Come la pioggia e la neve

Siamo in piena estate e la liturgia della Parola, in questa domenica, inizia evocando la pioggia e la neve. Sembrano immagini lontane, ma proprio nei mesi più caldi e secchi dell’anno siamo aiutati a considerare la preziosità dell’acqua che disseta la terra e del ciclo delle stagioni.

La pioggia e la neve – dice il profeta Isaia – scendono dal cielo e irrigano e fecondano la terra, perché germogli, dia il seme e poi il raccolto. È una metafora stupenda e celebre, usata sempre per indicare l’efficacia della Parola di Dio, che non torna al cielo senza avere irrigato la vita di chi raggiunge.

Oggi, però, pensando all’estate, in questo paragone vorrei cogliere la dilazione del tempo. Tra l’autunno e l’inverno che preparano la terra irrigandola e la gioia del raccolto, passa un tempo lungo, di attesa, in cui l’agricoltore può curare un po’ il campo, ma non può operare più di tanto.

Mi sembra che nella pastorale delle nostre comunità, dovremmo riscoprire e coltivare il tempo lungo. La semina della parola – come ben manifesta la parabola evangelica, che pare esprimere un aspetto complementare a quello della prima lettura – è difficile. Nonostante l’abbondanza e la generosità del seminatore, che non è uno sprovveduto, c’è una difficoltà intrinseca in questa seminagione.

Lo dico in modo provocatorio, ma ho l’impressione che nel tempo che viviamo, invece, per evitare il rischio della dispersione dei semi e del periodo lungo per vedere il frutto, preferiamo fare come l’esperimento scientifico per eccellenza di tutti i bimbi, cioé mettere il semino in un bicchiere con un po’ di cotone, per vedere il germoglio e la piantina e dire: “Wow!”. I bimbi, giustamente, ne rimangono meravigliati, ma gli adulti sanno che non si raccoglierà nulla da quella piantina… ma è come se ci rassicurasse vedere qualcosa.

Lo si fa con il catechismo, in cui ci rassicura vedere i bimbi nei quattro anni del catechismo, ma sapendo che poi – sia per loro che per le loro famiglie – rimane ben poco di quella esperienza.

Lo si fa con i ragazzi e i giovani, con i quali usiamo quasi sempre il criterio del “così vengono”, ma alla fine non insegniamo loro a pregare, la vita spirituale, il valore dei sacramenti, di avere una guida. Fare queste cose “spirituali” è difficile: è impopolare, non interessano, ci vuole tempo… mi chiedo, però, se non siano proprio questi percorsi difficili a manifestare l’efficacia di cui parla il profeta Isaia. Quando questi ragazzi saranno diventati uomini e donne, che cosa li aiuterà?

Anche la carità corre lo stesso pericolo. Sembra che sia l’unica cosa che conti nella Chiesa, agli occhi del mondo: della fede cristiana non interessa più niente, anzi, non di rado si manifesta un certo fastidio, però la Chiesa che fa tanta carità piace a tutti: “Così dovrebbe essere!” si dice. Ma cosa sostiene la carità? Tutte le persone che animano in maniera non improvvisata, costante e con sapiente dedizione la carità, sono persone che sanno precisamente il motivo per cui lo fanno: per Gesù. Gli altri ci girano attorno, ma se non ci fossero i primi, l’immenso impianto della carità nella Chiesa semplicemente crollerebbe.

seminaAllora, cosa dobbiamo fare? La semina della Parola di Dio è difficile e, diciamolo senza mezzi termini, è fuori moda. Ma pare che Gesù non abbia escluso questa eventualità, citando il profeta Isaia.

“A chi ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza, ma a colui che non ha sarà tolto anche quello che ha.” È una delle frasi più scandalose e irritanti del Vangelo, a fronte di un certo modo di pensare in termini di aurea mediocritas. Ma quello che vuole dire Gesù, parlando della Parola di Dio, è che la Parola è legata a un desiderio e la ricchezza cristiana a un’adesione. Chi rifiuta questo tesoro, si troverà sprovvisto e non ne rimarrà nulla. Chi invece lo cerca e vi si apre, a prezzo di fatica e pazientando nel tempo lungo, non avrà nemmeno bisogno di scoprirlo, ma sarà ricolmato di ricchezza.

Don Davide




Ogni cosa è illuminata

“Hai tenuto nascoste” afferma laconicamente Gesù, indicando un tratto misterioso di Dio Padre.

