Connessioni

“Apparvero lingue come di fuoco, che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo” (At 2,3-4).

Perdonate la precisazione, che sembra sottile, ma il testo non ci riferisce di un fuoco (unico) che si divideva in lingue, ma di lingue (molte) che a loro volta si dividevano e si posavano su ciascuno di loro.

Se rappresentiamo visivamente questa immagine, ne viene come una mappa neuronale e questo mi fa pensare che il dono dello Spirito Santo sia come la rete di connessioni del nostro cervello, un prodigio ineguagliabile di perfezione e complessità divina.

Dunque, che cosa significa essere colmati di Spirito Santo?

Non significa essere ripieni come i tortelloni, o con la pancia gonfia perché facciamo una gran mangiata come a Pasqua e a Natale, le altre due solennità più importanti del Cristianesimo.

Significa che siamo connessi con Dio, con gli altri, con la Sorgente dell’Esistenza e il Mistero della Vita che si svela. Siamo connessi come se tutto fosse un grande organismo che respira, prova emozioni, si accende, pensa, compie cose semplici e complessissime all’unisono e con la stessa rapidità con cui noi muoviamo un braccio prima di pensare di farlo.

Il dono dello Spirito Santo è la pienezza delle facoltà di ogni persona nella ricchezza dell’esistenza, per questo chi vive nello Spirito ama, è intimamente felice, è in armonia con il Creato e lo custodisce, e vive legami significativi con le persone.

Il punto di partenza è certamente un regalo, che peraltro non è lasciato all’arbitrio divino, ma ci viene garantito dalla bontà amorevole di Dio: questo dono è precisamente ciò che celebriamo nel giorno di Pentecoste.

Dopo è nostro compito allenarlo, come si allena anche il nostro cervello, imparando l’intelligenza della fede, attivando continuamente gli impulsi dell’amore e costruendo le migliori abitudini per la nostra vita.

Con la celebrazione della Pentecoste nessuna energia spirituale necessaria più ci manca: ora sta a noi procedere speditamente nel nostro cammino.

Don Davide




Rebecca e l’Ascensione

In settimana sono passato davanti a un bar alle 18 dove un gruppo di giovani stava facendo aperitivo. Sembravano minorenni, ma questo non coincideva con lo spritz che ciascuno aveva davanti a sé, e parevano sereni e senza tipizzazioni eccessive. Nell’istante di passargli accanto ho intercettato l’unica ragazza presente che diceva: “Cioè, il giorno del tuo compleanno devi bere fino a ubriacarti, questo è fisso. Poi se sei da sola o in compagnia non fa differenza…”

Chiameremo questa ragazza Rebecca.

Io stavo pensando a cosa avrei potuto scrivere per questa Domenica dell’Ascensione e mi sono chiesto: perché Rebecca pensa che ci sia gusto a ubriacarsi, magari anche da sola? Oppure: che cosa cerca, o viceversa, che cosa vuole nascondere?

Non voglio fare il paternalista, ma non posso fare a mano di ritenere che sia un pensiero non elevato. Non voglio giudicare, sto solo raccontando quello che ho ascoltato e la mia reazione emotiva e mi chiedo: come possiamo fare ad “elevare” la nostra vita?

Gesù che “sale” al cielo è una specie di metafora: il messaggio è che Gesù trascende questo mondo, attratto dall’amore del Padre e trasformato dallo Spirito Santo.

Con tutta la sua umanità, Gesù porta la nostra umanità nel regno di Dio. Questo avvenimento è certamente una grazia e un dono di Dio, ma non per questo deve farci stare con le mani in mano o imbambolati a “guardare il cielo” (cf. At 1,11)… Tutto ciò che Gesù ha compiuto, con la sua umanità, è per darci il potere di realizzarlo nella nostra.

Infatti, il mandato Signore ai discepoli è di compiere le sue opere prodigiose attraverso la fede e di farne “di più grandi” (Gv 14,12).

