Per tutti sarà Natale

In un’era di attese deluse
e risposte mancate,
mentre millenarie certezze
crollano annichilite
e ideologie di carta
balbettano il nulla,
nel paradosso di esistenziali antitesi
(frenesia di onnipotenza –
proclamata casualità del tutto)
che divorano l’uomo,
nel nostro cuore
che anela all’infinito
grida ancora l’attesa:
“Quando verrai, Signore? Perché indugi?
Grovigli d’ingiustizie
incatenano l’uomo,
soprusi intollerabili ne infrangono
l’innata dignità,
e noi, Tuoi figli,
nell’oscuro crepuscolo del mondo,
non abbiamo più mani
per raccogliere strazi senza voce!”
Ma il tempo del Signore
non contempla ritardi o fallimenti
né facili vendette:
nell’alveo dei millenni
scorre il fiume infinito
di una pietà sapiente
che attende,
con pazienza amorosa,
che ogni tralcio
si riannodi alla vite,
che ogni agnello perduto
sia riabbracciato.
Egli verrà, a illuminar le genti,
incendiando i colori dell’aurora,
a ricomporre stinti frammenti
di storia senza volto
in un mosaico denso
di trama e verità.
Respirando
nel diaframma del mondo,
cooperatori di pietà e giustizia,
ogni sole che sorge
accenda il nostro cuore,
ogni umano dolore
ci appartenga.
Solo così per tutti
sarà Natale.

Carla Roli




L’editto del Re

Perché Gesù, il Signore, è Re dell’Universo?

Perché passa in rassegna il suo regno. E cosa vi trova?

Vi trova guerre, attentati, carestie, inondazioni, pestilenze, violenza. Roba da fare venire i brividi. Sono “giorni nuvolosi e di caligine” (I lettura: Ez 34,14) per il suo regno.

Ma vi trova anche delicatezza, gesti di cura impareggiabili, mani che asciugano lacrime e terreni, mense condivise, costruttori di giustizia e di pace.

Per ogni vita violata, il Signore sa che ce ne sono dieci particolarmente accudite.

L’opposto della perversa logica della vendetta.

In questi casi, cosa fa un re corretto e responsabile, un re buono? L’apostolo Paolo, nella seconda lettura, risponde: “È necessario che egli regni, finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi” (II lettura: 1Cor 15,25).

Perciò il re proclama un editto per sostenere e difendere tutto il bene che c’è e avversare il male con tutti i suoi eserciti, che non sono armati, ma assomigliano più a coloro che fanno le missioni di pace, alla protezione civile, ai volontari che vanno sui luoghi dei disastri ad aiutare a mani nude e cuori pieni.

Questo editto suona così:

  • A chi ha fame, offriamo da mangiare
  • A chi ha sete, diamo da bere
  • Chi è forestiero sia accolto
  • Se ha bisogno di vestiti, diamogli quello che serve (anche dei nostri, che ne abbiamo sempre troppi)
  • Chi ha bisogno di vestiti riceva quelli che necessita (anche dei nostri, che ne abbiamo sempre troppi) 
  • A chi è in carcere, diamo l’opportunità di riscattarsi 

Non appare un decreto impraticabile.

Sicuramente non è difficile da capire, non ci sono ambiguità. Inoltre, mentre il re emana questo editto, ci dà lui stesso un esempio, perché come fa lui, facciamo anche noi: pasce il suo gregge, la pecora affaticata e quella forte, non lascia indietro nessuna.

In questo modo Gesù, mentre scende in mezzo al suo regno, sale sul suo vero trono, per concedere a tutti la grazia della vita.

Don Davide




Il Matrimonio

Che bellezza i matrimoni! 

Mi piace molto andarci fin da piccola: sei insieme a tante persone a cui vuoi bene, c’è solo da festeggiare e perdi la cognizione del tempo mangiando come se non ci fosse un domani! 

Solo cose belle, solo sorrisi, solo sogni realizzati e sogni realizzabili grazie a quella scelta così incoraggiata e condivisa.

La felicità è possibile, almeno quel giorno. 

Nella parabola del Vangelo di oggi c’è uno Sposo e ben dieci ragazze che possono presentarsi tutte all’appuntamento.  