Queste cose nascoste sono impedite ai dotti e ai sapienti, ma sono rivelate ai piccoli. Non è una requisitoria contro lo studio o contro il desiderio di saggezza; né tantomeno la volontà di denigrare chi si impegna nella formazione: qui l’elemento chiave è il tema della piccolezza, dell’umiltà e della semplicità.

In questo ambito di un’adesione alla realtà senza sovrastrutture, con umile accoglienza e immediatezza, si rivelano le cose che altrimenti Dio tiene nascoste.

Domenica scorsa Gesù ci consegnava l’insegnamento di un bicchiere d’acqua offerto, che può cambiare le sorti di una vita e fare sperimentare la salvezza a chi offre e a chi riceve: una cosa piccolissima, che forse senza l’adesione alla realtà, sfuggirebbe alla nostra attenzione. Invece Dio rivela ai semplici la potenza di questo gesto.

In questo sguardo della semplicità posata sull’esistenza, ogni cosa è illuminata: la gratitudine, un sorriso, il gesto paziente e quotidiano che fra molti anni produrrà un grande risultato, come studiare qualche pagina di un libro difficile, che un giorno si trasformerà in una laurea e, molto di più, in una competenza; o il solfeggio degli studenti di musica, pratica noiosa che prelude alla composizione di una sinfonia.

Ogni cosa è illuminata, come un genitore che cambia il pannolino a un bimbo piccolo e – alla fine – avrà donato la vita a una persona; o l’impegno di un* giovan* a modificare in meglio il proprio temperamento, che un giorno produrrà una cultura di pace.

In una foto artistica, quando la luce è quella giusta, anche le cose che rimangono nell’ombra appaiono rilevanti. Parlandoci di Dio Padre come fa nel vangelo, Gesù sembra tratteggiarlo come un maestro fotografo, che usa l’esposizione perfetta, perché ogni cosa sia illuminata, e anche quelle nascoste siano nella giusta luce.

Così facendo, innanzitutto, Dio ci fa apprezzare la profondità del reale, come appunto in una splendida fotografia, e ci fa ammirare le sfumature senza stancarci.

Ma soprattutto, stimola la nostra curiosità, perché rimaniamo con le domande che ci fanno cercare e vivere:

-Che cosa è essenziale?

-Qual è il segreto nascosto che posso scoprire?

-Come posso guardare la mia vita, per vedere che ogni cosa è illuminata?

Nella prima lettura, il profeta preannuncia come l’incontro con il Messia sarà anche frutto di questo sguardo.

Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo ci spiega che così la vita spirituale assume una forma concreta e viene sottratta a quell’interpretazione “spiritualistica” che spesso la squalifica.

Può accadere, quindi, che educarci continuamente ad aderire alla realtà con cuore semplice e umile ci aiuti a fare esperienza di Gesù e a seguire un sentiero spirituale che si dipana man mano che si rivela.

In una giornata di pieno sole in estate, saremo sicuramente aiutati a vedere che ogni cosa è illuminata.

Don Davide




Buona estate e buone vacanze

Inizia l’orario estivo delle messe, in questo periodo in cui si fanno le vacanze. Non tutti potranno godere di un po’ di ferie e non sempre sarà semplice gestire questo periodo caratterizzato così fortemente dal riposo e dalle relazioni con gli amici o con le persone amate, a causa della gestione dell’emergenza sanitaria.

A tutti vorrei mandare il più caro saluto e l’augurio che tutto possa andare bene. In questa occasione, richiamo alla vostra attenzione la bella riflessione della Conferenza Episcopale Italiana sull’esperienza della pandemia alla luce del Mistero Pasquale, di cui riportiamo l’introduzione.

INTRODUZIONE RIFLESSIONE CEI

Si intitola “È risorto il terzo giorno” ed è una traccia di riflessione elaborata dalla Commissione Episcopale per la Dottrina, l’Annuncio e la Catechesi della CEI per accompagnare equipe diocesane, catechisti e quanti sono impegnati sul fronte dell’annuncio e dell’iniziazione cristiana. Si tratta di una “rilettura biblico-spirituale dell’esperienza della pandemia”, destinata a credenti e non credenti, che prende le mosse da un ascolto attento delle paure, dei bisogni e delle attese delle persone che, nel proprio contesto e con i propri strumenti, si sono trovate ad affrontare l’emergenza sanitaria da Covid-19. Ad aprire il testo, infatti, sono le voci di un’impiegata, di uno studente, di un bambino, di un avvocato, di un cappellano, di un medico, di una casalinga, di un adolescente, di un volontario e di una segretaria. Pongono interrogativi sulla sofferenza, sul disorientamento e sulla morte, ma testimoniano anche la capacità di resilienza, la creatività e la riscoperta della dimensione domestica della fede.