Sta a noi, dunque, accogliere questo dono ed elevarci.

Henry David Thoreau scrisse: “Non conosco nessun fatto più incoraggiante che l’indubbia abilità degli esseri umani ad elevare la propria vita attraverso un impegno consapevole”.

Scrivevo, prima, che Gesù si è elevato nel mondo di Dio, nel reame del divino, per elevarci verso di lui. Elevarsi, per elevare: questo è anche il nostro compito.

Ci sono quattro regni interiori che possiamo elevare: il regno spirituale, il regno dell’anima, il regno corporeo e il regno della nostra mente.

Siamo chiamati ad elevare questi regni interiori con un impegno consapevole. L’amore del Padre ci chiama e ci sospinge, lo Spirito non ci abbandonerà in questo proposito.

Allora, cara Rebecca,

senza biasimo né giudizio, ti auguro di potere fuggire dalla tentazione di trangugiare il vino per stordirti, ma di imparare a gustare la bellezza di riconoscerne i profumi, di rimanere incantata dai riflessi del suo colore rubino, ambrato, rosa o giallo paglierino e di sapere distinguere al primo sorso un Franciacorta da un Valdobbiadene.

Sarei felice se potrai brindare in compagnia, mentre festeggi la tua Maturità o la tua Laurea, o sorseggiarlo nel tuo posto preferito in compagnia della persona che deciderai di amare; e – se ti troverai a bere un calice da sola – spero che tu voglia farlo con un bel libro, ascoltando la tua musica preferita, o semplicemente apprezzando il silenzio e ammirando il panorama che prediligi.

Tutto ciò che vuoi, cara Rebecca, purché ti elevi e non ti abbassi.

Don Davide




L’esempio di Gesù

Nella Chiesa siamo tutti pecorelle del gregge di Dio, dove il Pastore supremo è Gesù, pieno di cura affettuosa per ciascuno di noi. In questo averlo come punto di riferimento e guida sicura, inoltre, anche noi riceviamo l’incarico di essere pastori, come accade per un atleta che si metta ad allenare i più piccoli, o viceversa come ogni fanciullo di Estate Ragazzi che sogna di imitare il suo animatore o la sua animatrice preferita.

È l’esempio di Gesù, da mettere in pratica in molte forme, gli uni per gli altri.

Questo pastore ho quattro tratti, che lo descrivono, ci affascinano e ci incoraggiano ad imitare il suo esempio:

1)ha cura delle sue pecore, non è un mercenario, non fugge di fronte al pericolo, se serve dà la vita per loro;

2)conosce ed è conosciuto, ha stabilito una relazione consueta, potremmo dire che “ha una casa, ha un ovile”;

3)ha il cuore aperto, non coltiva i suoi in modo chiuso, soffocante, ma sente un istinto di bene magnanimo e verso tutti;

4)fa della sua vita un dono, non solamente “da morirne”, ma vive la sua esistenza con animo generoso. Non è un oppresso, ma è libero di dare.

Questa bellissima sequenza del buon Pastore, dunque, ci permette di fare un intenso esame di coscienza.

Tutti siamo suoi agnellini, ma tutti siamo anche pastori di altre pecorelle: possono essere la nostra famiglia, i nostri studenti, i ragazzi e le ragazze del gruppo di cui siamo educatori, i giovani, i dipendenti del mondo del lavoro; i pazienti, gli anziani, coloro che aiutiamo.

Senza volere affrontare ciascuno di questi tratti, desidero coglierli complessivamente e chiedere a me stesso che cosa ne è stato, sperando che altri abbiano voglia di mettersi in trasparenza di fronte a questa parola.

Sento in me la domanda: quando è venuto il lupo di questa pandemia, mi ha trovato mercenario o pastore? Riconosco le mille tentazioni di fuggire di fronte al pericolo, all’eccesso di impegno e di responsabilità. Ho cercato di mantenere le attenzioni, di fare una telefonata a chi non sentivo da tempo, di informarmi sulla salute degli ammalati e di accogliere chi desiderava parlare, ma… quanto si poteva fare di più, e con il cuore più sensibile e lieto?

