Piccolo e nascosto

È una storia di incontri intimi quella di questa domenica: lo spirito del Signore che si posa su germoglio… (Is 11,2)

Chi può descrivere che cos’è l’esperienza spirituale e l’efficacia che questa ha su un piccolo germoglio rispetto alla potenza della pianta, al vigore dell’albero cresciuto, o agli effetti che il profeta descrive di un cambiamento del mondo intero e di una conversione del cuore di tutti i popoli?

Pensiamo a che cosa significhi oggi la conversione del cuore di tutti i popoli, in prospettiva di giustizia e di pace.

Porterebbe una rivoluzione planetaria come mai ce ne sono state nella storia del mondo.

Poi c’è una voce che grida in uno spazio silenzioso – il deserto, il silenzio della nostra anima – dove i suoni si amplificano, ma possono anche disperdersi, e questa voce ci invita a “preparare la via del Signore” (Mt 3,3) a lasciarlo venire nel nostro spirito, a raddrizzare i nostri sentieri; se c’è qualcosa che non è andato bene, il Signore lo scruta, ci guarda con sguardo di misericordia, è in grado di perdonarci.

Giovanni fa questa preparazione, e il momento più intimo sembra quello anche più terribile.

Il signore tiene in mano la pala per pulire la sua aia dagli scarti e delle scorie (cf. Mt 3,12). La sua aia siamo noi! È il nostro cuore, il nostro intimo! Lui vuole raccogliere i frutti preziosi che noi sappiamo dargli e purificare, bruciare tutto quello che c’è di sbagliato, di impuro, che corrompe la bontà del frutto.

In questa storia intima ci siamo noi, con i nostri desideri di bene e la nostra speranza che questo Natale ponga questo germoglio, ci faccia fare l’esperienza spirituale e generi un cambiamento radicale che non è nelle nostre mani, ma nelle mani e nella potenza del Signore.

Don Davide




Nella luce del Signore

“Camminate nella luce del Signore” (Is 2,5).

Il profeta Isaia, dopo avere concepito la più grande visione di pace e la più grande speranza per l’umanità, lascia questo invito.

Camminare nella luce del Signore, è il modo concreto che abbiamo di trasformare il mondo.

Ne sentiamo talmente tanto l’importanza, che con la ripresa dell’anno liturgico e con l’inizio della preparazione al Natale, accendiamo tante luci diverse: le candele dell’Avvento, le luminarie nelle città, le lucine negli addobbi di casa.

Camminare nella luce del Signore significa lasciarci ispirare nuovamente, e in modo inedito, dalle parole di Gesù. Provare a conoscerlo meglio, cercare di imitarlo, rimetterlo al primo posto tra tante occupazioni e preoccupazioni.

Camminare nella luce del Signore, ci permette, infine, di comprendere meglio le parole di Gesù a Maria (di Betania), che meditiamo nel piccolo ritiro attraverso cui entriamo in questo tempo di luce: “Una sola è la cosa necessaria” (La 10,42).

C’è bisogno di lasciare che la sapienza di Gesù ci plasmi e che la luce che emana da lui illumini, colori e rallegri tutti gli aspetti e gli ambiti della nostra vita.

Sono molto dispiaciuto di non potere festeggiare il compimento del mio ottavo anno in parrocchia. Da parte mia, i motivi per festeggiare sarebbero molti, spero – senza falsa modestia – che ce ne sia qualcuno anche per la nostra comunità.

D’altro canto, c’è comunque una bellissima occasione da festeggiare, ed è il compleanno di don Valeriano che ricade proprio questa domenica. Siamo orgogliosi della sua presenza con noi, anche se un po’ meno visibile, non meno significativa attraverso la preghiera e il suo esempio. Tanti auguri don Valeriano!

Voglio salutare tutti, soprattutto i ragazzi e le ragazze del catechismo e dei gruppi medie, che in questo sabato e domenica vivono la 2gg. in parrocchia. Sono orgoglioso dell’impegno delle catechiste, delle educatrici e degli educatori dell’ACR e anche delle educatrici dei gruppi delle superiori, che continuano a creare occasioni di incontro e di formazione. Ringrazio, infine, tantissimo, chi ha preparato le torte per il banchetto! Mannaggia che non posso. Ho desiderio di vedervi e mi manca di condividere l’Eucaristia con voi!