Nella traccia, la Commissione Episcopale colloca gli eventi recenti sullo sfondo del mistero pasquale di Gesù: dal venerdì della morte in croce sino alla Domenica di risurrezione, attraverso il Sabato della deposizione nel sepolcro, evidenziando che “una lettura pasquale dell’esperienza della pandemia non può prospettare il semplice ritorno alla situazione di prima”. Per la Commissione, infatti, “la croce e il sepolcro possono diventare cattedre che insegnano a tutti a cambiare, a convertirsi, a prestare orecchio e cuore ai drammi causati dall’ingiustizia e dalla violenza, a trovare il coraggio di porre gesti divini nelle relazioni umane: pace, equità, mitezza, carità”. Sono questi “i germi di risurrezione, i lampi della Domenica, che rendono concreto e credibile l’annuncio della vita eterna”. Ecco perché, nell’ascoltare e dare dignità all’umanità ferita, la Commissione Episcopale rilancia l’invito di papa Francesco a raccogliere la sfida dell’audacia e della creatività nel “ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità”. Per ripartire “come comunità ecclesiale sui passi dell’uomo del nostro tempo, animati da tenerezza e comprensione, da una speranza che non delude”.

Roma, 23 giugno 2020

Di seguito, il link per leggere il testo integrale.

E’ RISORTO IL TERZO GIORNO

 




Estate 21-06-2020

Inizia l’estate e Gesù nel vangelo di oggi usa l’immagine dei passerotti, anche loro custoditi dal Padre di tutti, che è nei cieli.

Dovrebbe essere lo spunto per una sorta di mindfulness cristiana: fermarsi a guardare il volo dei passerotti. Essi volano allegri, non un gesto solenne ed estremo come quello dei rapaci, ma un movimento più semplice, dedito alla ricerca di cibo e alla libertà dell’aria. Dio si prende cura di questa loro esistenza umile.

Allo stesso modo, possiamo immaginare di fermarci con il volto rivolto verso il sole e, senza mascherina, inspirare l’aria d’estate. Ascoltare il canto degli uccelli e, quando arriverà il caldo vero, il frinire dei grilli e delle cicale. E pensare che come il Sole, così splende su di noi l’amore del Padre. È possibile che ogni tanto non si veda il Sole, che sia oscurato dalle nuvole: nondimeno, sappiamo che è la sua energia che sostiene il mondo, anche nella peggiore giornata d’inverno, e che, se per qualche ragione il Sole smettesse di emanare i suoi raggi sulla Terra, il pianeta collasserebbe all’istante. Ma, in realtà, nessuno dubita che il Sole continuerà a bruciare e a emanare il suo calore per svariati miliardi di anni.

Così è l’amore di Dio. Anche quando appare nascosto, mantiene tutto nell’esistenza. Anche se non lo vediamo è lui che continua a dar vita al nostro cuore.

La luce, il calore e i colori dell’estate ci servano a richiamare quest’energia sovrana, che è tanto vasta da abitare il globo, e tanto personale da essere premurosa per ciascuno di noi.

È grazie a questa conferma di quanto sia voluta e preziosa la nostra esistenza per Dio – conferma che ci ricorda Gesù in ogni sua parola e in ogni suo gesto – che possiamo non vivere nel buio e nel nascondimento, ma cercare di essere autentici.

Per lo stesso motivo, siamo incoraggiati a non lasciarci coinvolgere nelle trame nascoste, ma ad essere solari e limpidi, come una giornata tersa d’estate.

Infine, è il ricordo del volo dei passerotti che ci fa sentire liberi da ogni paura. Nessuno ci potrà fare del male, anche chi volesse farcelo davvero. La nostra vita è ancorata ad un’esistenza più profonda, più radicale e più libera.

Vorrei che per tutti il tempo dell’estate fosse l’occasione di coltivare un po’ questa sorgente spirituale.