E poi so che c’era bisogno di parole molto più illuminate dalla fede. Quante volte mi sono fatto chiudere in discorsi solo umani, in ragionamenti di buon senso o poveri di approfondimento, mentre sarebbe stato utile accogliere una luce profetica, penetrante, che squarciasse il buio e indicasse sentieri?

E infine, rimane la vocazione delle vocazioni: non c’è un tempo migliore di un altro per vivere il Vangelo, per fare della propria vita un dono. Ripenso a tutte le volte, in quest’anno e mezzo, in cui ho pensato: “Che sfortuna vivere un periodo così!” e, con le parole del Pastore nelle orecchie, capisco: “Ci sarebbe stato un tempo migliore, per fare della propria vita un dono? Ha più valore quando è facile o quando è difficile?”.

Sento rivolte l’appello ispirato di Pietro, nella prima lettura, quando interpella riguardo a Gesù chi dovrebbe essere pastore e saggio. Ecco: la sequenza del buon Pastore mi mette in rapporto a Gesù. Forse, più nitidamente che in altri tempi, riconosco che un lupo è passato e che ancora si sentono gli ululati del branco.

Fisso il buon Pastore, risorto, e ascolto la sua voce ripetere quello che ha detto a ciascuno solo pochi giorni fa: “Vi ho dato un esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi, gli uni per gli altri” (cf. Gv 13,15).

Don Davide




Desiderio

Alla presenza di Maria Maddalena fuori dal sepolcro il mattino di Pasqua sono associate spesso, nella tradizione cristiana, le parole del Cantico dei Cantici: Il mio amato! L’ho cercato e non l’ho trovato! Dov’è l’amato mio? (cf. Ct 3,1-2)

È un desiderio struggente, che Maria Maddalena – inizialmente – esprime semplicemente come bisogno di rivedere Gesù nella morte, di onorare almeno la sua sepoltura. Sarà poi la voce del Maestro a invitarla a sperimentare qualcosa di più grande, un traguardo inimmaginabile del suo desiderio: riabbracciarlo, saperlo vivo, continuare a vivere l’esistenza con lui.

La Pasqua è caratterizzata da questo desiderio; così, anche il traguardo della resurrezione per ciascuno di noi.

San Paolo, nell’Epistola che si legge durante la Veglia Pasquale, afferma che noi siamo realmente risorti non perché abbiamo già attraversato la morte biologica (“l’ultimo nemico che sarà sconfitto” cf. 1Cor 15,26), ma perché viviamo una vita nuova (cf. Rm 6,4).

Noi possiamo realmente vivere da risorti, e questa possibilità è resa concreta dal desiderio che ci sta davanti.

Il desiderio è una “distanza” non del tutto colmata, ma che ci fa sentire che possiamo vivere qualcosa di buono. Se un desiderio è bello rinforza l’amore, come due innamorati che si corteggiano e si cercano.

La Pasqua si celebra dopo la prima luna piena di Primavera. È legata alla rinascita del tempo e delle stagioni (ricordiamoci che per gli ebrei era il primo mese dell’anno!), al desiderio di uscire dall’Inverno, ma non ancora in un sole pieno di mezzogiorno d’estate. In quel desiderio e primo germoglio di rinascita c’è già tutta la forza della resurrezione.

Associamo a questo desiderio di rinascita, ad esempio, la speranza che la pandemia sia definitivamente superata. Pensiamo: “Chissà se sarà la volta buona?!”. Non è sbagliato. Sappiamo che la Pasqua ha a che fare con questo rinnovamento di tutto il creato, (come si canta nei salmi della Veglia: “Mandi il tuo Spirito Signore e rinnovi la faccia della terra”), e il desiderio che ciò avvenga è esso stesso scritto nei nostri cuori con l’inchiostro della resurrezione.