Ma è di un matrimonio che stiamo parlando? O di qualcosa che gli somiglia, ma è ancora di più? 

In questa storia c’è più di una stranezza:  

è lo Sposo che tarda ad arrivare e si fa aspettare anche a lungo; 

– inspiegabilmente la metà delle giovani si comporta come se non si fosse preparata PRIMA a tutto ciò che può succedere. 

Queste cinque donne cosa avevano di più importante da fare quando stavano preparandosi per andare alla celebrazione? Cosa le ha distratte nel momento in cui non hanno portato con sé tutto il necessario, tanto da rischiare di rimanere fuori da quella che poteva essere la festa della vita? 

Queste vergini, come le chiama il Vangelo, sono una metafora della sposa, cioè persone che hanno nel loro futuro la possibilità di incontrare lo Sposo; ma una donna diventa sposa solo quando si innamora. 

Le vergini sono dieci, che è un simbolo di pienezza, perché questo incontro gioioso è come un matrimonio tra Dio e ognuno di noi, tra Dio e l’intera umanità. 

L’olio delle vergini vigilanti non rappresenta un dettaglio: è l’Amore, frutto dell’esercizio dell’amare, giorno dopo giorno. 

Per questo quell’olio non si può prestare e non può mancare nelle mani di una promessa sposa, perché rappresenta l’amore che ti ha portato fin lì. Se hai solo quello all’interno della tua lampada, tra poco finirà; e se non hai altro carburante che scaldi il tuo cuore e illumini la tua strada con Lui, allora vuol dire che per te quello è soltanto un incontro come tanti e fra poco qualcos’altro prenderà la tua attenzione, la tua passione e la tua volontà. Ti presenti all’appuntamento, ma in realtà stai ancora decidendo se lo Sposo è la persona giusta a cui affidarsi, se è davvero quello che vuoi. Lo Sposo tarda ad arrivare perché non vuole che sia già tutto stabilito, ma fa in modo che l’attesa e la notte rivelino a noi stessi quanto desideriamo essere davvero felici e quanto siamo disposti a prepararci, ad essere pronte e pronti per questo. 

Il vero Amore non capita, si sceglie in mezzo alle mille altre cose che succedono nella vita:

Dio ci dice che il tempo delle lacrime finirà e che, scegliendo Lui, il nostro destino è una festa senza fine in cui godere la piena felicità. 

Anna Maria D’Antona




Terapia della fraternità

Non siamo figli tutti di un unico Dio? E non siamo così tutti fratelli? Perché agire l’uno contro l’altro?
Le domande sono lecite davanti alla cronaca di tutti i giorni, alle guerre e alle devastazioni, ai contrasti che si possono vivere nel quotidiano con chi ci è vicino.

Nella enciclica ‘Fratelli tutti’ papa Francesco suggerisce una terapia della fraternità

per guarire dalle ferite aperte dalle paure della diversità. L’altro, nella sua differenza con me, sembra alimentare il disagio. Il popolo accanto al mio, nella propria identità appare un pericolo verso la mia esistenza.

Nei decenni scorsi sembrava che l’umanità avesse imparato dai propri errori, dalle guerre mondiali, dai conflitti, ma gli EGO sparsi nel mondo hanno inventato pure una ‘guerra mondiale a pezzi’, proprio mentre la tecnologia tesse la rete del villaggio planetario. Violenze, persecuzioni, migrazioni forzate, dignità umane lese, mirano a prevaricare l’altro e mentre disprezzo l’altro, dimentico me stesso, il mio essere figlio dello stesso Dio, il mio appartenere alla stessa umanità. La differenza dell’altro non è più la mia ricchezza, lo svelamento del mio essere fratello e le paure nutrono il mio andare lontano da tutti e da tutto, isola tra gli isolati.

Il conforto, la cura della fraternità, passa proprio attraverso la misericordia grande del Padre

che non ci vuole tra noi come partner commerciali, ma come ‘fratelli tutti’, perché da soli non ci si salva.

Non ci vuole come coloro che creano gravami interessati per le strade delle nostre relazioni, ma vuole che ognuno occupi il giusto posto, quello dei carismi ricevuti, dei doni personali da condividere, della ricchezza delle proprie qualità da offrirci l’un l’altro come vera terapia, perché siamo tutti fratelli, figli amati dello stesso Dio, alleati fra noi per la pace.