Vi propongo, quando andrete al mare o in montagna, o in un viaggio nella nostra bella Italia, di sostare su qualche piccolo sguardo dove il particolare tocca l’universale: il moto delle onde, un bambino che gioca con la sabbia, la croce sulla cima di una montagna, il pascolo delle mucche, il cameriere che versa un buon vino toscano, i cipressi in contrasto su un campo di girasoli… tutto ci può confermare dell’energia dell’amore di Dio che sostiene il mondo.

Lasciamo che questa consapevolezza entri in noi e permei il nostro spirito e – come quando rimaniamo esposti al sole e ne sentiamo il calore sulle guance – cerchiamo di percepire Dio stesso che ci accarezza.

Don Davide




Conoscere il cuore

Cosa c’è nel nostro cuore?
È una risposta difficilissima da dare, perché spesso amiamo rappresentarci meglio di quello che siamo o tendiamo ad essere più severi del dovuto.
Inoltre, per capire cosa ha il potere di rimanere saldo, di esserci, anche di fronte alle difficoltà e ai momenti in cui non tutto viene naturale, abbiamo bisogno di metterci alla prova. Come uno sciatore che verifica le sue abilità quando la pista diventa più ripida o uno studente che voglia concentrarsi in mezzo alla confusione.
Vivere una pandemia è stata ed è tuttora sicuramente una prova, non voluta da Dio, non da leggere con qualche strana interpretazione. Ma durante l’epidemia abbiamo avuto modo di verificare cosa c’era nel nostro cuore.
Chi erano le persone che ci mancavano di più? A chi vogliamo più bene? Quali sono le nostre priorità? Siamo abbastanza forti da tenere il timone delle nostre giornate o ci abbandoniamo allo scorrere casuale del tempo? Che rapporto abbiamo con la malattia e la morte? Ci teniamo al Signore? Siamo riusciti a ritagliare un po’ di tempo per l’incontro con Gesù, oppure abbiamo scoperto che “non abbiamo tempo” è una scusa per mascherare che non ci teniamo abbastanza?
Tutte queste domande appartengono alla riflessione del Deuteronomio, nella prima lettura: il tempo della prova ci svela, prima di tutto a noi stessi.
In questa meditazione si dice a un certo punto: “Non dimenticare il Signore”. La sapienza biblica è – come sempre – meravigliosa. Non si dice qui: “Metti il Signore al primo posto!” oppure: “Ti devi dedicare solo al Signore!”. Più saggiamente si dice: “Non dimenticare!”, ossia: “Tra le altre cose che fanno parte della vita, tu non trascurare di dare il posto giusto al Signore…”
Sul modello dell’Esodo viene riletta ogni esperienza umana: è lui che ci libera dalle schiavitù, molte anche quelle che ci auto imponiamo. È lui che ci aiuta ad attraversare momenti di deserto, di solitudine e di spavento, come ad esempio la quarantena. È sempre lui che in un mondo dove i serpenti e gli scorpioni non mancano guida i passi per non essere avvelenati a morte. È ancora lui che nelle solitudini che proviamo quando il senso delle cose si dissolve, ci disseta con una prospettiva, una speranza. È lui, infine, che è in grado di sondare il nostro cuore a delle profondità che nessuna parola umana può raggiungere e fare sgorgare l’acqua “dalla roccia durissima”: ossia, guarire ciò che sembra irraggiungibile, irrigare ciò che è sempre arido, scavare la roccia impenetrabile.
In questa domenica del Corpus Domini vorrei allora proporvi una serie di domande ispirate dalle letture di questa solennità, come strumento per verificare cosa c’è nel nostro cuore. Per chi verrà alla messa, la useremo come Professione di Fede da fare insieme.

Credete nel primato della Parola di Dio,
da ascoltare, leggere, meditare e pregare frequentemente,
personalmente e nell’assemblea liturgica,
che ha il potere di toccare le parti più profonde di noi e di irrigare il nostro cuore?

Credete nell’Eucaristia,
come comunione reale al sangue delle vittime,
condivisione delle sorti di tutti gli uomini, specialmente i più poveri e affaticati,
e custodia dell’unico corpo che abbiamo tutti insieme: il nostro pianeta?

Credete che Gesù è il lievito della nostra vita,
colui che ci fa crescere come uomini e come donne
e ci chiama ad essere suoi testimoni nel mondo,
e che il modo migliore di impastarci con lui
è di prendere parte attivamente alla celebrazione eucaristica?