Ogni anno ci prepariamo alla Pasqua impegnandoci per un incontro più vivo con Gesù, con la speranza che il Vangelo plasmi più significativamente la nostra vita. Ogni anno, se siamo un minimo accoglienti, questa trasformazione accade realmente, per la grazia che scaturisce da questi giorni. La nostra vita si rinnova; il nostro desiderio ci sta ancora davanti, ma celebriamo la Pasqua.

Preghiamo nei giorni santi per tante situazioni che ci stanno a cuore, quelle difficili o speranze belle. È la fiducia nella resurrezione che ci spinge: che qualcosa si sistemi, che una condizione cambi e migliori. Non sono velleità e non siamo smentiti. In questo desiderio, che non è mai completamente realizzato, c’è l’alba della resurrezione.

Il Signore Gesù ci chiamerà oltre. Ci farà vivere, ci farà sentire il suo abbraccio. Con enorme sorpresa ci farà superare soglie che pensavamo mortali.

Lo sentiremo vicino. Anche quando (di nuovo) si sottrarrà ai nostri occhi, non ci sentiremo soli. Seguirà i nostri passi, permettendoci di onorare il dono della vita, fino a che l’ultimo nemico ad essere sconfitto sia la morte.

Don Davide




Nella Passione

Nella Passione secondo Marco, proclamata in questa Domenica delle Palme, si trovano dei versetti inusuali (Mc 14,13-16), in risposta alla domanda dei discepoli che dà inizio agli eventi: «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?» (Mc 14,12).

“Pasqua” – che in ebraico significa “passaggio” – diventa anche il termine tecnico dell’agnello che si mangia nella cena pasquale. La Pasqua si “prepara” e si “mangia” con le persone care, quelle che si possono chiamare famiglia, in un senso più esteso di quello dei legami di sangue.

Tuttavia, Gesù dà delle indicazioni enigmatiche. I discepoli, bramosi di compiacere il Maestro, sono invitati a seguire una specie di Caccia al Tesoro o di Gioco dell’Oca, per scoprire che non devono fare proprio niente. C’è inoltre un elemento contradditorio: Gesù dice che sarà loro mostrata «al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta» (Mc 14,15) e che lì dovranno “preparare”. Loro «trovarono come aveva detto e prepararono la Pasqua» (Mc 14,16). Ma cosa prepararono, esattamente, se era tutto già predisposto?!

Sappiamo che i discepoli non faranno bella figura: Giuda ha già deciso di tradirlo, gli altri useranno violenza laddove Gesù si consegnerà con un’arrendevolezza sorprendente e, alla fine, anche il più tenace fuggirà via nudo; Pietro lo rinnegherà; sotto la croce, a usare compassione per il suo cadavere ci saranno altre e altri, ma non loro.

Cosa vuole dirci, allora, l’evangelista, riportando queste direttive così misteriose di Gesù? Esse si rifanno a un gesto profetico delle storie dell’Antico Testamento, che Gesù conosceva bene; sono, cioè, non tanto un’indicazione che Gesù dà ai suoi discepoli, ma un’istruzione spirituale che l’evangelista offre ai suoi lettori, a noi, per capire il presente e sapere come vivere quello che sta per accadere.

Nessuno può presumere di entrare nella Passione.

Dentro la Pasqua puoi solo lasciarti condurre.

Il mistero di quello che accade in questi giorni è talmente grande che puoi accoglierlo solo facendoti guidare, seguendo le tracce di una Presenza che si mostra in maniera evidente, ma ti precede e ti sfugge sempre.

In questi giorni, e in queste celebrazioni, possiamo vedere tutto di quello che viviamo: dagli slanci più belli, ai dolori più grandi, passando per le emozioni più intense. Se siamo sensibili, questa densità ci sovrasta.

La Pasqua, in realtà, non dipende da noi.

La “sala” è a un piano superiore – bisogna salire di livello spirituale – è immensa ed è già pronta.