Francesco Paolo Monaco




Cuori ardenti, piedi in cammino

Celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale per partecipare della missione universale della Chiesa.

Come educare le nostre comunità a questa apertura missionaria universale?

I vescovi ci ricordano che la sensibilità missionaria va educata “fin dalla più tenera età” (Decreto per l’Attività missionaria Ad Gentes del Concilio Vaticano II, n. 38) per creare tra tutti i cristiani del mondo uno spirito di fraternità universale nella preghiera e nella solidarietà, specialmente verso le Chiese più giovani e bisognose di sostegno.

Il mese missionario di ottobre trova dunque il suo apice nella celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale che ricorre in questa domenica 22 ottobre.

In questa domenica iniziamo la messa con le famiglie del catechismo in una chiesa che ci ospita, così sperimentiamo il senso di essere in cammino e in comunione con altre comunità e alleniamo anche i più piccoli alla consapevolezza che esiste una Chiesa più grande, che va ben oltre i confini della nostra parrocchia e si unisce spiritualmente a tutti i missionari inviati nel mondo ad annunciare il Vangelo. Ogni comunità che celebra l’Eucarestia contribuisce al sostegno di tutti i missionari sparsi nel mondo e di tutte le comunità più povere di mezzi, quelle che vivono in situazioni di assoluta minoranza e quelle che soffrono controversie e persecuzioni.

Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno Papa Francesco ha scelto un tema suggestivo che prende spunto dal racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35):

«Cuori ardenti, piedi in cammino».

Attraverso l’esperienza di questi due discepoli che, nell’incontro con Cristo risorto, si trasformano in attivi missionari, Papa Francesco ci esorta ad essere discepoli-missionari. Infine il Papa ci ricorda l’importanza del mantenere viva la missione con l’impegno di ciascuno e con la preghiera per le vocazioni missionarie: «L’immagine dei “piedi in cammino” ci ricorda ancora una volta la perenne validità della missio ad gentes, la missione data alla Chiesa dal Signore risorto di evangelizzare ogni persona e ogni popolo sino ai confini della terra».

A cura di Don Davide

[Dalla riflessione di don Giuseppe Pizzoli, Direttore generale Fondazione Missio]

 

Fondazione Missio Ottobre Missionario 2023 (missioitalia.it)

Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2023 | Francesco (vatican.va)




Vertigine

“Pur essendo nella condizione di Dio
[…] svuotò se stesso,
[…] umiliò se stesso
fino a una morte di croce…” (Fil 2, 6-9).

Impressiona questo antico inno ripreso da San Paolo, perché sembra di essere in una cengia di montagna e guardare giù nel burrone.

Così è il Dio di Gesù Cristo.

Ancora più vertiginosa è la considerazione che l’apostolo collega questo testo – precedentemente tramandato oralmente – non alla pagina principale della sua teologia più complessa, ma in un ambito di riflessioni affabili e di indicazioni quotidiane sui rapporti personali nella vita comunitaria.

In altre parole, sono le relazioni più quotidiane e concrete che ci portano sul bordo vertiginoso del Vangelo.

Vertiginosa è anche l’affermazione di Gesù: “I pubblicani e le prostitute vi passano davanti nel regno di Dio” (Mt 28,30). Il Maestro la dice in faccia ai sacerdoti e ai capi del popolo, dopo avere fatto un esempio del tutto comprensibile. Per tornare alla metafora precedente, è come se Gesù avesse accompagnato i suoi interlocutori attraverso un bel prato verde di montagna, scosceso, e poi svoltata la curva improvvisamente li avesse lasciati lì sopra una cengia degna dell’uscita dalla via ferrata Tommaselli sul Lagazuoi e avesse detto loro:

“Sperimentate l’abisso. Ma contemplate anche la vastità e la bellezza. Questo è il Vangelo di cui io sono profeta.”

Ma perché è così?

Perché proprio queste persone così compromesse ci sorpassano come una Formula 1 sul rettilineo, mentre noi, attoniti, guidiamo la nostra Panda?

Perché costoro sono sempre a contatto, volenti o nolenti, con l’amore spregiudicato e misericordioso di Dio.