Voglio anche ringraziare la segreteria, i ministri e chi, in queste settimane, mi ha sostituito in vari modi e ha sopperito alla mia assenza, dimostrando una volta in più la cura per la nostra parrocchia e per la comunità concreta che la vive.

Che questo tempo di Avvento ci aiuti, insieme, a rivestirci del Signore Gesù (Rm 13,14).

Don Davide




Il bagliore del Paradiso

In quest’ultima domenica dell’anno liturgico, Gesù ci invita a guardare dalla sua prospettiva.

In un salone regale, il re sta di fronte al popolo e tutti lo guardano. Questa è la grande scena che viene descritta: “Dopo che ebbero crocifisso Gesù il popolo stava a guardare…”. Al centro, l’evangelista pone la spiegazione di questa scena: “Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».”

C’è dunque un re sul suo trono e i sudditi al suo cospetto. Stavolta, però, sono spettatori, per lo più. Osservano, probabilmente qualcuno con un certo senso di rivalsa, la caduta che prima o poi tocca tutti i monarchi. Gli altri capi lo deridono: questo è il destino normale tra chi si contende il potere. Anche chi conosce solo la logica del salvare se stesso lo deride: un re che non è nemmeno in grado di usare la sua autorità in proprio favore è un povero zimbello.

Nessuno sembra fare caso al fatto che il trono non è coerente.

I Romani non potevano davvero considerare che Gesù fosse una minaccia per l’Imperatore, mentre i capi di Israele sono davvero convinti che sia la giusta punizione per un re pretenzioso, laddove Erode, il vero re, riduceva il popolo a uno schiavetto dei Romani.

All’unico che si accorge di questo indizio elementare, ma decisivo, Gesù apre gli occhi su una scena completamente diversa. Il ladro penitente riconosce che la croce non è un trono, ma una pena e che il regno di quell’uomo che tutti invitano a mostrarsi “regale” deve essere affatto diverso.

È allora che Gesù, come in un sussurro gli parla.

“Io non ho mai voluto fare «il capo», perché tutti devono essere liberi. Anche quelli che mi amano di più, li ho lasciati liberi persino da me stesso.

“Non bisogna deridere nessuno, né infliggere dolore, né – tantomeno – governare o ingannare con le armi.

“Ci sono tanti, troppi che soffrono. Ho provato a sentire il loro dolore, a condividerlo e a restituire loro fiducia nella vita.

“A me non interessa di salvare me stesso, ma che il nostro ricordo sia presso il cuore del Padre.

E ora sali su questa specie di trono, qui dove sono io e guarda dalla mia prospettiva. Osserva.

Quel regno che dicono loro a me non interessa, ma il Paradiso per me è questo che ti ho descritto: lasciare liberi, non ingannare, dare fiducia, essere insieme presso il cuore di Dio.

Vedi, se guardi da qui, la luce è così grande che anche da questo buio puoi vedere il bagliore del Paradiso.”

Don Davide




Vicino o pieno?

Lucia deve presentare Fabio ai genitori. Si sono conosciuti in vacanza con gli amici, d’estate. Lucia sembra serena, da allora, e la sua famiglia è aperta e gioviale, ma anche protettiva, non troppo incline alle smancerie.

La tavola è preparata, apparecchiata bene. C’è anche, pronta da stappare, una buona bottiglia di vino; in fondo Lucia ha 19 anni e il suo ragazzo 21. Il papà di Lucia pensa che sia giusto offrire un bel gesto di ospitalità.

Nell’attesa, Lucia è serena: ha aiutato i suoi genitori, si è truccata; conosce Fabio e si trova perfettamente a suo agio. Non pensa minimamente a cosa dovrà dire, a come dovrà comportarsi. Semplicemente, non vede l’ora che arrivi.