A ciascuno di noi questi giorni regaleranno una scintilla, quella giusta per la nostra vita di oggi. Ci saranno vari incontri che ci condurranno: qualcuno “previsto”, come i riti; qualcuno sorprendente, come un evento inatteso, una coincidenza, una telefonata, una sorpresa.

L’importante è lasciarsi condurre.

Lì, anche se tutto è già pronto, potremo preparar-ci e cenare con lui, il nostro Maestro e Signore: prima della sua morte e dopo la sua resurrezione.

Don Davide




«Lo mangerete in fretta» (Es 12,11)

Testimonianza di don Davide

Sono cresciuto imparando che preparare e celebrare la Pasqua era realmente la cosa più importante dell’anno. Abitavo a due minuti dalla chiesa, uscivo di casa, svoltavo una strada e mi trovavo di fronte al campo da calcio della parrocchia: il tempo di attraversarlo ed ero arrivato.

Il mio parroco dava il meglio di sé in occasione della Settimana Santa. Come un buon pastore guidava la comunità e noi ragazzi a organizzare, capire e gustare i riti del Triduo. Facevamo le prove dei ministranti e vivevamo le celebrazioni e passavamo il resto della giornata a giocare a calcio in parrocchia. Era un buon compromesso. Solo che alcune volte ci toccava lavarci sommariamente nei bagni della parrocchia per non arrivare inzaccherati alla solennità della liturgia.

Questo senso di qualcosa di sacro, che va custodito, preparato con cura, celebrato meticolosamente e vissuto al meglio mi è rimasto fin da allora. Nemmeno i corsi di Liturgia in seminario hanno aggiunto alcunché a questa consapevolezza.

L’indicazione finale della prima prescrizione della Pasqua ebraica, perciò, mi ha sempre stonato: «Lo mangerete in fretta» (Es 12,11). Con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano… Che razza di modo è di mangiare un agnello, dopo avere riunito tutta la famiglia e magari anche un’altra per condividerlo?

Sì, capivo che c’era tutta la questione di essere pronti ad uscire dall’Egitto… ma insomma – pensavo – “quale fretta d’Egitto! Qui le cose si devono fare bene!”.

Solo quest’anno – pochi giorni fa a dire il vero – ho capito il significato di questo versetto. Tutte queste limitazioni, non potere fare la lavanda dei piedi, il bacio della Croce… mi pesano tantissimo.

Ma la Pasqua non è comoda. La Pasqua «del Signore» (Es 12,11), come nel racconto dell’Esodo, è un atto di emergenza. È un gesto che chiede di andare allo stretto indispensabile delle cose e che parla della libertà del cuore dalla paura.

Anche Gesù l’ha vissuta allo stesso modo. Una situazione di emergenza estrema: fare della propria vita un dono oppure no?

E ora so che per primo io devo lasciare i miei ideali. C’è una Pasqua che è «del Signore» e che ci sorprende. Va ben al di là dei nostri migliori propositi: chiede di raccogliere le emergenze, di farci carico del dolore, di ridare vita dopo la morte. Come in un ospedale da campo che abbia armi spirituali.

«Lo mangerete in fretta» (Es 12,11). Lo farete scomodi.

Il Signore passerà. E la vita potrà non essere un dono, oppure sì.




Una Pasqua ormai vicina

Ci prepariamo a celebrare la Pasqua, perché siamo alla 4° domenica di Quaresima: ci sarà ancora solo un’altra domenica, poi entreremo già nella Grande Settimana, attraverso la porta di ingresso della Domenica delle Palme.

Celebrare la Pasqua non è solo fare dei riti particolari, ancorché suggestivi.

Celebrare la Pasqua è un’esperienza di comunità, che percepisce l’amore del Padre e la vita di Gesù che entra nelle nostre vite.