Egli, pur essendo nella condizione divina, non considera nessuno indegno di sé, e si abbassa lui, salta nel vuoto pur di offrirgli vicinanza, consolazione, riscatto, condivisione, tenerezza, perdono e salvezza.

Questo fa la differenza. Dovremmo essere sempre consapevoli della bontà misericordiosa del Padre, che si manifesta in Gesù. Sempre sentire il suo amore. Sempre sapere che ci vuole bene e che apre per noi qualche possibilità. Mai pensare che ha chiuso con noi, o che ci considera distanti: lui addirittura scende dal Cielo e raggiunge il punto più basso della terra pur di trovarci e di stare vicino a noi.

Gesù conclude il suo insegnamento dicendo: “Avete viso queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti, così da credergli” (Mt 21,32).

Voglio trasformare quest’ultima considerazione in una preghiera per l’inizio dell’anno pastorale.

Per tutti i gruppi, per le persone che collaborano nella nostra comunità e per quelle che la incontreranno, anche attraverso di noi: che il Signore ci purifichi gli occhi, perché possiamo toccare con mano questo riconoscimento incondizionato e trasformante del Padre, che ci ama e del suo Figlio che ci si fa vicino. Sempre.

Don Davide




Chiamaci, Signore…

Chiamaci sempre, Signore, a lavorare nella tua vigna.

Chiamaci nell’aurora dei nostri entusiasmi: che possano rispondere all’alba dei bisogni.

Chiamaci quando il sole mattutino comincia la sua corsa più raggiante nel cielo. C’è tanto da fare, nessuno si tiri indietro e la vendemmia abbondante procuri una gioia più grande.

Chiamaci ancora, anche se possiamo esserci solo a mezzo servizio, nel mezzogiorno del nostro tempo. Darti quel che possiamo, partecipare di questo invito, ne varrà sempre la pena.

Chiamaci e richiamaci di nuovo, Signore, sempre, anche all’ultimo istante. Ogni persona anela ad essere considerata, valorizzata, stimata. Fa’ che possiamo imparare da te come si fa, tu che sei abituato a darci un esempio, perché come hai fatto tu, possiamo fare anche noi con gli altri: gli amati, i poveri, i piccoli.

Proprio in questo inizio dell’anno, riconosciamo che non c’è tesoro più bello:

essere chiamati a lavorare per te, Signore Gesù, quando risuona la tua parola in nostro favore.

Così, potremo sperimentare con i profeti che hai disegni più grandi, in serbo per noi, di quanto noi stessi possiamo immaginare; e forse un giorno potremo dire come gli apostoli: “Per me vivere è Cristo… non c’è altro guadagno, e altro non potrei mai desiderare.”

Da ultimo ti supplichiamo, Signore: insegnaci a lavorare nella tua vigna, senza invidie, rivendicazioni e fatiche. Tutto sia raccolto nel fatto di avere risposto a una chiamata che tu hai rivolta a ciascuno di noi, e di vedere tanti amici e amiche che fanno lo stesso lavoro sotto lo stesso fresco sole, con l’unico fine di edificare il Regno di Dio e si spandere l’amore.

E ci sia dato, un giorno, dopo avere lavorato nella tua vigna, di riposarci in quell’altra, dove non ci sarà più la morte. Amen.

Don Davide




Dentro il cuore di Gesù

Il Signore ci ha fatto una grazia speciale lasciandoci salutare per un anno la Chiesa di S. Maria della Carità celebrando la solennità del Sacro Cuore di Gesù.

Non contano infatti le mura di pietra, anche se ci siamo legati, anche se sono prestigiose, anche se sono piene di arte e di splendore: quello che conta è essere dentro il cuore di Gesù.

Il cuore di Gesù è la nostra cattedrale.

È una comunità tutta raccolta nel suo amore che testimonia il Vangelo e – spingendoci a cambiare luogo celebrativo e rompendo le abitudini – ci aiuta a rinnovarci e ad essere ancora più aperti alle novità di Dio che ce lo dona.

Il primo segno della provvidenza è la Chiesa di S. Valentino, che è deliziosa.

È solo più piccola di quella della Carità, ma per il tempo estivo andrà più che bene.