Questa è la nostra riposta di fede all’ascolto della tua parola, Signore.
Crediamo in te, Signore Gesù
e con te, desideriamo tendere verso la pienezza di vita. Amen.




Il trono della misericordia

Ma alla Santissima Trinità, eterna in se stessa, perfetta senza il bisogno di altro, intimità, relazione e comunione al suo interno, traboccante di amore per la Creazione all’esterno… può interessare qualcosa dei nostri problemi con la pandemia?

La risposta è certamente sì, ma l’idea è che la formulazione del dogma della Santissima Trinità sia un po’ fuorviante. Verrebbe da pensare che una realtà così immensa, sublime e infinitamente oltre ogni dimensione creaturale, sia anche inevitabilmente lontana da noi.

Forse, come un re buono che si chinasse con favore sull’ultimo dei suoi sudditi, potremmo pensare che Dio possa avere compassione di noi, ma appunto in un contesto di infinita distanza che è colmata solo dalla sua compassione. Quanto a noi, la Trinità rimarrebbe totalmente inaccessibile, come quel suddito che non oserebbe alzare lo sguardo al suo re.

Invece, dovremmo pensare che la Santissima Trinità è un grande racconto del Dio vicino.

Per entrare nella storia, e non guardarla solo con benevolenza dall’alto, Dio ho toccato il cuore di alcuni uomini liberi e si è messo in rapporto con un popolo concreto. Ne ha accettato tutte le contraddizioni per educarlo; si è sporcato i piedi su molte rotte, ha camminato con lui, lo ha ripreso infinite volte, fino a che non fosse preparato uno spazio totalmente umano, nel grembo non di un’icona di santità, ma una ragazza vera come tutte le altre ragazze di Nazaret.

Come se il re avesse fatto scambio con l’ultimo dei servi in cucina per condividerne la fatica e conoscerne l’impegno, in Gesù, Dio non si è lavato le mani come Pilato, ma se le è sporcate con le piaghe degli uomini e persino con le loro miserie. E mentre si sporcava le mani, lavava i piedi di coloro a cui veniva in soccorso, perché fosse chiaro a tutti che Dio era al lavoro per permettere a loro di riposare. Eppure, le mani di Dio sono mani trasfigurate: conservano i segni delle piaghe, ma sono mani pulitissime e belle… ci hanno insegnato a impastare la farina, ad accarezzare una pecora intimorita o un leone ammansito, sono le mani che fasciano, che benedicono, che abbracciano, che promettono e che indicano traguardi.

Per essere in noi ad ogni respiro, poi, Dio si è fatto Spirito. Delicatissimo, ma indispensabile. Nascosto quando stiamo bene; evidente quando è più freddo. Quando c’è un inno alla vita nelle nostre esistenze è sempre lo Spirito di Dio che si fa vicinissimo e che guida il futuro.

La Santissima Trinità è la storia di Dio con noi, la storia della sua opera con l’uomo, nelle ore del giorno, in attesa di potersi riposare insieme nell’abbraccio l’uno dell’altra. Un esito di intimità, non di distanza, che possiamo custodire nella memoria e nel cuore con queste magnifiche parole del Talmud:

Dodici sono le ore del giorno:
nelle prime tre il Santo,
benedetto egli sia, si dedica alla Torah;
nelle seconde tre giudica tutto il mondo
e quando vede che questo meriterebbe la distruzione,
si alza dal trono del Giudizio
e siede su quello della Misericordia.

Don Davide




Il respiro dello Spirito – Omelia di Don Davide del 31 maggio 2020

Il supplizio della croce, all’epoca dei Romani, uccideva per soffocamento, proprio come farebbe il Coronavirus, colpendo i nostri polmoni, se non fosse combattuto.

Quando ha esalato l’ultimo respiro, Gesù ha effuso il suo spirito, per fare anche di quel momento di fatica a respirare un dono. Quanto volte diciamo: “Sono così impegnato che non riesco nemmeno a respirare…”? Forse, dietro agli affanni, c’è un atto d’amore che li riscatta.

Voglio immaginare quando Gesù è tornato a respirare nel sepolcro, voglio provare a visualizzare quel primo respiro, quando i suoi polmoni si sono riempiti d’aria e il suo petto si è gonfiato e il suo corpo, come percorso da una scossa, si è trasfigurato.