La Quaresima è un cammino di umiltà e purificazione. Pensavamo di avere toccato il fondo l’anno scorso, con il lockdown, invece ci troviamo quest’anno a dovere essere ancora più umili: per la stanchezza di questa situazione che ci attanaglia ancora dopo un anno; e perché anche se potremo almeno vivere le celebrazioni, dovremo farlo con molta attenzione, con un rigore esemplare e rinunciando a tanti segni che rendevano speciali questi giorni: la processione degli ulivi, la lavanda dei piedi, il bacio della croce, la processione con il cero pasquale.

Personalmente, anche se potrà sembrare sproporzionato, ritengo che ci voglia molta umiltà per accettare di privare le liturgie pasquali della forza dei loro segni specifici. Tuttavia, siamo chiamati a farlo, consapevoli che il protagonista ancora una volta sarà il Signore e non noi.

 

CELEBRARE LA PASQUA TUTTI INSIEME

Allora ecco che la Pasqua si presenta come un’esperienza di comunità. Siamo spaventati e disorientati dal riaggravarsi della situazione pandemica, tuttavia dobbiamo cogliere la Pasqua come un’occasione di rilancio della nostra vita comunitaria.

Chiedo concretamente ed esplicitamente che chi pensa di essere presente alla Domenica delle Palme e al Triduo Pasquale segnali la sua disponibilità in anticipo, per dare una mano. Servono tante cose: l’accoglienza in chiesa, un po’ di servizio d’ordine, l’aiuto a distribuire l’ulivo, l’igienizzazione alla fine delle celebrazioni, le letture, le preghiere dei fedeli, la disponibilità per cantare, l’aiuto a preparare e organizzare tutte le cose pratiche e tanto altro. Per favore, partecipate da protagonisti e corresponsabili, non da spettatori.

E anche se qualcuno di noi – legittimamente – non si sentirà di prendere parte alle celebrazioni, prendiamoci tutti l’impegno di celebrare la Pasqua insieme alla nostra comunità: unendosi spiritualmente in preghiera, scrivendo un biglietto, facendo una telefonata, e avendo ben chiaro che c’è bisogno che torniamo tutti ad essere presenti e ad incontrarci, che ci diamo un appuntamento, non importa quanto vicino o lontano sia.

Vorrei anche che avessimo una preghiera incessante e una vicinanza reale, nei modi che ci sono possibili, per chi è molto preoccupato per il lavoro e la propria condizione economica, per chi è più solo e per gli ammalati gravi.

 

PERCEPIRE L’AMORE DI DIO

I prossimi giorni siano però anche i giorni in cui ci concentriamo a percepire l’amore di Dio.

Come quando vai a un concerto di un cantante preferito o dell’opera che conosci a memoria, che tendi l’orecchio a cogliere le sfumature e ti entusiasmi durante i motivi prediletti… così dobbiamo tendere a riconoscere l’amore di Dio che si manifesta in tante forme vitali. Gli affetti, gli amici, le cose belle, i traguardi, le ripartenze… la Primavera stessa. C’è un verso bellissimo nel Cantico dei Cantici che dice: “Ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, i fiori sono apparsi nei prati e la voce della rondine ancora si fa sentire nella campagna…” Ogni risveglio di vita ci parla dell’amore di Dio per noi.

 

LA PASQUA DELLA FEDE

Infine, la Pasqua è soprattutto un evento della fede. È l’evento in cui professiamo che la nostra vita, come quella di Gesù, non verrà semplicemente consumata. È l’evento in cui rinnoviamo la consapevolezza del valore della nostra esistenza, e magari ci rimettiamo in un cammino di bene e costruttivo per noi: possiamo riacquisire fiducia in noi stessi, fare qualcosa di buono e di bello che desideravamo fare da tanto, imparare a pregare, stare un po’ di più con la nostra famiglia e con le persone che amiamo, dedicarci a fare qualcosa che ci piace davvero.

Siamo ancora in cammino nella Quaresima, ma come un maratoneta che dopo tanti chilometri vede il traguardo, invece di rallentare, si carica di adrenalina e accelera, così anche noi, avvicinandoci alla Grande Settimana, facciamo ardere ancora di più il desiderio della nostra fede.