In ogni caso, ho pensato a lungo, in questi giorni, alle parole di Gesù rivolte alla Samaritana: “Né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete Dio. Adorerete Dio in Spirito e Verità” (Gv 4,21.24).

Lo Spirito ci dà un’indicazione molto precisa in questa domenica. Gesù vede le folle ed è preoccupato che possano ricevere l’annuncio del Vangelo. Costituisce quindi una comunità, inizialmente piccola, fatta del numero dei Dodici, ma poi destinata a crescere a vari livelli.

Dobbiamo, quindi, solo preoccuparci di essere una comunità ancora più unita, partecipe e accogliente.

Si tratta di cogliere questo evento così raro qual è il restauro di una chiesa importante e il trasloco della celebrazione, come uno stimolo per rimetterci in gioco umilmente e provando ad ascoltare cosa il Signore ci vorrà dire.

Perché il mondo, la chiesa e tutti noi abbiamo bisogno di essere guariti dalle ferite del male e purificati dagli sfregi dell’egoismo e di quelle forze negative che rovinano la vita delle persone; in una parola, abbiamo bisogno di sentire la vicinanza di Dio.

E non importa da quale campanile si parta, ma che si cominci dal cuore di Gesù e dalla sua missione.

Don Davide




Il Corpus Domini e l’Estate Ragazzi

Ho cominciato ad andare a messa molto presto nella mia vita, a 14/15 anni circa. Non parlo della messa festiva, ma di quella feriale. Andavo in parrocchia o, alcune volte, per alcuni incastri di orari, nella chiesa di S. Maria Goretti vicino al Fermi, prima di entrare a scuola.

Non ero un mistico, o un marziano e neppure “bravo”; furono una serie di fortunati eventi a farmi prendere questa buona abitudine, che mi ha completamente cambiato la vita. Non saprei dire perché, ma so precisamente che cosa ha mosso tale cambiamento.

È stato l’incontro con il Corpo e il Sangue del Signore Gesù.

Durante gli studi di teologia lessi una frase di Sant’Ignazio di Antiochia, uno dei primi padri della Chiesa: “Questo calice è la carità di Cristo”.

Questa affermazione mi svelò che cosa avevo nel cuore: il desiderio di volere bene – che ora riconosco come la scelta fondamentale nella vita – e la scoperta che potevo farlo imparando da Gesù.

Ero sicuro di potere prendere ispirazione da lui e allo stesso tempo che non avrebbe condizionato la mia libertà, anzi che mi avrebbe reso più me di me stesso.

Per domenica prossima 11 giugno abbiamo invitato alla messa delle 10 gli animatori dell’Estate Ragazzi.

Sono particolarmente contento che sia la domenica del “Corpus Domini” (anche se detta così ha reminiscenze da compito di Latino, che appena finita la scuola potrebbero essere un deterrente…) perché spero che anche per loro possa essere un nuovo incontro con Gesù e che possano essere aiutati a trovare il sé più vero di loro stessi.

In realtà, non ho proprio idea di quanti animatori e animatrici verranno, perché d’accordo con la coordinatrice e le responsabili di Estate Ragazzi abbiamo deciso di fare un invito veramente libero. Con chi ci sarà, fossero anche due o tre animatori/animatrici, faremo un rito di presentazione, accoglienza e mandato.

Di questa cosa – di chiedere cioè un impegno serio per l’Estate Ragazzi, e allo stesso tempo di fare loro una (piccola) proposta di fede, che sembra anacronistica ed estranea alle loro abitudini, ma che possono educarsi a scegliere liberamente – ne facciamo un punto di onore.

Non è sempre stato così. Se qualche animatore o animatrice ci sta leggendo (sarebbe un primo miracolo!) sappia che don Davide, nelle due parrocchie dove ha fatto il cappellano, chiamava solo gli animatori e le animatrici che venivano al gruppo regolarmente e a messa tutte le domeniche!

Ma la pastorale non è un dogma: è un’arte fatta di discernimento, di condivisione, di sensibilità e di rispetto per i cammini concreti che ci sono in atto.

Perciò questa è la scelta pastorale che abbiamo preso in questo tempo, nella nostra parrocchia, e la cosa che ci fa più contenti è la possibilità di condividere l’Estate Ragazzi con tanti animatori e animatrici e di fare un pezzo del cammino della loro giovinezza insieme.