In cucina, invece, mentre armeggiano e si aiutano con le ultime cose, i suoi genitori bisbigliano. Sono curiosi di sapere qualcosa di questo ragazzo di cui non conoscono nulla: non sanno da dove sia saltato fuori, che gruppi frequenti, che tipo sia, perché fosse in quella vacanza con gli amici della figlia.

Quando squilla il campanello, l’atmosfera si ravviva e si scioglie. Fabio è vestito bene, ma sportivo. Non si è preoccupato di eccedere per fare bella figura. Si presenta ai genitori, offre una piantina alla mamma di Lucia e saluta la sua ragazza con un bacio disinvolto.

Durante la cena apprezza la cucina, gusta il vino e parla di tutto. Di quello che non sa, chiede, senza fingere. Lucia fa squadra con lui, alimenta il dialogo e rallegra la serata. I suoi genitori sono sorpresi e distesi e, decisamente, non sono abituati a vederla così aperta a chiacchierona anche con loro. Prima del dolce, Fabio fa una carezza a Lucia, e lei si appoggia lievemente alla sua mano. È stato un istante, ma sufficiente per essere notato.

In questa immagine possiamo cogliere la differenza tra quelli che dicono “il tempo è vicino” (Lc 21,8), da cui Gesù ci mette in guardia, e lo spirito autentico del Vangelo, che dice: “il tempo è pieno” (Mc 1,15) oppure “oggi!” (Lc 4,21).

È una differenza sottile, ma fondamentale.

Nella metafora, la differenza è fra la sicurezza di Lucia, che conosce il suo innamorato, e i genitori che ancora non l’hanno incontrato. Lucia non ha bisogno di preparare le cose da dire, perché è pronta a viverle. I genitori di Lucia sono in apprensione, ma la presenza si rivela una sorpresa rispetto alle aspettative.

Allo stesso modo, la presenza del Signore è piena di buona potenza per il tempo che viviamo adesso.

Certo, anche noi usiamo espressioni relative al Signore che “viene”, soprattutto in questa parte conclusiva dell’anno liturgico e in Avvento, ma è un’attesa conosciuta, che “non vede l’ora” come quella di Lucia, non minacciosa.

“Il tempo è vicino” invece, è il linguaggio di chi ama la minaccia e abdica alla speranza. Sono le parole di chi si spaccia per profeta e messia, come se solo lui o lei avessero capito le cose, che vedono nella guerra, nelle carestie e nelle pestilenze il segno della fine del mondo e si compiacciono di terrorizzare attraverso questo.

Ma questo non è cristiano. Scusate, c’è bisogno di elencare gli orrori del passato, per dire che anche allora sarebbero stati sufficienti per parlare della fine del mondo? Anche se pare che invitino a cambiare, Gesù dice: “Non andate dietro a loro!” (Lc 21,8). Perché, appunto, affermano che le cose sono vicine e spaventose, come quelli che si ritrovano a parlare del clima e dicono: “Se nei prossimi anni non faremo…” E oggi?!

Invece, la presenza di Gesù marca il tempo in maniera diversa.

Il tempo non è più vicino – anche vicinissimo – ma fra un po’… Il tempo – paradossalmente, rispetto alle tentazioni desolanti di ogni tempo – si è arricchito. È opportuno adesso. Abbiamo già tutte le risorse che ci servono: per fare la pace, per cessare le guerre, per dare da mangiare a tutti, per accogliere i forestieri.

Don Davide




Le chiavi del futuro

Mia nipote più piccola, nel 2030, anno di verifica degli obiettivi globali per lo sviluppo sostenibile, avrà 9 anni. Spero che sia ancora una bimba spensierata, ma che almeno il secondo obiettivo possa saperlo realizzato: ossia che non ci saranno più persone, soprattutto bambini come lei, che muoiono di fame.

Confido anche che a quel tempo sia realizzato l’obiettivo 16, ossia la pace. Solo la stupidità può ancora convincere che le guerre siano opportune, necessarie o peggio desiderabili per qualsivoglia risultato. La pace dovrebbe iniziare da domani, ma che dico: da adesso! Anzi, dovrebbe già essere iniziata.