Don Davide




Ricordati, Dio

Quaresima

La Quaresima si apre con Dio stesso che ci conferma nel legame benevolo di alleanza con lui: «Io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri cari e con ogni essere vivente che è con voi» (Gn 9,10). Ogni impegno, ogni sacrificio, sta lì dentro. È un’alleanza che coinvolge tutti gli esseri viventi: tutte le persone che mi vogliono bene, tutte le persone a cui sono in qualche modo legato, persino gli animali che mi fanno compagnia e la natura che amo e in cui mi ristoro.

Con tutti siamo in comunione e viviamo l’inizio di questo impegno quaresimale in questo abbraccio non fisico, ma reale, che ci rinvigorisce.

Siamo protetti da te, Padre e da una corona di fratelli e sorelle, di amici, pure in mezzo a mille difficoltà.

Arcobaleno

Quando Dio giura: «Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra» (Gn 9,11) intercetta la paura più recondita e mostruosa dell’animo umano: che la nostra vita sia distrutta, che noi siamo disprezzati, che la nostra esistenza cada in rovina come se non avesse valore.

L’alleanza di Dio ci garantisce che non sarà così, che anche quando nella sua immensa onnipotenza Dio potesse prendere la risoluzione di “distruggerci”, lui non lo farà. C’è un verso bellissimo nel profeta Osea che ci spiega perché: «Perché sono Dio e non un uomo, sono “Diverso” in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira» (Os 11,9).

È tenerissimo Dio, che mette un segno perché sa che “nel tempo” siamo inclini a cambiare le nostre risoluzioni e i nostri proponimenti, e sembra essere preoccupato di questo anche lui.

Così, quando dovesse essere “tentato” si fermerà davanti all’arcobaleno. Anzi, come un divino Cupido, scocca la freccia del suo amore e della sua pace e ci colpisce al cuore. Come un vaccino portato dal cielo, come un vaccino contro ogni male: «Io ricorderò» (Gn 9,15), dice. Ricorda il primo proposito, il momento di chiarezza in cui si è capaci di proiettarsi nel futuro, per sempre, nella luce di quella decisione iniziale, come ci si ricorda dell’innamoramento.

Preghiera

«Ricordati, Dio…» è la preghiera che accede al tuo cuore. Anche nel salmo di oggi la diciamo due volte (Sal 24/25,6-7). Come potresti dimenticarti?! Questa preghiera è la chiave che apre sempre il tuo cuore. Forse è la parola migliore che possiamo dirti, mentre preghiamo, perché se tu non ti ricordassi di noi, se il tuo pensiero non fosse rivolto alla nostra esistenza, noi – semplicemente – spariremmo. Invece, siamo sempre nei tuoi pensieri. Tu ci vegli sempre. E nel momento in cui ti ricordi, ci avvolgi subito con il tuo amore e ci rendi splendenti; non pensi a come siamo nelle difficoltà o a quando siamo tentati, ma ci aiuti ad essere migliori, a trasfigurarci.

Così, è solo nel tuo ricordo che anche noi – come Gesù – possiamo stare con le fiere e allo stesso tempo sperimentare la vicinanza degli angeli. Sì, perché noi siamo tentati, ci lasciamo disorientare, siamo sempre prossimi a imbruttirci, ma poi siamo nel tuo pensiero, anche noi ci ricordiamo di ricordartelo, e scopriamo che tu ci avvolgi con quella benevolenza che fu il tuo primo proposito, come quando ti innamorasti di noi e noi di te, e ci vedi belli e ci fai essere migliori, perché ci ami, e noi siamo ammantanti di luce: da materiali diventiamo spirituali, da uomini vecchi diventiamo nuovi. Stiamo con le fiere e gli angeli ci fanno compagnia.