L’importante è che trovino la loro via personale e speriamo che di questi giorni possano lasciare un ricordo così bello, da portarlo con gratitudine persino davanti a Gesù.

Don Davide




Esisto e vivo

Gli occhi di una neonata si spalancano e sembrano grandissimi. Ci si chiede cosa guardi, così meravigliata, mentre comincia a contemplare il mondo, fino a quando non intercetta il viso amato della mamma e del papà. Non li percepisce solo con lo sguardo, ma attraverso una simbiosi con il corpo della madre, e una sintonia con il padre che l’ha amata, prima ancora che venisse alla luce. Sono esperienze prenatali, sfumature della luce, vibrazioni del suono, profumi, movimenti, inflessioni della voce che le permettono di riconoscersi immersa in quell’amore presente fin da quando è stata generata.

È la meraviglia dell’esistere, con cui una bimba, un bimbo prende confidenza.

Può non succedere, purtroppo, ed è il motivo per cui è tanto drammatico che un essere umano non sia amato, perché questo sviluppo è il funzionamento di base della chiamata dell’Essere.

Io esisto. È la sorpresa delle sorprese. Non finirò mai di stupirmi di questa collocazione nella vita.

Cinquant’anni fa, esattamente il 4 giugno del 1973, i miei genitori si sono sposati qui in questa chiesa di S. Maria della Carità. Da quella semplice storia d’amore sono nati i miei fratelli e io. Come succede per ciascuno e ciascuna di noi.

Esistiamo, come frutto traboccante dell’amore.

La Trinità è incomprensibile, ma forse riusciamo a coglierne il mistero come una neonata che apre gli occhi al mondo e intuisce l’origine del suo essere nel volto amato della mamma e del papà.

Dio è un amore fecondo, di cui troviamo riscontro in tutte le cose create.

Genera vita al suo interno, come una madre che porta in grembo il bimbo; è il cielo che alimenta i fiumi, i fiumi che portano acqua al mare e il mare che ritorna alla terra senza mai fermarsi; è un albero frondoso o pieno di frutti e una pianta che gemma, che nutrono senza rivendicazione ogni essere vivente e che spandono i loro semi. Dio è un fiore che sboccia, che lieto accoglie le api che si arricchiscono del suo profumo per produrre la dolce sostanza del miele.

In ognuna di queste analogie scopriamo che ogni realtà che scaturisce dall’Amore è inserita nell’origine che l’ha generata, tutta appartenente a quella medesima origine, e simultaneamente qualcosa di separato.

Siamo immersi in Dio e esistiamo al di fuori di lui.

Abbiamo la vita, l’essere e l’amore come soggetti liberi, persino autonomi se lo vogliamo, con una dignità che ci è conferita totalmente e che non dobbiamo a nessuno.

Sembra strano affermarlo, quasi contrario alla nostra fede. Ma è il vero significato di un Dio che – come leggiamo nelle letture della Santissima Trinità – non rinnega nulla dell’amore con cui ci ha voluto e spontaneamente generato all’esistenza; un Dio che ha voluto e chiamato il suo popolo alla vita.

Su di esso, come su tutto il creato, Dio dichiara la sua tenera fedeltà per sempre.

Tutto quello che noi possiamo fare – e in verità siamo davvero chiamati a farlo: se c’è un dovere morale è proprio questo! – è custodire questa dignità di creature libere e chiamate ad esistere, senza volgarizzarla, senza farne uno strumento per limitare la libertà degli altri o – peggio – di violenza.

Forse questa riflessione risulta un po’ difficile. Molte delle cose che volevo comunicare sono espresse meglio nel linguaggio della poesia e della musica in una canzone degli One Republic, che mi ha fatto conoscere una ragazza della nostra parrocchia che ringrazio.

Nella festa del Dio Amore che ci ha tutti chiamati alla vita, insieme a mio fratello e a mia sorella e a voi che siete la mia famiglia, al mio papà che celebra con noi dal Regno della Vita e alla mia mamma che ricorda i cinquant’anni dal giorno in cui si è sposata con lui, voglio dedicare questa canzone: “I Lived”.

Qui c’è la musica con il testo.

Qui c’è il video ufficiale, con qualcosa in più.

Don Davide