I bambini e le bambine della sua età, nel 2040 avranno 19 anni. Saranno giovani e mi auguro con tutto il cuore che vivano in un mondo dove gli obiettivi 4 e 5 – l’istruzione di qualità e la parità di genere – siano talmente presenti e acquisiti da chiedersi come sia stato possibile vivere in un mondo dove queste cose non c’erano. Auspico, allo stesso tempo, che non vengano mai dati per scontati, cosicché i giovani uomini e le giovani donne del futuro possano scegliere come istruirsi al meglio e sviluppare con le stesse opportunità i propri sogni e la propria visione del mondo.

Nel 2050, la generazione di cui parlo sarà alla soglia dei 30 anni. Dovremmo potere pensare che avranno il mondo ai loro piedi e la vita davanti e che giustamente noi ci faremo da parte. Sogno di poter stare loro vicino come un anziano prete, pieno di stima e di affetto e magari con un pizzico di saggezza, ma non troppo invadente.

Per quell’anno, però, la posta in gioco è altissima, bisogna che siano raggiunti tutti gli altri obiettivi.

In modo particolare, stanno alle fondamenta i numeri 6 e 7, che riguardano l’acqua potabile e l’energia pulita, i numeri 11 e 12, che ambiscono a città vivibili, e i numeri 13, 14 e 15 che puntano alla lotta contro il cambiamento climatico. Quelli che non ho citato, saranno conseguenza di questi.

Alternativa non c’è.

Se vogliamo che i bimbi più piccoli che amiamo oggi, possano abitare il loro mondo domani, dobbiamo trovare le chiavi per aprire questo futuro. Per loro è un diritto e non una gentile concessione da parte nostra. Per noi è un dovere. In ogni caso possiamo farlo insieme, da alleati ed amici per lo stesso fine comune.

La radice di tutti i problemi e i conflitti generazionali, oggi, è nel trascurare da parte degli adulti questa consapevolezza.

In questi giorni celebriamo i santi e commemoriamo i defunti.

I santi sono coloro che hanno trovato le chiavi del futuro.

Lo hanno fatto in tutte le età della storia, anche di fronte alle sfide più difficili, rapiti dall’amore di Gesù e nell’ascolto profondo della Parola di Vita che li ha guidati: Benedetto e Scolastica, Francesco e Chiara, Bartolomé de las Casas, Francesco Saverio, Teresa d’Avila, i martiri delle guerre mondiali, Charles de Foucauld – solo per citarne alcuni – hanno letteralmente dato vita a nuovi mondi.

I defunti che commemoriamo, perché li ricordiamo volentieri, sono quelli che ci hanno lasciato un’eredità da custodire e che non vogliamo dimenticare, non quelli che ci hanno lasciato solo macerie.

Oggi, santità significa trovare le chiavi del futuro.

Ma non è un esperimento da laboratorio; è piuttosto un lavoro d’artista, di chi ha una fonte d’ispirazione e un fuoco dentro e li alimenta giorno dopo giorno con gli strumenti dell’amore e la speranza per le persone a cui vogliamo più bene.

Don Davide




Splendida misericordia

“Splendida è la misericordia nel momento della tribolazione,

come le nubi apportatrici di pioggia nel tempo della siccità.”

(Sir 35,26)

C’è bisogno di parole dense e degne di stare di fronte alla complessità dei giorni che stiamo vivendo.

Le parole della fede cristiana vengono accusate di essere friabili, ripetitive, tanto svuotate da lasciare solo il guscio. Talvolta questa accusa è pertinente; più spesso, con una certa superficialità, non se ne coglie la ricchezza e, soprattutto, la portata.

La realtà e l’esperienza della nostra fede, infatti, tendono a dare consistenza alle persone e ai sensi spirituali che sono necessari per abitare il mondo, per vivere bene le relazioni così numerose, mutevoli e complesse, e per conoscere la sfera misteriosa dei sentimenti e delle emozioni.

