca gli esseri umani e non li fa respirare come Dio vorrebbe.

Per questo Giovanni indica Gesù come colui che è in grado di sollevare questa cappa, di toglierla, e di immergerci nello Spirito di Dio, che ispirandoci l’amore, ci fa vivere.

Così il nostro cammino spirituale è tutto uno svuotamento e un riempimento, operato dalla grazia.

Svuotamento di ciò che non è bene e non ci fa bene. Riempimento dello Spirito di amore e di servizio.

Valgono le parole del poeta Angelo Silesio:

“Sta l’uccello nell’aria, la pietra sul suolo, vive nell’acqua il pesce, il mio spirito nelle mani di Dio”.

Don Davide




Un tempo stra-ordinario

Con il battesimo di Gesù, riprende il Tempo Ordinario: incominciamo a seguire il Maestro come i suoi discepoli, dagli inizi della sua predicazione.

Tuttavia, per la nostra comunità, quest’anno, non c’è nulla di “ordinario” nei due mesi che precedono la Quaresima.

Ci prepariamo, infatti, all’ordinazione diaconale di uno dei ministri della nostra parrocchia: Francesco Paolo Monaco. Non siamo abituati alla presenza di un diacono permanente all’interno della comunità. C’era Luigi Morara nella Parrocchia di S. Valentino, ma dalla sua morte il 30 giugno 2010, le nostre due parrocchie unite non hanno più avuto un diacono.

Il diacono è un cristiano che ha risposto ha una vocazione specifica, ha fatto un cammino di formazione nella sua chiesa diocesana e riceve il Sacramento dell’Ordine nel suo primo grado, quello del Diaconato, appunto. Il secondo grado è quello del presbiterato. Il terzo è quello dell’Episcopato.

Diaconato “permanente” significa che il sacramento viene conferito a una persona sposata, e che quindi non è inteso come una tappa verso il presbiterato, ma si configura come un ministero specifico all’interno della comunità: in primo luogo, un ministero di comunione.

Il diacono, cioè, deve essere più di ogni altro tessitore di legami e mediatore di comunione e di armonia.

Per fare questo, il diacono usa soprattutto il servizio della predicazione (proclama il Vangelo nella messa e in qualche occasione può e deve fare anche l’omelia) e il servizio della carità, con uno sguardo sempre teso all’amore fraterno, all’incontro delle generazioni e ad avvicinare e accogliere chi è lontano o inesperto della vita della Chiesa.

È chiaro, quindi, che la presenza di un diacono è un grande dono per la parrocchia e per la diocesi, a cui i diaconi fanno sempre riferimento, essendo anch’essi, come i preti, al servizio diretto della Chiesa locale e del vescovo.

Perciò è opportuno che ci prepariamo bene e con partecipazione a questo momento.

Nella lettera del vescovo in cui è stato confermato il discernimento favorevole all’ordinazione, ci è stato chiesto esplicitamente di compiere un cammino di preparazione insieme, anche per accompagnare Francesco Paolo e la sua famiglia.

L’impegno pastorale di tutti, quindi, fino al 12 febbraio si concentra sugli appuntamenti che prevedono un incontro con don Angelo Baldassarri, Vicario Episcopale e responsabile della formazione dei diaconi, e un incontro in stile di testimonianza con un diacono permanente e la sua famiglia, per dialogare su come si configura la presenza di un diacono nella comunità.

Ci sarà poi un momento di preghiera, a ridosso dell’ordinazione, per invocare lo Spirito e affidare all’intercessione di Maria il ministero di Francesco Paolo.

Come detto, ci concentriamo su queste occasioni di formazione e di preghiera, senza aggiungere altre iniziative alle attività ordinarie.

Infine, siamo davvero tutti invitati all’Ordinazione Diaconale in Cattedrale, il 12 febbraio, alle ore 17.30, dando la precedenza, chi può, alla partecipazione a quella messa invece di quelle che si celebrano in parrocchia in quella domenica.

Don Davide




Vicino o pieno?