Tu, Spirito Santo di Pentecoste, sei entrato dentro di lui. Tu sei il respiro, dice la parola ebraica.

In uno slancio di audacia, vorrei andare a un altro momento ancora, all’origine del cosmo e della storia, quando le particelle erano nel caos e materia e antimateria si sfidavano per il dominio e il respiro di Dio faceva le capriole come il nostro fiato d’inverno, sopra quel nulla che poteva rimanere nell’abisso.

Soffio dello Spirito

Poi c’è stato il primo respiro della Creazione. E piano piano hanno cominciato a respirare lo spazio e le stelle, il sole e i pianeti, il cielo e la terra, il mare, i fiumi, le montagne, i prati, i fiori, gli animali, l’uomo e la donna. Se ci guardiamo bene, se ascoltiamo, tutto respira.

Mi sembra che in questa Pentecoste ci sia qualcosa che ci supera immensamente. Ci siamo noi, con le sorprendenti difficoltà di questi mesi e le nostre preoccupazioni, ma poi c’è il desiderio smodato di Dio che il mondo sia investito da un respiro spirituale e che riprenda fiato, e che questa boccata d’aria pura ravvivi la nostra intelligenza, ci renda operosi nella carità e ci doni una profonda empatia con ogni essere vivente.

Tutto il contrario di quello che è accaduto nell’uccisione di George Floyd, a Minneapolis.

Quell’uomo è morto perché gli è stato premuto un ginocchio sul collo, schiacciato a terra, per 8 minuti e 53 secondi. Non è l’unica vittima innocente, ma è diventato un simbolo. Quelle immagini hanno spaventato i bimbi, indignato i ragazzi e i giovani, scatenato proteste. Quelle immagini sono la negazione di tutto ciò che è la Pentecoste. Lo Spirito fa rinsavire, ti riempie di commozione per il dolore altrui, solleva non schiaccia e, soprattutto, infrange la durezza di cuore. Non puoi fissare la sofferenza di una creatura per tanto tempo e non sentirti spezzare il cuore.

Tu, Spirito Santo di Pentecoste, sei lo Spirito che fa respirare. Sei lo Spirito della vita.

Sento che siamo testimoni di qualcosa di misterioso che accade in questa Pentecoste, e che dobbiamo imparare qualcosa.

Caro Spirito Santo, bisogna pregarti sempre, perché tu sei il vero protagonista della preghiera, ma ogni tanto ce ne dimentichiamo. Oggi, però, vorrei dirti una preghiera speciale insieme a questa comunità radunata, e ho iniziato in modo se vuoi un po’ fanciullesco, scrivendo come a un amico, come un diario:

Caro Spirito Santo…
vorrei che tu ci insegnassi a respirare: che ogni uomo e ogni donna respirino.
Io so che noi non siamo capaci di parlare ai giovani, di coinvolgerli, di accendere il loro entusiasmo e di aiutarli ad uscire all’aria aperta piuttosto che stare davanti a uno schermo… ma mi piacerebbe che potessero respirare, ben al di là delle nostre asfissie ecclesiali e delle nostre afasie.
Ti prego affinché, come chi ha raggiunto la vetta in montagna, ciascuno di noi possa respirare gli orizzonti, riconoscere il percorso fatto e nuove destinazioni, rigenerarsi, desiderare e progettare nuove vie.
Se non oso chiedere troppo, vorrei che in questo giorno di grazia, come dono della grande effusione dello Spirito sulla Chiesa, i malati riprendano a respirare e guariscano. E chi li ama gioisca.
Vorrei che anche la Terra possa tornare a respirare dall’inquinamento che le abbiamo provocato; che possano semplicemente vivere i popoli indigeni dell’Amazzonia, oppressi troppo a lungo nel disinteresse di tutti, e che l’Amazzonia stessa ricominci a respirare, invece che soffocare tra le fiamme, provocate da uomini dal respiro corto.
Infine, Amato Spirito del Signore – radunati di nuovo nelle nostre chiese come cenacoli, spaventati, sgangherati, ma pieni di speranza – come se fosse la notte di Pasqua, come se fosse il primo giorno della Creazione, fai rivivere la tua Chiesa.

Amen.