Nelle esistenze che Dio ama e di cui si prende cura, non c’è spazio per tutti quegli atteggiamenti che vanno di moda in tutte le epoche: la tracotanza dei potenti che umiliano i poveri, l’ipocrisia di chi si sente giusto contro gli altri e la mancanza di qualsiasi sensibilità spirituale di chi ostenta davanti a Dio come se potesse in qualche modo sedurlo o, peggio, ingannarlo.

Il punto è che non sono gli altri che corrono questo pericolo.

La prima lettura è netta nel dire in favore di chi Dio prende parte; invece, Gesù nel Vangelo stereotipizza il fariseo e il pubblicano per ricordarci che in tutti noi alberga l’ombra del fariseo e che dobbiamo sempre fare i conti con le sue seduzioni maligne.

Mentre lottiamo contro il fariseo in noi, sentiamo il bisogno di misericordia del pubblicano.

Come le nubi che si addensano di pioggia, così le parole della nostra fede diventano vere e dense, quando riconosciamo l’obiettivo – quello di essere umili e veri davanti a Dio – e ci sforziamo di non smarrire la direzione.

In questa quotidiana lotta per identificare in noi il fariseo che addita il pubblicano, sentiamo il bisogno di un grande manto di misericordia, come una pioggia diffusa in una stagione di siccità.

Don Davide




La fede

“Troverà ancora la fede?” (Lc 18,8)

Da varie domeniche la liturgia interpella la nostra fede, il nostro vivere e comportarci come uomini e donne credenti.

In molte fiabe, in molti racconti, in tante storie edificanti e di avventura, uno dei protagonisti ad un certo punto, spesso nei momenti più difficili, invita “ad avere fede”, basandosi sul fatto che il bene trionferà, che c’è una sorta di energia cosmica a cui attingere, che dispiega la sua potenza e guida il tutto verso l’armonia e l’eventuale soluzione della vicenda.

L’insegnamento di Gesù sulla necessità di “pregar sempre, senza stancarsi mai” – che sembra impossibile anche solo a sentirlo – si trova tra l’invito alla vigilanza e al discernimento e questa domanda enigmatica sulla fede.

Pregare, quindi, significa esercitarsi tenacemente a essere vigili rispetto alla vibrazione del mondo e accedere a quella sapiente linfa vitale che lo tiene nell’esistenza e lo riporta all’armonia.

Questo dell’allenamento dei sensi spirituali è uno sport per lo più disatteso.

Invece, la possibilità di toccare con mano la potenza di Dio c’è, dice Gesù.

Ma come tutte le cose che contano bisogna scovarne la magia con un autentico desiderio.

Don Davide




Gratitudine, nonostante tutto

Naaman, della Siria, vuole a tutti i costi ringraziare Eliseo, il profeta di Israele, per essere guarito dalla lebbra. Allo stesso modo Gesù elogia il lebbroso samaritano che, guarito, ha scelto di tornare a ringraziare e di riconoscere il Signore.

Ormai è persino banale ricordarlo, tuttavia rimane necessario: viviamo tempi di una difficoltà imprevista, e forse impensabile fino a pochi anni fa. Le crisi che c’erano state prima del Covid sembravano grandissime, ma quelle di oggi le fanno impallidire.

C’è il linguaggio scellerato delle armi nucleari, che dovrebbe essere proibito – persino la parola – più che una offesa diretta o una bestemmia; c’è la crisi energetica; ci sono i problemi ecologici e una violenza orrenda e oscena in molte parti del mondo, che spesso non stanno sotto i riflettori… Senza andare lontano dai confini o negli scenari catastrofici c’è, infine, anche una buona dose di meschinità nel nostro vivere insieme e nella nostra vita individuale che esige urgentemente la nostra conversione.

Tuttavia, celebriamo l’Eucaristia, il Ringraziamento.

La comunità cristiana si raduna ogni domenica per celebrare nella fede la messa, come offerta ed espressione di gratitudine per il dono della vita, della fraternità, dell’amore condiviso e impegnato nei confronti del prossimo, e della speranza.