Un cammino per la vita

Allo start della Quaresima

Il Mercoledì delle Ceneri è il giorno più penitenziale dell’anno (insieme al Venerdì Santo), ed è importante non trascurare questa dimensione; nel sacrificio e nel digiuno ci obblighiamo a considerare la nostra caducità: non siamo infallibili, non siamo sempre forti, non siamo immortali.

Mettersi davanti al simbolo delle Ceneri non è masochismo: significa invece essere saggi. Solo chi esamina se stesso, può camminare verso la vita.

Infatti, questo giorno è come la linea di start di un cammino per la vita.

Con il rito delle Ceneri iniziamo un percorso per liberarci da tutto ciò che ci fa percepire come insopportabile la nostra finitezza e ce la fa riscoprire come un’apertura al compimento: ci libera dalle paure, dall’insoddisfazione e dalla smania di avere tutto; ci insegna invece ad apprezzare chi siamo, l’amore che sentiamo, quello che abbiamo costruito, poco o tanto che sia.

Ci sono tre vie concrete per fare questo, che possiamo seguire insieme alla nostra comunità:

1) Riscoprire la vita interiore (vd. l’iniziativa proposta dall’AC parrocchiale).

2) Vivere le celebrazioni con la comunità (il mercoledì delle Ceneri, le messe delle domeniche di Quaresima, il Triduo Santo).

3) Amare i nostri compiti e le nostre responsabilità in questi 40 giorni, con serenità e con pace.

Allora pronti allo start? Invece di indossare abbigliamento tecnico e di mangiare barrette energetiche, però, solo per un giorno, ci vestiamo di sacco e ci disponiamo al digiuno.

Suggerimenti per dialogare con il Signore ispirati alle celebrazioni di San Valentino




San Valentino e la pandemia

La ricorrenza di San Valentino segna un anniversario importante, per la nostra comunità. Un anno fa, subito dopo gli incontri festosi e le celebrazioni solenni, iniziavano a diffondersi le prime notizie sulla presenza del Coronavirus, che avrebbero portato il 23 febbraio alla decisione di chiudere le scuole, inizio ufficiale della pandemia in Italia.

Il doloroso anniversario di tutto il nostro paese risuona con echi specifici per noi: di fatto, la Festa di San Valentino dell’anno scorso è stata l’ultimo momento di grande partecipazione comunitaria – insieme all’Assemblea della Zona Pastorale del 23-02-2020 – con le chiese piene e gli incontri amichevoli fitti. Dopo, tutto è stato fatto a singhiozzo e con mille limitazioni.

In questo anniversario io voglio leggere un nitido segno di fiducia e desidero infondere in tutti un grande incoraggiamento.

A distanza di un anno, magari bassa sull’orizzonte, brilla la speranza.

Dobbiamo affrontare ancora tutto quello che manca e sostenerci vicendevolmente per costruire. Non è solo il tema di “non abbassare la guardia”, per me è molto di più: fare crescere la solidarietà e l’amicizia; guardare a quanto di buono possiamo e potremo fare insieme; continuare ad essere esemplari e ad aiutarci tutti, finché non racconteremo di questi anni nei libri di storia. Poi ci saranno altre difficoltà e cercheremo di essere pronti.

Mi sembra bello ascoltare proprio in questo giorno di San Valentino la liturgia domenicale, in cui si staglia la parola di Gesù: “Lo voglio, sii purificato!”. Nessun cedimento al fideismo o a un’interpretazione magica come se Gesù – improvvisamente – da domani facesse andare bene tutte le cose. Quello che ascoltiamo nella fede, invece, è la conferma che la volontà buona di Dio è che l’uomo viva in un modo sano; Gesù non dice: “Sii guarito”, ma: “Sii purificato”.

Guariti nel corpo, quindi, ma soprattutto sanati e purificati da tutte quelle cose che potrebbero avere fatto male all’anima, allo spirito e alle relazioni.

Gesù, con la sua parola ci fa questo regalo e lascia alla nostra fraternità e alla nostra capacità di comunione il compito di saperlo accogliere e farne tesoro.

Don Davide