Tempo ordinario, tempo da vivere

Un cammino spirituale

Per una specie di parallelismo misterioso, il ritorno a un a certa normalità (se così si può davvero chiamare) è avvenuto in corrispondenza con le feste conclusive del Tempo Pasquale, l’Ascensione e la Pentecoste, in modo che l’esperienza più acuta di battaglia contro il Coronavirus, i giorni drammatici della Quarantena e i primi passi della ripresa hanno coinciso con il periodo quaresimale e pasquale.

In un modo davvero inaspettato, abbiamo vissuto forse più realmente di tutte le altre volte la passione dell’umanità e la lotta per la vita.

Ora, nella progressione dell’anno liturgico, viviamo il Tempo Ordinario.

Andando per le strade, in questi giorni, si apprezza il ritorno all’ordinarietà, ancorché non completa: ai tavoli dei bar si incontra qualcuno; negozi e ristoranti sono aperti pur con le misure di sicurezza; è tornato il traffico nelle strade; nelle chiese si celebra quotidianamente.

Ancora una volta riscopriamo che il tempo ordinario non è un tempo minore, ma un tempo da vivere. Un tempo in cui riscoprire le cose importanti per noi non più per mancanza, ma per consapevolezza; non perché le rimpiangiamo, ma perché sappiamo custodirle e goderne: le persone a cui non possiamo rinunciare, le comunità a cui apparteniamo, i riti che ci fanno vivere, le cose che dicono chi siamo.

Per i cristiani e la Chiesa, che vivono nel mondo e ne condividono i travagli, la grazia di questo tempo con un’ordinarietà parzialmente ritrovata e verso cui tendiamo pienamente è quella di riconoscere ancora, nei compagni di viaggio che si fanno presenti, il volto nascosto e misterioso di Gesù risorto che cammina con noi. Lui è la nostra sorgente spirituale, rallegra il nostro cuore e ci fa vivere.




Pentecoste

È una Pentecoste molto particolare quella che ci apprestiamo a celebrare, perché piena di contrasti e per questo intensa nel richiamo allo Spirito. 

Il respiro è il grande imputato dell’epidemia: è una malattia che si trasmette per via aerea e colpisce a sua volta le vie respiratorie. Invece, lo Spirito è il respiro che dà la vita.  

Il presidio più sicuro è la mascherina, che però a sua volta affatica il respiro ed appare quasi un bavaglio, copre parte del volto. Invece lo Spirito è l’energia della vita, che ha fatto parlare i discepoli – divenuti apostoli – con coraggio e a viso scoperto. 

Siamo ingabbiati in tanti protocolli, che peraltro ci aiutano a lavorare e ad avere una vita quasi normale. Invece, lo Spirito è libertà. 

Vale la pena rileggere San Paolo: “Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.” (2Cor 3,17-18) 

 Lo Spirito Santo è proprio questo scarto tra il mondo come è e il mondo come viene trasformato da Dio. Lo Spirito è questo surplus, una forza che non ci appartiene, la Creazione Nuova di Dio che ci viene data realmente, ma in dono.  

Lo Spirito Santo è la riserva, mai consunta, contro tutte le forze di morte.  

Possiamo, appunto, essere preoccupati del respiro volatile che gira nell’aria, essere costretti a coprirci la bocca e parte del volto, irrigidirci nei protocolli: nondimeno, lo Spirito del Signore ci fa respirare a pieni polmoni, ci permette di essere noi stessi e di parlare liberamente con gli amici, ci tiene liberi, anche se fossimo in prigione. 

Non è un invito a trasgredire le regole di prudenza, ma la consapevolezza, che la rivoluzione radicale inizia nel nostro spirito, abitato dallo Spirito di Dio.  

Anche in questo caso possiamo riascoltare le parole di San Paolo, che interpreta perfettamente questa “riserva spirituale” che ci fa vivere: “Siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; feriti, ma non uccisi (…) siamo afflitti, ma sempre lieti; poveri, facciamo ricchi molti; sembriamo gente che non ha nulla e invece possiamo tutto!” (2Cor 4,8-9; 6,9-10) 

PentecosteQuesto vuole dire che non dobbiamo mai abbatterci o sentirci sconfitti: può darsi che siamo tristi, per qualsiasi ragione, ma possiamo tornare ad essere felici; potremmo avere fatto un grave errore, ma non c’è niente di irrimediabile; potrebbe accadere che ci sentiamo in difetto, o che siamo sopraffatti da qualcosa di negativo o dalla nostra debolezza, ma questa situazione non dice la verità della nostra esistenza. 