Con questa domenica riprendiamo le celebrazioni con le famiglie del catechismo alle 10 e la messa domenicale delle 11.30 che, viene curata con particolare attenzione, essendo la messa al centro del Giorno del Signore.

È una gioia vedere i bimbi e le bimbe, i ragazzi e le ragazze, le famiglie e gli anziani insieme, e sentire il sapore genuino, pur in mezzo ai nostri tantissimi limiti, della comunità, e impegnarci e avere la speranza di edificare un mondo dove le più ardite utopie impallidiscano.

Sì, noi ti ringraziamo, nostro Signore Gesù.

Ti ringraziamo per il dono della fede cristiana che custodiamo assieme; per le persone che amiamo e per le quali siamo ispirati a impegnarci; perché con la tua parola siamo incoraggiati e non ci rassegniamo alle ombre cupe che rabbuiano il mondo, ma possiamo portare la luce della saggezza, della sapienza e della pace.

Ti ringraziamo, perché quando portiamo la nostra vita concreta sull’altare della domenica, anche le cose più piccole diventano un dono e persino le nostre incapacità vengono trasfigurate. Tutto viene purificato e diventa più buono, pacifico e sereno.

Don Davide




Semplici e umili

Semplici e umili, anche di fronte alla vita.

“Quando avrete fatto tutto ciò che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.” (Lc 17,10).

Ogni vita è piena di difficoltà, di angustie, di corse, di affanni alternati a qualche momento di quiete e di affetto. Tutti abbiamo bisogno di un sollievo, di un riconoscimento. È molto importante potere avere un riscontro positivo e motivazionale; invece, Gesù ci sorprende con un’affermazione che assume un tratto durissimo, che non lascia margine a nessuna indulgenza.

Qual è il significato?

Tutta la liturgia di questa domenica parla con grande insistenza della fede che fa vivere.

Avere fede, in questo caso, è il fondamento della possibilità di essere semplici e umili in tutte le cose che facciamo e che viviamo, anche di fronte alla vita. Tutto al contrario di chi pensa che avere fede sia un modo per lasciare le cose “ad altri” o “ad Altro”, avere fede è la disposizione dello spirito al nostro impegno, con tutti noi stessi, con la consapevolezza di cosa siamo chiamati a compiere, la fermezza negli obiettivi e una certa imperturbabilità dell’anima.

Quando abbiamo adempiuto il nostro impegno, possiamo dire con il cuore leggero: “Ok, era la mia parte. So verso cosa sto camminando.”

Don Davide




Autunno

Spensierati, proprio no!

La prima lettura di questa domenica inizia con parole molto severe del profeta Amos che rimprovera chi è spensierato e a chi si considera sicuro sulle proprie ricchezze.

Queste parole potrebbero turbarci, invece ci fanno sentire in sintonia con la preoccupazione di Dio per il suo popolo. Spensierati, in questo periodo storico, non lo siamo davvero!

È iniziato l’autunno e tutte le comunità cristiane sono angosciate dalla preoccupazione di non fare fronte al pagamento delle utenze. È un problema serissimo, perché va molto oltre la questione economica: riguarda, per il terzo anno di fila, una difficoltà concreta a radunare la comunità e a trovarsi per le attività in una condizione non disagiata.

Almeno, ascoltando queste parole, siamo sicuri di avere quella santa inquietudine di cui parla il profeta.

Sicuramente non ce ne possiamo stare in panciolle e dobbiamo cercare le strade per una nuova sobrietà.

La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro ci aiuta a ricordare che, in questa circostanza drammatica, non siamo noi contro altri, ma le comunità cristiane insieme a tante persone che ugualmente soffrono di una situazione sociale divenuta quasi insostenibile.

Dalla parabola di Gesù impariamo che è necessario accorgerci delle sofferenze, essere solidali e condividere i pesi gli uni degli altri.

La realtà di questo periodo, quindi, può essere letta come un modo per vivere il Vangelo più radicalmente e vogliamo focalizzare lo sguardo su questo stimolo buono.

Don Davide