Lucia deve presentare Fabio ai genitori. Si sono conosciuti in vacanza con gli amici, d’estate. Lucia sembra serena, da allora, e la sua famiglia è aperta e gioviale, ma anche protettiva, non troppo incline alle smancerie.

La tavola è preparata, apparecchiata bene. C’è anche, pronta da stappare, una buona bottiglia di vino; in fondo Lucia ha 19 anni e il suo ragazzo 21. Il papà di Lucia pensa che sia giusto offrire un bel gesto di ospitalità.

Nell’attesa, Lucia è serena: ha aiutato i suoi genitori, si è truccata; conosce Fabio e si trova perfettamente a suo agio. Non pensa minimamente a cosa dovrà dire, a come dovrà comportarsi. Semplicemente, non vede l’ora che arrivi.

In cucina, invece, mentre armeggiano e si aiutano con le ultime cose, i suoi genitori bisbigliano. Sono curiosi di sapere qualcosa di questo ragazzo di cui non conoscono nulla: non sanno da dove sia saltato fuori, che gruppi frequenti, che tipo sia, perché fosse in quella vacanza con gli amici della figlia.

Quando squilla il campanello, l’atmosfera si ravviva e si scioglie. Fabio è vestito bene, ma sportivo. Non si è preoccupato di eccedere per fare bella figura. Si presenta ai genitori, offre una piantina alla mamma di Lucia e saluta la sua ragazza con un bacio disinvolto.

Durante la cena apprezza la cucina, gusta il vino e parla di tutto. Di quello che non sa, chiede, senza fingere. Lucia fa squadra con lui, alimenta il dialogo e rallegra la serata. I suoi genitori sono sorpresi e distesi e, decisamente, non sono abituati a vederla così aperta a chiacchierona anche con loro. Prima del dolce, Fabio fa una carezza a Lucia, e lei si appoggia lievemente alla sua mano. È stato un istante, ma sufficiente per essere notato.

In questa immagine possiamo cogliere la differenza tra quelli che dicono “il tempo è vicino” (Lc 21,8), da cui Gesù ci mette in guardia, e lo spirito autentico del Vangelo, che dice: “il tempo è pieno” (Mc 1,15) oppure “oggi!” (Lc 4,21).

È una differenza sottile, ma fondamentale.

Nella metafora, la differenza è fra la sicurezza di Lucia, che conosce il suo innamorato, e i genitori che ancora non l’hanno incontrato. Lucia non ha bisogno di preparare le cose da dire, perché è pronta a viverle. I genitori di Lucia sono in apprensione, ma la presenza si rivela una sorpresa rispetto alle aspettative.

Allo stesso modo, la presenza del Signore è piena di buona potenza per il tempo che viviamo adesso.

Certo, anche noi usiamo espressioni relative al Signore che “viene”, soprattutto in questa parte conclusiva dell’anno liturgico e in Avvento, ma è un’attesa conosciuta, che “non vede l’ora” come quella di Lucia, non minacciosa.

“Il tempo è vicino” invece, è il linguaggio di chi ama la minaccia e abdica alla speranza. Sono le parole di chi si spaccia per profeta e messia, come se solo lui o lei avessero capito le cose, che vedono nella guerra, nelle carestie e nelle pestilenze il segno della fine del mondo e si compiacciono di terrorizzare attraverso questo.

Ma questo non è cristiano. Scusate, c’è bisogno di elencare gli orrori del passato, per dire che anche allora sarebbero stati sufficienti per parlare della fine del mondo? Anche se pare che invitino a cambiare, Gesù dice: “Non andate dietro a loro!” (Lc 21,8). Perché, appunto, affermano che le cose sono vicine e spaventose, come quelli che si ritrovano a parlare del clima e dicono: “Se nei prossimi anni non faremo…” E oggi?!

Invece, la presenza di Gesù marca il tempo in maniera diversa.

Il tempo non è più vicino – anche vicinissimo – ma fra un po’… Il tempo – paradossalmente, rispetto alle tentazioni desolanti di ogni tempo – si è arricchito. È opportuno adesso. Abbiamo già tutte le risorse che ci servono: per fare la pace, per cessare le guerre, per dare da mangiare a tutti, per accogliere i forestieri.

Don Davide