C’è di più. Questo di più di bene, di amore, di capacità e di dignità ce lo svela lo Spirito che viene ad abitare in noi e, se dovesse mancare qualcosa, lui – con la nostra apertura interiore – è in grado di crearlo e di trasformarci. 

 E anche nel cammino della Chiesa valgono le parole di San Paolo. Abbiamo vissuto una grande tribolazione, insieme a tutti, la vita cristiana è affaticata, disattesa. Le nostre comunità riescono a creare poco coinvolgimento. I giovani spariscono o sono già spariti. 

Ma continua ad esserci una riserva di cuori e di volontà al servizio di Dio, impegnati nella trasmissione della fede, col fuoco della carità per chi è nel bisogno. 

Immagino lo Spirito, in questo giorno di Pentecoste, come nel primo istante della Creazione. Mentre tutto è nel caos, lo Spirito torna a mettere ordine nelle cose e a preparare una comunità che, fraterna in ogni parte del mondo, esprima la lode di Dio.  

Don Davide




Avrete forza dallo Spirito Santo

“Finalmente, Signore! È questo il tempo in cui rimetti a posto le cose? In cui si torna a messa senza mascherina, il catechismo riprende con migliaia di bambini, facciamo l’ER e i campi… ci abbracciamo e ci baciamo!”

“Ma, veramente… – obietta il Signore – io non ho detto questo!

Delusione dei discepoli. “Cavoli, ci avevamo sperato!” esclamano schioccando le dita.

“Quello che vi posso dire – dice il Risorto – è che vi sarà data la forza: sì avrete forza dallo Spirito Santo che vi sosterrà e vi aiuterà ad essere miei discepoli e testimoni anche in questa situazione che continua ad essere complicata.”

Ho riadattato questo dialogo tra i discepoli e Gesù, prima della sua ascensione, immaginandolo contemporaneo.

È un giorno di festa, questo, e strano, perché torniamo a celebrare insieme la Pasqua della settimana dopo quasi tre mesi. Non ci rendiamo mai abbastanza conto di cosa questo abbia significato e di cosa comporterà per il futuro. Basti pensare che dal tempo delle persecuzioni in poi, non era mai accaduto che non si potesse celebrate l’Eucaristia insieme.

È inutile fare finta di niente. Le nostre comunità ne escono e ne usciranno ferite. Al di là della retorica di una certa resilienza, questo fatto avrà conseguenze sulla vita della chiesa nei prossimi anni.

Il grande impianto della chiesa in occidente, che già scricchiolava in molti modi, è parso crollare da un giorno all’altro insieme a quello del mondo.

Tutto chiuso.

E anche adesso che qualcosa sta riaprendo… Come faremo? Le assemblee, le feste, gli incontri, gli abbracci, la vita insieme… Che ne sarà?

Spirito“Tranquilli! – siamo tentati di dire noi, come i discepoli – Ecco è passato! È questo il tempo in cui il Signore ricostituirà il suo regno!”. Il suo regno, che in realtà è il nostro regno, il nostro modo di pensare, sono le sicurezze dei discepoli.

Ma Gesù ci dice: “Tranquilli sì, non perché sarete confermati nelle vostre certezze rassicuranti, ma perché se scegliete di aprirvi allo Spirito, allora scoprirete orizzonti più ampi. Io intanto vin garantisco di esservi vicino, di stare con voi, anche di consolarvi, quando ne avrete bisogno. Per il resto, forse, bisogna accettare che appaiano altre urgenze, altri bisogni su cui riedificare la chiesa e ricostruire la nostra pastorale.”

Oggi abbiamo ripreso o riprenderemo a celebrare la Domenica insieme. Considerato questo sconquassamento, ho sentito l’esigenza di intervenire in modo vistoso sulla liturgia, soprattutto perché i testi possano esprimere il vissuto. Questo non è stato un tradimento della sublimità liturgica, ma lo sforzo di prendere sul serio la presenza concreta del popolo nella celebrazione. Come dirò anche a messa, per adesso vorrei esservi vicino e dirvi una parola affettuosa e di incoraggiamento, come fanno un papà o una mamma, semplicemente, dopo che i figli hanno passato un brutto spavento.

Il peggio magari è alle spalle, ma c’è come un’ombra lunga di quell’inquietudine, e quindi il bisogno di sentirsi garantiti in uno spazio dove si possa tornare sereni.

Don Davide